Cervantes Saavedra, Miguel de-

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Biografia

Scrittore spagnolo (Alcalá de Henares 1547-Madrid 1616). Quarto dei sette figli di un povero “chirurgo” (medicastro senza laurea e senza prestigio sociale), sempre pieno di debiti e forse – cosa molto grave nella Spagna degli ultimi anni di Carlo V e del lungo regno di Filippo II – di origine ebraica, Cervantes seguì la famiglia, errante da una città all'altra (Valladolid, Cordova, Siviglia, Madrid) e non poté compiere studi regolari, se non per brevi periodi presso i gesuiti, a Cordova e a Siviglia, e presso la Scuola Municipale di Madrid, diretta dall'erasmiano López de Hoyos. Questi presentò nel 1568 i primi versi di Cervantes in una raccolta dedicata alla memoria della regina Isabella di Valois, terza moglie di Filippo II, chiamandolo “il mio caro e amato discepolo”. In sostanza Cervantes fu un autodidatta, ma la sua cultura umanistica e rinascimentale fu ugualmente vasta e relativamente profonda, perché sempre sorretta da un inestinguibile desiderio di leggere e di sapere (leggeva, dirà più tardi egli stesso, persino i pezzi di carta trovati lungo le strade). Nel 1569, ricercato dalla polizia madrilena per aver ferito in una rissa un certo Antonio Sigura e condannato in contumacia, Cervantes fuggì in Italia. Qui trascorse sei anni – assolutamente decisivi per la sua formazione di uomo e di scrittore – prima a Roma, al servizio del cardinale Giulio Acquaviva, e quindi, come soldato dell'esercito spagnolo, a Napoli, in Sicilia e probabilmente anche in Sardegna e in varie città del continente. Il 7 ottobre 1571, a bordo della galera veneziana La Marchesa, prese parte alla battaglia navale di Lepanto, riportando gravi ferite al petto e alla mano sinistra, che i chirurghi militari gli resero poi definitivamente storpia. Dopo vari mesi trascorsi all'ospedale di Messina prese parte ad altre spedizioni nel Mediterraneo, soggiornando, negli intervalli, a Napoli, città che gli doveva essere poi sempre carissima e dove forse lasciò un figlio illegittimo, natogli da una donna misteriosa e crudele, da lui ricordata nella Galatea e in altre pagine sotto il nome di “Silena”. Durante il soggiorno italiano il singolare soldato lesse moltissimo: classici latini e italiani, umanisti, ecc., e scrisse versi e prose in parte perduti, in parte utilizzati poi nella Galatea. Il 20 settembre 1575 si imbarcò a Napoli sulla galera El Sol, diretto in Spagna, dove probabilmente intendeva continuare la carriera militare; ma sei giorni dopo, nei pressi di Marsiglia, venne catturato dai pirati moreschi, assieme al fratello Rodrigo, e trasportato ad Algeri. Per il suo riscatto venne fissato un prezzo esorbitante, che solo cinque anni dopo poté essere pagato, indebitando ancor più la misera famiglia dello scrittore. Quei cinque anni di schiavitù ad Algeri furono terribili, per le continue sofferenze fisiche e morali; Cervantes li sopportò eroicamente, uscendone spiritualmente più forte. Infine, nell'ottobre del 1580, rimetteva piede in Spagna dopo undici anni di assenza; ma, se aveva sperato di vedere riconosciuti in patria i meriti acquisiti, dovette disilludersi ben presto. Nella Spagna di Filippo II i reduci disoccupati pullulavano, come del resto i letterati e i teatranti (con l'imperioso astro nascente di Lope de Vega); per Cervantes , sconosciuto e povero, aprirsi una strada doveva risultare pressoché impossibile. Dopo aver tentato senza successo le vie burocratiche – gli affidarono solo un modesto incarico a Orano, che non ebbe seguito – pensò al teatro, la grande scoperta popolare del momento. I comici italiani dell'Arte (Ganassa, i Martinelli) mietevano grandi successi di pubblico nei primi teatri stabili (corrales) di Madrid e compagnie spagnole li emulavano, percorrendo tutto