(accadico Hatti, egiziano Ht, ebraico Ḥittî). Popolazione indeuropea che abitava la parte centrale dell'Asia Minore nel II millennio a. C.

Storia: dalle origini all' "Antico regno"

L'arrivo degli Ittiti in Anatolia, presumibilmente da ovest attraverso i Balcani, è di difficile datazione, posta la problematicità dei collegamenti di movimenti migratori con mutamenti della cultura materiale attestati archeologicamente (collegamento abituale, ma semplicistico). Del resto dovette trattarsi di un fenomeno di notevole durata, che portò in Anatolia varie ondate di popolazione indeuropea, ondate alle quali possono risalire le differenze linguistiche tra vari gruppi (pure assai affini tra loro): oltre agli Ittiti (al centro) vi erano i Luviti (a sud) e i Palaiti (a nord-ovest). Tutti si sovrapposero all'antica popolazione non indeuropea, che viene chiamata convenzionalmente Pre-Ittiti (Proto-Ittiti è anche usato, ma è erroneo perché fa pensare a una continuità linguistica tra essi e gli Ittiti che invece è esclusa); anticamente la lingua dei Pre-Ittiti era detta hattili (“della terra di Hatti”), mentre la lingua di quelli che chiamiamo Ittiti era detta nešili (“della città di Neša”). La situazione etnico-linguistica dell'area ittita è ulteriormente complicata da infiltrazioni hurrite nel sud-est (Kizzuwatna). Tale quadro è già sostanzialmente costituito quando i testi paleo-assiri (sec. XIX-XVIII a. C.) rinvenuti a Kültepe (antica Kaniš) e in altre località della Cappadocia offrono per la prima volta ricco materiale onomastico anatolico. Gli Ittiti (e le altre genti imparentate) erano allora già giunti in Anatolia, forse da non molto tempo (forse alla fine del III millennio) e stavano organizzandosi in staterelli di raggio cittadino. La documentazione, essendo costituita da lettere e documenti contabili dei mercanti assiri che frequentavano la regione, offre un quadro parziale; ma risulta chiaro che gli Stati anatolici erano indipendenti politicamente rispetto all'Assiria, con la quale intrattenevano solo rapporti commerciali. I regni locali erano numerosi: oltre a quello di Kaniš c'erano Burušhanda, Šalatiwar, Tarhumit, Nenašša, Zalpa, Hattusa, Hahhum, Šamuha, Luhuzatiya e tanti altri (per lo più di incerta localizzazione). Dalle vicende politiche e militari emergeva a volte qualche figura di maggior prestigio. Circa un secolo dopo prese forma, nella stessa città di Kuššara, una dinastia che diede vita al primo grande regno ittita. Ne fu iniziatore un re, Labarna (ca. 1680-50), figura in parte leggendaria e additata dai successori come modello di buon governo e di successo politico e militare. Certo è che con Labarna, Kuššara, da regno cittadino, divenne capitale di uno Stato regionale abbastanza vasto, che toccava forse il Mediterraneo. Il suo successore Labarna II, avendo trasferito la capitale ad Hattusa, mutò il suo nome in Hattušili (ca. 1650-20). Continuò l'espansione militare sia verso ovest (Arzawa) sia verso la Siria settentrionale, con la conquista di Uršum, Haššum, Hahhum, Alalah. Lo Stato ittita venne così a fronteggiare il potente regno di Yamhad (Aleppo) col quale iniziò una dura lotta. Ai successi militari non si accompagnava la solidità politica interna: lo attestano una rivolta generale verificatasi mentre il re era impegnato contro Arzawa, e soprattutto lo documenta il “Testamento” col quale il re diseredava i suoi discendenti diretti e designava a successore un figlio adottivo, Muršili, denunciando le trame cui era stato sottoposto all'interno stesso della corte e della famiglia reale. Muršili (ca. 1620-1590) proseguì l'espansione verso sud-est, concretandola nella conquista e annessione di Aleppo, e persino in una fortunata spedizione contro la lontana Babilonia, dalla quale riportò ricco bottino e gran prestigio. Lo Stato ittita in questa fase (detta “Antico Regno”) dà l'impressione di vitalità ed energia soprattutto sul piano militare, ma anche di carenze organizzative. In effetti la struttura del potere, che il re doveva difendere dall'ingerenza della cerchia nobiliare e forse dell'assemblea (pankuš), era piuttosto debole. Le contraddizioni interne diventarono presto vistose: Muršili fu ucciso dal cognato Hantili, che gli succedette sul trono dando inizio a una lunga serie di torbidi e parallelamente alla decadenza politica (i possedimenti siriani andarono perduti). Congiure a catena fecero salire al trono Zidante (che uccise il figlio di Hantili), poi Ammuna (che uccise suo padre Zidante), poi Huzziya, infine Telipinu (ca. 1525-1500). Quest'ultimo si presentò come restauratore dell'ordine e descrisse a tinte fosche il regno dei suoi predecessori; ma il testo delle “Riforme” da lui promulgate sembra puramente velleitario. Sul piano internazionale lo Stato non aveva più la preminenza assoluta neppure in Anatolia, come mostrano trattati stretti su un piano paritetico tra i re ittiti e quelli di Kizzuwatna. La situazione peggiorò ulteriormente per l'ascesa del regno di Mitanni che conglobò nella sua sfera di influenza sia Aleppo sia Kizzuwatna.

