Gottsched, Johann Christoph

scrittore tedesco (Judithenkirchen, Königsberg, 1700-Lipsia 1766). Si sottrasse alla leva prussiana fuggendo a Lipsia, dove diventò professore di poetica (1730), di logica e di metafisica (1739), quindi rettore dell'università (1739). Teorico principe del neoclassicismo francesizzante del primo Settecento tedesco, specie fra il 1730 e il 1740, dettò i suoi principi estetici in Versuch einer kritischen Dichtkunst (1730; Saggio di una poetica critica), in cui, sulla scia di Boileau e del razionalista Wolff, suo maestro, dava un valido modello di stile chiaro e misurato, escludeva dalla poesia ogni elemento meraviglioso e popolare e ogni resto di manierismo barocco (condannando Shakespeare, Milton e Klopstock). Egli indicava l'essenza dell'arte nell'imitazione della natura e il suo scopo nel prodesse et delectare, i suoi modelli nei latini, in Corneille e Racine. Entrò in conflitto con gli svizzeri Bodmer e Breitinger, fautori della nuova estetica, e per la sua pedantesca smania di dettar regole fu inviso a Lessing e alla generazione di Goethe. Solo intorno al Novecento si è riconosciuta la sua funzione positiva nello sviluppo del teatro nazionale tedesco, al quale ridiede decoro e dignità letteraria, collaborando con la compagnia diretta da F. Caroline Neuber, bandendo dalle scene Hanswurst e componendo svariate tragedie, tra cui Der sterbende Cato (1732; Catone morente). Notevole importanza ebbe la sua attività di traduttore e divulgatore della cultura francese, nonché di linguista: con la sua Sprachkunst (1748; Linguistica) contribuì alla formazione di una lingua tedesca comune al Nord e al Sud.

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