il Paese, specialmente in occasione delle feste del Corpus Domini, pretesto per vistose rappresentazioni all'aperto. Cervantes compose opere teatrali e le vide rappresentate: “venti o trenta”, come ricordava egli stesso, con malinconica ironia, trent'anni dopo, nel prologo delle Ocho comedias (1615), “e tutte si recitarono senza che gli si facesse omaggio di cetrioli né di altro materiale da bombardamento; corsero la loro carriera senza fischi, urlate né baraonde”. Di codesti “venti o trenta” drammi due soli ci sono pervenuti in testi difettosi pubblicati per la prima volta nel 1784 da Antonio Sancha: El cerco de Numancia (L'assedio di Numanzia) ed El trato de Argel (Il mercato di Algeri). Gli altri (quanti?) andarono perduti; e specialmente lamentabile è la perdita di uno a cui Cervantes doveva tener molto, perché lo nomina più volte: La batalla naval, che con ogni probabilità si riferiva alla battaglia di Lepanto, la giornata più gloriosa dell'esistenza dello scrittore. La qualità dei due drammi che ci sono pervenuti fa comunque deplorare la perdita degli altri. Cervantes fu sempre convinto di avere un'autentica vocazione teatrale, nata nei lontani anni della fanciullezza, quando frequentava il collegio dei gesuiti, dove il teatro era un normale strumento didattico, e per le strade di Siviglia, dove assistette con ammirato stupore alle recite di Lope de Rueda, primo allievo dei comici italiani. Ma le circostanze avverse frustrarono quella vocazione; e se ne dolse più volte, anche e soprattutto quando, alla vigilia della morte (1615), poté solo pubblicare, senza poterli mai vedere rappresentati, Ocho comedias y ocho entremeses nuevos nunca representados (Otto commedie e otto intermezzi nuovi mai rappresentati). Ma contemporaneamente al teatro Cervantes tentò un'altra via: il romanzo. Nel 1585 un modesto editore di Alcalá de Henares, Juan Gracián, pubblicava la prima parte della Galatea, un romanzo pastorale in prosa e versi, iniziato probabilmente in Italia sul modello dell'Arcadia di Sannazzaro, ma che non fu mai compiuto, sebbene Cervantes promettesse più volte – l'ultima volta tre giorni prima di morire – di darne la seconda e ultima parte. Poco apprezzata, in genere, dalla critica, la Galatea ha invece un'importanza considerevole, non solo perché contiene molti dati autobiografici e ricordi di molti cari amici degli anni d'Italia (non tutti identificati, sotto il loro “travestimento” pastorale), ma anche perché vi si pongono per la prima volta temi tipicamente cervantini, ripresi poi nelle opere maggiori. Lo stesso anno 1585 registra però un vero colpo di scena nella vita dello scrittore: l'abbandono, in apparenza definitivo, di ogni attività letteraria. “Ebbi altre cose da fare – scrisse laconicamente nel citato prologo del 1615 –, lasciai la penna e le commedie...”. E non lasciò solo la penna, ma anche Madrid, per dedicarsi, in Andalusia, a un umile mestiere: la raccolta di viveri per la spedizione che Filippo II preparava contro l'eretica Inghilterra, la famosa Invincibile Armata, destinata al completo fallimento (1588). Contribuì, forse, al colpo di scena, lo strano matrimonio (dicembre 1584) dell'ormai trentasettenne scrittore con una giovanissima hidalga rurale: Catalina Salazar, nata e vissuta in un villaggio della Mancia toledana, Esquivias (il paese di Don Chisciotte). Strano matrimonio per la differenza di età, di educazione e di idee esistenti fra i due coniugi, che comunque non ebbero figli (sola discendente diretta di Cervantes , oltre al fantomatico figlio napoletano, resterà Isabel de Saavedra, nata nel novembre del 1584 dagli amori con un'attrice, Ana Franca de Rojas, e poi ufficialmente riconosciuta dallo scrittore). Dal 1585 ai primi anni del sec. XVII la biografia di Cervantes è, almeno in apparenza, vuota di fatti letterari.

