Chiaramónte

famiglia dell'Italia meridionale, probabilmente di origine francese, come si deduce dal loro stemma, che è il medesimo dei Clermont di Francia. I Chiaramonte ebbero in Sicilia, nei sec. XI-XV, grande fama e vasti feudi; i primi esponenti della famiglia che si ricordano sono Edgardo di Capua e Ugo, signore di Colubraro e Policoro (1087-1112). I figli di Ugo, Alessandro e Riccardo, furono proscritti da re Ruggero II; Riccardo venne riabilitato e riottenne i feudi aviti, che, ereditati poi da Riccardo II, vennero di nuovo confiscati dall'imperatore Federico II (1247) quando lo proscrisse. Le terre vennero restituite da Carlo d'Angiò a Riccardo III che fu anche insignito del titolo di conte. Il ramo maschile dei Chiaramonte si estinse con Ugo III (1315). Non si sa se da un cadetto o da un esponente dei Clermont di Francia discesero poi i Chiaramonte che, durante l'anarchia scoppiata in Sicilia a seguito della Pace di Caltabellotta (1302), tennero vivo il sentimento nazionale siciliano. A questo ramo appartennero: Manfredi I (m. 1321), siniscalco del regno, conte di Modica e signore di Caccamo; Giovanni II, detto il Giovane, difensore nel 1323 di Palermo contro gli Angioini, vicario generale di Ludovico il Bavaro nella Marca d'Ancona e di Roberto d'Angiò in Sicilia, ribellatosi al re, gli rivolse contro le armi e fu fatto prigioniero nella battaglia di Lipari (1339); Manfredi II (m. 1353), vicario generale del regno, divenne tanto potente da battere moneta ed essere in pratica signore di Palermo; Manfredi III (m. 1391), dal 1364 grande ammiraglio del regno, conte di Malta e di Modica, signore di Sicilia durante l'interregno di Maria di Navarra. Conquistò nel 1388 l'isola di Gerba e fu investito duca da papa Urbano VI. § A quest'ultimo ramo dei Chiaramonte è legata la fioritura della produzione architettonico-artistica siciliana del sec. XIV, nota come architettura chiaramontana, che determinò la stasi evolutiva del gotico siciliano in sincronia con le correnti “internazionali” e un ritorno a modelli svevi e normanni. Castelli e palazzi baronali costituiscono quasi interamente la produzione architettonica del tempo; quelli, numerosi, della famiglia nell'Agrigentino (Naro, Favara) e a Palermo (il famoso palazzo detto lo Steri) divennero le matrici tipologiche dell'architettura nobiliare isolana: masse quadrangolari compatte, con ordine terreno chiuso e ordini superiori aperti da bifore e trifore. Il tentativo di riallacciarsi al gotico svevo, classicheggiante ed equilibrato, contrasta con la vivacità dei particolari in portali e finestre e con lo scattante dinamismo strutturale, rivelando “l'aggressiva vitalità del feudalesimo in rivolta” (G. Samonà).