Hallenkirche

sf. tedesco (composto da Halle, sala, atrio e Kirche, chiesa). Il termine designa la tipologia architettonica medievale della chiesa a navate (generalmente tre) di uguale altezza: l'abolizione di matronei, triforium o clerestory, determinò la necessità dell'apertura di fonti di luce nei muri perimetrali. Sebbene esistano esempi di Hallenkirche romanici (Poitiers, Notre-Dame-la-Grande), questa tipologia ebbe la sua massima diffusione in periodo gotico, dapprima soprattutto nelle regioni nordoccidentali (Marburgo, S. Elisabetta, 1235; cattedrali di Münster, 1225-26, e Paderborn, 1225-43), poi meridionali della Germania (Schwabisch-Gmünd, Heiligenkreuze, 1351; Landschut, S. Martino, 1390; Monaco, Frauenkirche, 1468), dove costituì una valida alternativa ai complessi giochi statici del trionfante gotico francese. Analoga struttura ebbero in Italia le “chiese a sala” romaniche, frequenti nelle regioni centrali e meridionali (Orvieto, S. Giovenale; Brindisi, S. Benedetto, 1080) e rinascimentali (chiesa di Pienza di B. Rossellino). Data la sua particolare funzionalità liturgica, la Hallenkirche fu adottata anche in Inghilterra (chiese parrocchiali di Londra, ricostruite dopo l'incendio del 1666, di Ch. Wren).

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