Opere: il capolavoro del Don Chisciotte

Il gramo mestiere – dopo aver raccolto viveri per l'Armata, buscandosi fra l'altro una scomunica dal Capitolo della cattedrale di Siviglia, fece l'esattore delle imposte (alcabalero), alle dipendenze di avidi e disonesti appaltatori – gli fruttò, con qualche effimero momento di agiatezza, soprattutto disgusti e guai a non finire, tanto che a un certo punto (1590) chiese di partire per l'America, con la probabile intenzione di espatriare per sempre: se un burocrate qualsiasi non gli avesse seccamente risposto di no, forse il Don Quijote (Don Chisciotte) non sarebbe mai stato scritto. Nel 1597 la bancarotta e la fuga di un banchiere-appaltatore gli procurarono un soggiorno di alcuni mesi nella prigione di Siviglia; e qui probabilmente, per “dar passatempo allo spirito malinconico e abbattuto”, cominciò a comporre il Don Chisciotte, sotto forma di novella corta. In quegli anni, infatti, aveva certamente continuato a leggere molto e a scrivere qualcosa: versi, teatro, novelle all'italiana, forse anche per contatti con scrittori sivigliani (come Mateo Alemán, il cui Guzmán de Alfarache apriva, alla fine del sec. XVI, l'era del romanzo picaresco). Lasciando definitivamente l'Andalusia, ai primi del Seicento, per trasferirsi a Valladolid, sede della corte e del governo, a sistemare i suoi complicati conti con il fisco, Cervantes portava seco un notevole bagaglio letterario: diverse novelle, fra cui la stupenda Rinconete y Cortadillo, e quasi tutta la prima parte del Don Chisciotte, per la quale chiese e ottenne nel 1604 il prescritto “privilegio”. L'anno dopo l'opera veniva pubblicata a Madrid, in una pessima edizione dell'editore Juan de la Cuesta, e il successo fu immediato quanto inatteso. Lasciata Valladolid – dove aveva avuto altre noie con la giustizia per l'assassinio di un certo Ezpeleta, in cui il povero Cervantes non c'entrava assolutamente – lo scrittore si trasferì a Madrid, dove doveva trascorrere gli ultimi dieci anni di vita (con qualche viaggio a Esquivias, dove continuava a risiedere la moglie). Il successo del Don Chisciotte (varie edizioni, anche pirate, e una prima traduzione inglese) non gli portò certo l'agiatezza, né lo liberò dai molti guai, debiti, pasticci familiari. Nel 1610 tentò invano di partire per Napoli al seguito del nuovo viceré Lemos; e forse quest'ultimo scacco e il presentimento della prossima fine lo indussero a intensificare l'attività letteraria: nel 1613 uscivano le splendide Novelas ejemplares (Novelle esemplari), nel 1614 il Viaje del Parnaso (Viaggio del Parnaso), nel 1615 la seconda parte del Don Chisciotte e le Ocho comedias y ocho entremeses, e infine nel 1617 Los trabajos de Persiles y Sigismunda (I travagli di Persile e Sigismonda), postumi però, giacché Cervantes era morto il 22 aprile dell'anno precedente di diabete e arteriosclerosi. La lettera di dedica del Persile al conte di Lemos, datata 19 aprile 1616, è un meraviglioso documento di rassegnata malinconia; e fra l'altro vi si promettevano nuove opere, quali la seconda parte della Galatea, le Semanas del jardín (Settimane del giardino), forse una raccolta di novelle come il Decamerone, e il Bernardo, perdute o non mai scritte. Ciò che restava, comunque, era più che sufficiente a fare di Cervantes uno dei maggiori scrittori di tutti i tempi.

