Lessico

sm. [sec. XIII; da essere (verbo)].

1) L'avere realtà, l'esistere; esistenza, vita; per estensione, modo di essere, stato, condizione: sentirsi soddisfatti del proprio essere. Anche l'intima natura di un individuo, il complesso dei suoi sentimenti.

2) Chi esiste, ciò che esiste; ente: l'Essere Supremo, Dio. In particolare, persona, individuo: un essere insopportabile. Il dim. esserino è usato nel senso di piccola creatura vivente, bambino.

Filosofia: generalitá

Fin dagli inizi l'essere si è posto come problema fondamentale della filosofia. Esso si configura come il predicato più universale, attribuibile a qualsiasi cosa, rappresentazione o simbolo. Per questo è usato anche come nesso in ogni relazione predicativa. Così l'essere indica che qualcosa si dà, in qualsiasi modo ciò avvenga, e anche che si pone un collegamento predicativo fra concetti o realtà. San Tommaso distingue chiaramente questi due casi: l'atto di essere e la composizione della proposizione che l'uomo trova congiungendo il predicato con il soggetto. Il significato predicativo dipende generalmente da quello assoluto, tranne per quelle filosofie che non pongono o non ritengono possibile o sensato porre la questione dell'essere in generale e per le quali l'essere indica semplicemente una relazione logico-sintattica variamente definibile. Così per tutta la corrente nominalistica dagli stoici a Occam e a Hobbes la copula è significa identità di relazione a una medesima realtà. Nella filosofia moderna (logica di Port-Royal, empirismo inglese, Kant) la relazione stabilita dalla copula riguarda le idee stesse o concetti. Per il neopositivismo, infine, il problema dell'essere, metafisicamente considerato, è esplicitamente dichiarato come privo di senso e l'essere si riduce a una funzione interna alla proposizione.

Filosofia: dal mondo classico al Medioevo

Al di là dell'uso generalissimo, si è posto nella filosofia il problema del significato dell'essere come fondamento ultimo e significato unitario di ogni esistere. Il primo a porre radicalmente il problema fu Parmenide, che con la sua tesi: “L'essere è e non può non essere” ne affermò la necessità, unità ed eternità, escludendo la possibilità di qualsiasi forma di non-essere. Il primo Platone si limitò a identificare (da un punto di vista del valore) l'essere con l'ordine, l'armonia e la perfezione, affermando che sulla base di questi valori si forma la scala degli essere, che giunge fino al Bene in sé; in vecchiaia invece il filosofo riprese la problematica parmenidea di essere e non-essere, affermando la possibilità del non-essere inteso nel senso relativo di “essere altro”, possibilità che pose alla base della distinzione fra verità ed errore. Aristotele accentuò nuovamente il carattere di necessità, anche se non di unicità dell'essere che egli definì come sostanza. Questa è l'essenza necessariamente esistente di una cosa e come essenza può essere espressa da un concetto. La sostanza non esaurisce tutte le forme dell'essere, ma, esprimendo il “ciò che necessariamente è” di ogni cosa, costituisce il soggetto a cui tutte le altre determinazioni devono essere riferite e subordinate. L'impostazione aristotelica restò in primo piano per tutto il Medioevo, sia pure variamente interpretata e modificata. Una delle innovazioni più importanti è la distinzione reale operata da San Tommaso tra essenza ed esistenza: in forza di essa il filosofo rifiuta l'univocità dell'essere e propone il concetto di analogia. L'univocità dell'essere fu riproposta invece da Duns Scoto per rendere possibile il discorso su Dio a partire dalle creature.

Filosofia: le correnti moderne e contemporanee

Nella filosofia moderna, a parte le correnti empiristiche che per lo più interpretarono l'essere come semplice presenzialità (reale o possibile) all'esperienza, è soprattutto Spinoza che ripropone la questione metafisica dell'essere, reinterpretando il concetto classico di sostanza: l'essere è l'Assoluto, Dio come unità e totalità di tutte le cose, nel quale pensiero e natura coincidono, assolutamente necessario in ogni sua determinazione. La stessa necessità dell'essere, identica a quella della ragione, fu affermata da Hegel, che ridusse ogni dovere, e potere, a risultati di una visione non razionale della realtà. In polemica con lui, l'ultimo Schelling, pur accettando la struttura razionale dell'essere, ne negò la necessità assoluta, subordinandolo alla libertà di Dio, definito appunto “Signore dell'essere”. Nella filosofia contemporanea il problema dell'essere è ripreso dall'esistenzialismo, che lo ha interpretato in termini di possibilità. Heidegger in particolare lo pone al centro del suo pensiero: l'essere si sottrae a qualsiasi definizione oggettiva, anzi ogni suo rivelarsi è insieme un nascondersi. L'essere, secondo Heidegger, si rivela in epoche rispondenti al suo carattere temporale e si consegna agli uomini determinando il loro destino storico e assegnando loro il compito di essere suoi custodi.

J. P. Sartre, L'être et le néant, Parigi, 1943; E. Gilson, L'être et l'essence, Parigi, 1948; M. Heidegger, Holzwege, Francoforte, 1950; G. Di Napoli, La concezione dell'essere nella filosofia greca, Milano, 1953; idem, La concezione dell'essere nella filosofia contemporanea, Roma, 1953; J. B. Lotz, Sein und Existenz, Friburgo, 1965; J. C. Cordier, L'être et la raison, Parigi, 1981.

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