Dalài-lama

sm. inv. [dal mongolo dalai e dal tibetano lama, propr. maestro la cui saggezza è infinita come l'oceano], il capo dello Stato teocratico tibetano. Il titolo Dalai fu dato nel 1575 al capo del monastero di Laṣha, successore del grande Tsong-kha-pa dal principe mongolo Atan Khān, convertitosi al buddhismo. La sovranità del Dalai-lama si consolidò col V successore di Tsong-kha-pa (sec. XVII). Il Dalai-lama regnante, il XIV in linea diretta, Tenzin Gyatso, incoronato nel 1940 a soli cinque anni, vive in esilio in India, dopo l'occupazione del Tibet da parte della Repubblica Popolare Cinese (1959). La successione alla carica è determinata da un processo divinatorio (fondato su indicazioni del Dalai-lama in punto di morte, su responsi dell'oracolo di Stato e su presagi vari), inteso ad accertare in quale bambino, nato il 49º giorno dopo la morte del titolare, questi si sia incarnato. Il bambino prescelto sarà il nuovo Dalai-lama. Questa successione “miracolosa” si spiega con il fatto che in ogni Dalai-lama si crede sia incarnato il bodhisattva Avalokiteśvara, il quale in questo modo guida perennemente gli uomini alla salvezza. Il Dalai-lama regnante Tenzin Gyatso, nel maggio 1995, aveva individuato la decima reincarnazione del Panchen Lama in un bimbo di sei anni, Gedhun Choeki Myima, scomparso nel giugno-luglio 1995, rapito, sembra, dalle autorità cinesi. Il rapimento si inserisce nel quadro dell'aspro conflitto che contrappone Cina e Tibet .

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