Descrizione generale

Popolazione dell'Asia Minore un tempo stanziata su una vasta regione dalla Persia all'Anatolia, poi divisa in più gruppi costituenti cospicue minoranze in Turchia, Iraq e Iran; altri gruppi si trovano in Armenia e soprattutto in Siria; a İstanbul è presente una notevole comunità curda. Complessivamente i Curdi si valutano a ca. 25 milioni d'individui, la maggior parte in territorio turco, cifra cospicua se si tiene conto degli eccidi cui sono stati sottoposti dai Turchi, dagli Iraniani e soprattutto dagli Iracheni, nel tentativo di reprimere i moti nazionalisti di questo popolo. I Curdi sono genti di stirpe iranica il cui tipo fisico risente delle numerose fusioni con genti autoctone dopo la migrazione nelle attuali sedi in epoca remota; secondo alcuni studiosi, i Curdi discendono dai Karda-ka, citati negli antichi testi sumerici; da altri sono ritenuti affini ai Cartveli. Pastori nomadi, sono suddivisi in tribù di grandi famiglie patriarcali, organizzate su base feudale e rette da un capo ereditario, spesso ostili fra loro; sono, in maggior parte, musulmani sunniti; ancora radicate la sacralità dell'ospitalità, la divisione in classi e, tra i benestanti, la poligamia. L'economia tradizionale è basata sulla pastorizia, sebbene oggi non poche tribù abbiano tentato di diventare agricoltori sedentari; notevole l'artigianato, soprattutto delle pelli lavorate e dei tappeti.

