Ferrèri, Marco

regista cinematografico italiano (Milano 1928-Parigi 1997). Dopo alcuni tentativi nella scia di Zavattini, si avvicinò in Spagna, col El pisito (1958) ed El cochecito (1960), all'humour nero di R. Azcona (poi suo abituale sceneggiatore), stravolgendo il neorealismo con un senso acuto del grottesco. Sviluppò tali motivi nei suoi film italiani, in cui fornì metafore graffianti e amare sull'alienazione e sui tabù della famiglia e del sesso: L'ape regina (1963), La donna scimmia (1964), Marcia nuziale (1966), L'harem (1967). Il raffinato capolavoro Dillinger è morto (1969) aprì una stagione in cui il regista si misurò con problemi più vasti, non escluso quello della sopravvivenza: Il seme dell'uomo (1970), L'udienza (1971), La cagna (1972), La grande abbuffata (1973), Non toccare la donna bianca (1974), L'ultima donna (1976), Ciao maschio (1978), girato a New York, Chiedo asilo (1979), Storie di ordinaria follia (1981), da racconti di Ch. Bukowski. L'autodistruzione della borghesia, l'autocastrazione del maschio, la fine di una civiltà e di una cultura sono i temi che si rincorrono nell'opera del regista. Storia di Piera (1983) e Il futuro è donna (1984) sono dedicati a due personaggi femminili, in una strana allegoria della donna, vista attraverso l'ottica della follia e della gravidanza. I love you (1986) è incentrato sulla solitudine dell'uomo e sulla sua incapacità di stabilire un autentico rapporto con la donna. Più discutibile l'esito del successivo Come sono buoni i bianchi (1988), sul rapporto tra l'Africa e i “benefattori” europei, mentre La casa del sorriso (1990) vinse l'Orso d'oro a Berlino e buon successo ebbe anche La carne (1991), storia di sesso e cannibalismo. Al 1993 risale Diario di un vizio e nel 1996 realizzò Nitrato d’argento.

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