Storia: dal regno di Šuppiluliuma alla fine dell'impero

Verso il 1400 il Paese fu attaccato e saccheggiato da nemici esterni di varia provenienza, e anche la capitale fu incendiata. Fu Šuppiluliuma (ca. 1380-45) a ristabilire dapprima la sicurezza del territorio ittita lottando contro i barbari Kaška del Nord anatolico, e a portare poi lo Stato a un nuovo inserimento internazionale e infine a una posizione di preminenza quale mai aveva raggiunto. Con l'Egitto venne a un accordo per la spartizione della Siria, mentre la trasformazione di Mitanni in regno vassallo degli Ittiti portò Šuppiluliuma a iniziare rapporti ostili con l'Assiria. Muršili (ca. 1345-15) fu impegnato soprattutto all'Ovest, contro i vari regni di Arzawa ai quali impose trattati di vassallaggio: gli Annali del re mostrano che il mantenimento dell'impero era ottenuto solo a costo di continue spedizioni militari. Muwatalli (ca. 1315-1290) dovette difendere i possedimenti siriani dalle velleità espansionistiche di Ramesse II, da lui fermato con la battaglia di Qadesh (ca. 1294), e affidò al fratello Hattušili III la difesa del Nord dell'impero contro i turbolenti Kaška. Dopo il breve regno di Urhi-Tešub, Hattušili III prese a sua volta il potere (ca. 1280-50), mutò politica venendo a un trattato di pace con Ramesse II (1278) al quale diede in moglie sua figlia suggellando così un'alleanza che in effetti non venne più turbata. Tudhaliya IV (ca. 1250-20) poté così riservare tutte le sue energie allo scontro con l'Assiria, che aveva da tempo annesso Mitanni e fronteggiava gli Ittiti sull'Eufrate. La frontiera dell'Eufrate resistette, ma l'impero cominciò a disintegrarsi dall'interno: i vassalli siriani dipendevano ormai dai re (di origine ittita) di Karkemiš, e fenomeni di distacco si manifestarono sia nell'Est (Mita di Pahhuwa) sia nell'Ovest anatolico (Madduwatta; a meno che il testo non sia da datare al sec. XV, come alcuni propongono). Gli ultimi re ittiti, Arnuwanda III (ca. 1220-05) e Šuppiluliuma II (ca. 1205-1190) sembrarono preoccupati soprattutto di assicurarsi la fedeltà sempre più sfuggente dei vassalli e dei funzionari di corte. Verso il 1190 sopravvenne la catastrofe: i “popoli del mare” devastarono la costa meridionale dell'Anatolia sopraffacendo esercito e flotta ittite, e altri gruppi (i Kaška, o forse avanguardie dei Frigi) distrussero la capitale rimasta senza adeguata difesa. L'impero era finito per sempre, e anche dal punto di vista etnico-linguistico si assiste alla sostituzione delle genti ittite da parte di altre (specialmente Frigi). La fine dell'impero non coincise dovunque con la fine della storia ittita. Nella situazione politicamente ed etnicamente mutata dopo il 1200 emerse tutta una serie di piccoli Stati detti “neo-ittiti”, caratterizzati dall'uso della scrittura “ittita geroglifico” nelle iscrizioni monumentali. Stati neo-ittiti sono presenti in Siria (Karkemiš, Hattina), in Cilicia (Que, Hilakku), nell'alto Eufrate (Kummuh, Melid, Gurgum) e in Cappadocia (Tabal, che è l'unico di una certa estensione). Tra i sec. XI e IX la situazione politica internazionale abbastanza fluida permise loro notevole libertà di esistenza; ma col crescere della potenza dell'impero neoassiro la loro sorte fu segnata. La vittoria di Tiglatpileser III sugli Urartei (743) rese gli Assiri padroni della zona neo-ittita, e i singoli Stati dovettero capitolare e furono ridotti a province assire dallo stesso Tiglatpileser e da Sargon II tra il 740 e il 710 a. C. Il nome degli Ittiti fu ancora usato per qualche secolo, con un significato diverso: gli Assiri continuarono a chiamare Hatti la Siria settentrionale e poi estesero il nome a tutta la regione siropalestinese, e nell'Antico Testamento gli Ittiti sono una delle popolazioni che abitavano la Palestina prima della conquista israelitica.