Storia

Le tribù curde manifestarono sempre un vivo spirito d'indipendenza e s'opposero, spesso vittoriosamente, ad Arabi, Persiani e Turchi; nel 1514 entrarono definitivamente nell'orbita ottomana: il sultano concesse autonomia ai capi tribù annettendoli al proprio sistema feudale. Nel corso dell'Ottocento, soprattutto tra il 1832 e il 1847, la spinta centralizzatrice del governo ottomano suscitò tra i Curdi numerose insurrezioni. Nel 1920 il Trattato di Sèvres, assicurando ai Curdi della Turchia una lata autonomia, parve dare soddisfazione ai sentimenti nazionali sorti tra la popolazione nei primi anni del 1900. Il trattato rimase però in realtà lettera morta: la Repubblica turca non riconobbe ai Curdi uno status particolare (Atatürk li considerava “turchi delle montagne”). Nonostante la severa repressione, i nazionalisti non cedettero le armi e il “pericolo” separatista curdo ebbe un certo peso nel determinare, nel marzo 1971, l'intervento dei militari nella vita politica turca. Dopo un periodo di stasi, la guerriglia curda riprese nel 1984, ed è proseguita da allora con una serie di sanguinosi scontri aggravatisi nel 1992, quando il Partito dei Lavoratori del Kurdistān (PKK) chiamò la popolazione alla rivolta generale. Ma anche negli altri Paesi nei quali sono presenti, i Curdi hanno dovuto subire vessazioni e si sono vista negata la possibilità di sviluppare una propria autonomia. In Iran, la Repubblica curda di Mahābād, costituita nel 1946 con l'aiuto sovietico, venne cancellata, dopo il ritiro dell'Armata Rossa. In Iraq la resistenza contro il regime iniziò nel 1961, guidata da Muṣṭafā Barzānī; segnò una pausa nei primi anni Settanta, quando si profilò un'ipotesi di autonomia culturale e amministrativa, per riprendere nel 1974-75 con l'appoggio dello scià di Persia. Nel 1988 i Curdi iracheni, colpevoli di sostenere l'Iran nella sanguinosa guerra che vedeva coinvolti i due Paesi, furono ferocemente repressi dal regime di Baghdad con l'uso di armi chimiche e subirono la morte di almeno 20.000 persone e la distruzione di migliaia di villaggi. Nel 1991, in seguito alla sconfitta irachena nella guerra del Golfo, la resistenza curda riprendeva l'iniziativa in concomitanza con l'insurrezione, nel Sud del Paese, delle popolazioni sciite. Anche in questo caso, però, la reazione del regime iracheno era durissima. Oltre alle migliaia di morti dovuti alle conseguenze dirette della repressione, altre migliaia di Curdi perdevano la vita per gli stenti e le intemperie nel tentativo di fuggire verso la Turchia e l'Iran. Il profilarsi di un vero e proprio genocidio sollecitava l'opinione pubblica mondiale a intervenire e costringere il regime iracheno ad avviare una trattativa con i capi della resistenza curda per la definizione di un'ampia autonomia e la garanzia per il ritorno dei profughi. Risolto il problema dei Curdi iracheni, si aggravava invece quello delle comunità curde stanziate in altri Paesi e, soprattutto, in Turchia, da cui, per sfuggire alla repressione, partivano flussi migratori sempre più consistenti verso l'Italia, ponendosi però come meta finale la Germania. Proprio in Italia, alla fine del 1998, veniva arrestato, su mandato di cattura tedesco, il leader del PKK Abdullah Oçalan. La successiva cattura di Oçalan in Kenya, dove nel frattempo si era rifugiato, da parte dei servizi speciali turchi e la sua condanna a morte emessa dalla Corte militare di Ankara (giugno 1999) determinavano una ripresa dell'attività terroristica del P.K.K. e un inasprimento della repressione militare nei confronti dei Curdi. Sollecitato dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, il governo turco, preoccupato per l'imminente ingresso del Paese nell'Unione Europea, decideva di sospendere l'esecuzione del leader curdo. Dopo l'abbattimento del regime di Saddam Ḥusayn i Curdi iracheni del hanno maggiormente beneficiato della nuova situazione politica, godendo di uno status molto vicino all'autonomia, anche se nel 2007 la Turchia intensificava le incursioni militari vicino al confine iracheno. Nel 2005 il governo regionale curdo guidato da M. Bārzānī incontrava molte difficoltà nel risollevare la situazione economica della regione e nell’instaurare un sistema democratico stabile. Nel tentativo di rafforzare la posizione del Partito Democratico del Kurdistan, di cui era esponente, Bārzānī ha annunciato un referendum per l’indipendenza. Dopo numerosi rimandi, il referendum per l’indipendenza del Kurdistan aveva luogo nel 2017 e registrava il 92% dei voti favorevoli alla secessione. Le velleità secessioniste curde non riuscivano però a trovare un vasto sostegno internazionale e Bārzānī proponeva al governo di Baghdad la rinuncia all’indipendenza del Kurdistan in cambio di una distensione lungo il confine tra i territori iracheni e quelli curdi. Nel settembre 2017 le difficoltà incontrate nella pratica di governo portavano  Bārzānī alle dimissioni. Nel settembre 2018 si svolgevano le elezioni e il Partito Democratico del Kurdistan si aggiudicava nuovamente la maggioranza dei viti, mentre risultavano in calo i partiti di ispirazione islamista.
Anche i rapporti tra i Curdi e il governo turco restano tesi: nel 2018 la Tuchia interveniva militarmente nel contesto della Guerra civile attaccando il cantone di Afrin, nel governatorato di Aleppo, zona controllata dalle forze curde siriane. Nell’ottobre 2019 la Turchia iniziava una nuova offensiva in territorio siriano, che aveva come obiettivo la regione del Rojava, vicino al confine fra Siria e Turchia, rivendicata dai nazionalisti curdi come parte del Kurdistan.
 

D. Kinnane, The Kurdish Problem, Oxford, 1964; idem, The Kurds and Kurdistan, Oxford, 1965; H. Arfa, The Kurds. An Historical and Political Study, Oxford, 1966; M. Galletti, I Curdi nella storia, Chieti, 1990; M. Galletti, Storia dei Curdi, Milano, 2004; S.Surme-L. Guella, Essere Curdo: il più grande popolo senza Stato, tradito dalla storia, Book Sprint edizioni, 2020.

 

 

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