Opere minori

Per molto tempo, secoli addirittura, la grande creazione del Don Chisciotte ha mantenuto nell'ombra tutto il resto dell'opera cervantina. Capolavoro noto persino a chi non l'ha mai letto, stimolo a innumerevoli narratori (a cominciare dai settecentisti inglesi), ispiratore di opere buffe, di drammi e farse, di quadri, arazzi, disegni (specie da Doré in avanti, fino a Dalí e Picasso) e film, il Don Chisciotte continua a essere pubblicato, tradotto, commentato, come ben pochi altri libri al mondo. Ma anche fra le opere chiamate minori figurano testi di prim'ordine: dalla delicata Galatea, squisita egloga dell'amore platonico, al poema “critico” e autobiografico Viaje del Parnaso, ispirato da un poemetto italiano (di Cesare Caporali) e purtuttavia personalissimo, fino al lungo romanzo d'avventure “settentrionali” Los trabajos de Persiles y Sigismunda, che conduce due giovani innamorati, dopo infinite complicazioni, al lieto fine, nella luce di Roma. Capolavori indiscutibili appaiono inoltre diverse opere teatrali e narrative. Fra i testi teatrali spiccano gli otto intermezzi – La guarda cuidadosa (La guardia gelosa), El vizcaíno fingido (Il finto biscaglino), El retablo de las maravillas (Il teatrino delle meraviglie), La cueva de Salamanca (L'antro di Salamanca), El viejo celoso (Il vecchio geloso), El juez de los divorcios (Il giudice dei divorzi), El rufián viudo (Il furfante vedovo) e La elección de los alcaldes de Daganzo (L'elezione dei sindaci di Daganzo) –, autentici gioielli, di un umorismo che spesso cala a fondo e implacabilmente nel sottobosco dei pregiudizi e delle debolezze umane; nonché il dramma Numancia (Numanzia), che tanto piacque a Goethe, l'autobiografica Trato de Argel, in cui gli orrori della prigionia sono rivissuti senza alcun rancore, e alcuni degli otto lavori del 1615: El gallardo español (Il valoroso spagnolo), La casa de los celos (La casa della gelosia), Los baños de Argel (I bagni di Algeri), El rufián dichoso (Il furfante fortunato), La gran sultana, El laberinto de amor, La entretenida (La divertente) e Pedro de Urdemalas. Degne, spesso, dell'autore del Don Chisciotte sono anche le dodici Novelas ejemplares: La gitanilla (La zingarella), El amante liberal (L'amante generoso), Rinconete y Cortadillo, stupendo “documentario” della malavita sivigliana, La española inglesa, El licenciado Vidriera (Il dottor Vetrata), geniale variazione sul tema fondamentale del Don Chisciotte, La fuerza de la sangre, El celoso extremeño (Il geloso d'Estremadura), La ilustre fregona (L'illustre sguattera), Las dos doncellas (Le due fanciulle), La señora Cornelia, El casamiento engañoso (Il matrimonio fraudolento) e l'ammirevole Coloquio de los perros (Dialogo dei cani). In una Spagna ormai barocca, nazionalista e pessimista, portata alle violenze e agli eccessi più disparati, Cervantes , uomo e artista esemplare del Rinascimento, lucido e sereno fino all'ultimo, contemplò le miserie e le follie del mondo col malinconico sorriso dell'umorista e dalle tristi vicende della sua stessa vita seppe trarre innumerevoli pagine d'arte immortale, valide per gli uomini d'ogni tempo e d'ogni Paese.

Bibliografia

M. Casella, Cervantes: il Chisciotte, 2 voll., Firenze, 1938; M. Delogu, Cervantes, Milano, 1938; A. Castro, Hacia Cervantes, Madrid, 1957; L. Rosales, Cervantes y la libertad, 2 voll., Madrid, 1960; M. de Unamuno, Commento alla vita di don Chisciotte, Milano, 1964; J. Casalduero, Sentido y forma del teatro de Cervantes, Madrid, 1966; C. Testa, I due miti di Cervantes, Milano, 1967; F. Olmos García, Cervantes en su epoca, Madrid, 1968; P. Guénoun, Cervantès par lui-même, Parigi, 1971; J. Canavaggio, Cervantes, Roma, 1988.

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