Religione

Di natura politeistica come tutta la cultura ittita, nasce per influsso della civiltà mesopotamica, con un'elaborazione originale di elementi oriundi ittiti e indigeni pre-ittiti, oltre che mesopotamici. Formatasi con l'impero ittita la religione è ragione della sua edificazione, ed è pertanto lecito cercare in essa la chiave della concezione ittita dell'impero. Punto di partenza fu la situazione politico-sociale che gli Ittiti trovarono in Anatolia: una costellazione di città-Stato templari, di tipo mesopotamico, ossia comunità territoriali facenti capo a un tempio. La penetrazione o la conquista del Paese da parte degli Ittiti consistette sostanzialmente nella loro sostituzione agli indigeni nel governo dei templi e delle comunità che ne dipendevano. In altri termini, gli Ittiti si misero al “servizio” degli dei che ordinavano territorialmente l'Anatolia; l'espressione “servi degli dei” fu in effetti la definizione che essi diedero a se stessi. Su questa linea dell'acquisizione territoriale intesa come acquisizione di un servizio divino si sviluppò l'impero. Un solo uomo, colui che era diventato il capo della comunità templare di Hattu, realizzò l'idea di sostituirsi gradatamente ai capi delle altre città templari. L'Anatolia divenne il “Paese di Hattu(sas)”; gli abitanti furono detti Ittiti da Hattu; e divennero sudditi, sia pure tramite i templi cui facevano capo, di questa nuova figura di monarca-sacerdote. Il re ittita era in effetti un sacerdote: era l'unico che poteva sacrificare direttamente; gli altri sacrificavano soltanto mediante i sacerdoti specializzati. La fonte del suo potere era il servizio che prestava a tutti gli dei che avevano sede in Anatolia; il suo titolo, a questo riguardo, era quello di “servo degli dei” per antonomasia. Tutti questi principi d'ordine religioso si rilevano nella realizzazione dell'impero ittita che si configura come una confederazione di comunità templari aventi per unico capo quello della comunità templare di Hattu. Consolidata questa situazione nella regione anatolica, poteva essere conquistato anche il resto del mondo: dove si trovavano comunità templari, si costringevano a riconoscere il re ittita come “servo” del rispettivo dio; se le città-Stato erano diversamente organizzate, venivano espropriate ai loro abitanti e ridotte a una città templare, proprietà di un dio, amministrabile dal re ittita. Il “servizio” reso dal re agli dei era una specie di sublimazione dell'originario servizio templare che consisteva sostanzialmente nel nutrire il dio titolare del tempio, ovvero nel dargli la sua spettanza come proprietario del suolo su cui viveva la comunità. Il re, invece, offriva, più che il nutrimento, la sua azione regale: le sue imprese, le sue conquiste. E così come era scrupolosamente registrato presso ogni tempio qualsiasi prodotto destinato al dio, il re faceva registrare ogni sua azione, sia imprese belliche sia cerimonie o altro, che egli dedicava, sotto forma di atti, agli dei. Tali atti venivano redatti come veri annali e offerti annualmente; pure annualmente il re doveva recarsi in pellegrinaggio a tutti i templi dell'impero per dare atto formale del “servizio” divino da cui derivava il suo potere. Di qui la singolarità del politeismo ittita per il quale gli dei non erano forme di realtà universali, ma di unità territoriali: dio nazionale dell'impero era un dio sovrano con caratteri del “dio della tempesta” mesopotamico (Adad); il suo nome era indicato con l'ideogramma U comune a vari dei di località diverse (in una lista, troviamo ben 21 U). Evidentemente ogni U si distingueva dall'altro non per una diversa natura, ma per una diversa sede di culto, e quindi serviva a identificare un territorio. Lo stesso dicasi della divinità indicata con l'ideogramma mesopotamico UTU (sole). Risulta esserci più di un UTU, e UTU era anche la dea-sole della città di Arinna, la quale, nella sistemazione teologica ittita, appare come sovrana e sposa del “dio della tempesta”. Ai piedi di questa dea venivano deposti, come offerta agli dei, gli atti che registravano le imprese del re. In questo panorama il pantheon ittita era composto di divinità dall'origine più varia e non rifletteva una visione del mondo, ma piuttosto denominava il territorio ittita, dovendo la sua formazione unicamente alle divinità che gli Ittiti avevano trovato in Anatolia. Il “servizio” agli dei, che fondava la presenza ittita in Anatolia, comportava il massimo adeguamento alla volontà divina; il che si otteneva mediante un gran numero di tecniche divinatorie, tra cui si ricorda, per la sua importanza, l'auspicio, ossia la consultazione del volo e del comportamento degli uccelli. Il peccato per eccellenza, anzi il “reato” data la sua punibilità, era la trasgressione alle norme o agli ordini divini. La ricerca e l'espiazione di eventuali trasgressioni essendo di fondamentale importanza, acquistò particolare rilievo l'istituto della confessione. L'idea stessa del peccato fu personificata in un dio, Wastulassis, che assieme ad altre divinità astratte quali Hantassas (equità) e Istamanassas (esaudimento), a differenza degli altri dei che ordinavano il territorio, regolavano i rapporti tra uomini e dei, e quindi il comportamento umano. Della ricca mitologia ittita si ricordano i due miti più estesi: quello del dio Telepinus (identificato solitamente con il mesopotamico Tammūz), il quale scompare provocando la sterilità della terra, ma poi è costretto a tornare e a ristabilire l'ordine; quello della lotta vittoriosa del dio dell'ordine (il “dio della tempesta”) contro il serpente Illuyankas, personificante le forze del caos. Un terzo mito, quello dell'evirazione del dio-cielo (il mesopotamico Anu) da parte del dio Kumarbi, va ricordato in quanto, anziché riallacciarsi alla tradizione mesopotamica, trova un singolare riscontro nel mito greco della evirazione di Urano da parte di Crono. Un distacco dalla tradizione mesopotamica, che presso gli Ittiti è presente nelle idee sull'aldilà, nei rituali, negli scongiuri, nelle formule magiche, ecc., si ha anche nella pratica funeraria dell'incinerazione.

