Àccio, Lùcio

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(latino Lucíus Accíus), poeta e letterato latino (Pesaro 170-? 84 ca. a. C.). Nato da genitori liberti, visse per lo più a Roma dove nel 140 fece rappresentare la sua prima tragedia. Dopo un viaggio in Grecia, si fermò a Taranto per incontrare, pare, il vecchio poeta e suo rivale Pacuvio, cui lesse il dramma l'Atreo. Ebbe vita lunga, se poterono conoscerlo ben addentro al sec. I Cicerone e Varrone. Ci è descritto come uomo di carattere fiero e ambizioso. Per le sue tragedie, numerosissime, scritte in 40 anni e di cui si conoscono 45 titoli e oltre 600 versi, attinse spesso al ciclo epico troiano, a quello dei Pelopidi e ad altri non meno foschi e truci. Due sole sono praetextae, ossia ispirate alla storia romana: il Decius seu Aeneadae e il Brutus, la prima sul sacrificio in battaglia dei tre Deci e in particolare di Publio a Sentino (295 a. C.), la seconda sulla caduta dei Tarquini a opera di Bruto. Il suo teatro, che ebbe grande e duraturo successo, aveva effetti di violenta emozione, con personaggi grandiosi e uso ricercato della retorica. Sull'esempio di Ennio si dedicò anche ad altre produzioni: condusse studi eruditi, di ortografia e di retorica (Didascalica); compose un poema epico-storico (Annales), poesie satiriche ed erotiche.

Bibliografia

F. Della Corte, La filologia latina dalle origini a Varrone, Torino, 1937; B. Bilinski, Accio e i Gracchi, Roma, 1958; I. Lana, L'Atreo di Accio e la leggenda di Atreo e Tieste nel teatro tragico romano, in “Atti dell'Accademia delle Scienze di Torino”, 1958-59, pag. 293-355; F. Casaceli, Lingua e stile in Accio, Palermo, 1976.

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