Arte

L'arte ittita, su cui agì, oltre all'influsso siriaco, una conoscenza più o meno diretta dell'arte mesopotamica, è nota soprattutto attraverso gli scavi di Boğazkale (l'antica Hattusa), Alaca Hüyük,Yazilikaya, che hanno riportato alla luce templi, palazzi, mura e fortificazioni del periodo imperiale (1400- 1200 a. C. ca.). Le poderose mura urbane (Boğazkale, Alaca Hüyük), con imponenti porte incassate fra torrioni, racchiudevano il palazzo reale e i templi, strutturati in maniera analoga: basamenti a grossi blocchi quadrati o massicce lastre poste verticalmente, e parte superiore in mattoni crudi e travi di legno. L'architettura templare, come è dimostrato dai cinque templi di Boğazkale, contemplava la presenza di un cortile circondato da numerosi ambienti, di una sala del trono e di una cella per il simulacro della divinità. La scultura, monumentale ma non priva di originalità e caratterizzata da una certa vivacità di resa plastica, è documentata dai rilievi rupestri (il maggior ciclo è quello del santuario di Yazilikaya, con processione di dei e dee) dagli ortostati a rilievo (porta di Alaca Hüyük, con processione di sacerdoti e offerenti guidata dall'imperatore e dall'imperatrice), dai rilievi che ornano le porte urbane (protomi leonine e sfingi a Boğazkale e Alaca Hüyük). Interessanti appaiono anche le manifestazioni delle arti minori, con particolare riferimento ai sigilli cilindrici finemente intagliati e alle statuette-amuleto d'oro e d'argento riproducenti in piccolo le statue cultuali dei templi.

Bibliografia

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