Kurdistān (regione dell'Asia Anteriore)

Indice

Generalità

Regione dell'Asia Anteriore, compresa fra il Tauroorientale esterno, la catena degli Zagros e le alte vallate dei fiumi Tigri ed Eufrate. Nel territorio, in gran parte montuoso, si apre il lago di Urmia. La regione è popolata da Curdi, dediti all'agricoltura e alla pastorizia, misti a elementi arabi e turchi. Città principali sono Diyarbakir e Van in Turchia, Bākhtāran in Iran, Kirkuk, Arbil e Sulaimaniya in Iraq.

Storia

Sottomesso da Ciro, il territorio dei Curdi fu poi controllato a partire dal sec. IX dai califfi di Baghdad; conquistato poi dai Mongoli, nel sec. XVI passò sotto il dominio ottomano. Tra la fine del sec. XIX e l'inizio del XX nell'ambito dei moti d'indipendenza all'interno dell'Impero ottomano, anche in Kurdistān si manifestarono movimenti autonomistici ma, alla fine del primo conflitto mondiale, il territorio fu diviso tra Turchia, Iran (la cui sezione costituisce l'omonima provincia) e Iraq. I Sovietici, nel 1946, appoggiarono la nascita della Repubblica di Mahābād, che ebbe tuttavia vita breve e che non costituì un grosso problema per l'Iran, che, pur avversando i movimenti indipendentisti curdi, non ha mai attuato una politica repressiva. Nel corso degli anni Novanta, sono stati numerosi i mutamenti che hanno interessato la regione del Kurdistān, intesa nella generale accezione che include la porzione di territorio sottoposta al dominio turco e quella situata all'interno dello Stato iracheno. Nel Kurdistān turco è proseguita, con maggior vigore, la contrapposizione violenta tra l'esercito turco e gli esponenti del Partito dei lavoratori del Kurdistān (PKK), iniziata nel 1984, le cui manifestazioni hanno prostrato sotto il profilo umano ed economico quei territori (17.000 sono state le vittime fra il 1984 e il 1995). I mutamenti verificatisi al vertice della dirigenza turca, con le elezioni del 1991, avevano aperto la speranza a importanti mutamenti: oltre alla proposta dell'abrogazione dello stato di emergenza nei territori curdi, era anche stata avanzata la rivendicazione del diritto all'insegnamento del curdo e della pubblicazione di giornali e libri in questa lingua, nonché la richiesta di aprire trattative per discutere l'introduzione di uno statuto di autonomia regionale. Da parte del governo, però, non vi è stato alcun segnale di apertura, al contrario sono aumentati i blocchi alimentari e le restrizioni alla circolazione, gli incendi di foreste, di vigneti e di raccolti, l'avvelenamento dei pozzi e l'evacuazione forzata di province e interi villaggi. Tra le province che maggiormente hanno subito le conseguenze di questa politica devono essere annoverate quelle di Siirt, Hakkâri e Sırnak, situate nella zona meridionale, lungo il confine con l'Iraq e la Siria; il caso più emblematico è rappresentato dalla provincia di Sırnak, ove sono stati evacuati 243 villaggi su un totale di 325. I riflessi che questo fenomeno ha avuto sui movimenti di popolazione, considerando sia quelli indotti con la forza sia quelli attuati autonomamente, ma sempre a causa delle difficili condizioni di vita imposte, sono visibili sotto diversi profili. Agli spostamenti interni a una stessa città, devono essere aggiunte le migrazioni che dai villaggi si dirigono verso i grandi agglomerati urbani dell'Est anatolico – in particolare Batman e Diyarbakır – che hanno visto raddoppiare e, in alcuni casi, triplicare, la loro popolazione. Il flusso migratorio si dirige anche verso il Kurdistān iracheno, ove, secondo i dati dell'Alto Commissariato per i Rifugiati dell'ONU, nel 1994 sono giunti dalla Turchia, più di 10.000 rifugiati curdi, fuggiti dopo una vasta offensiva militare turca, condotta con particolare violenza. Importanti poli di attrazione sono anche alcune città situate al di fuori del territorio del Kurdistān: pur non essendo trascurabili le dimensioni delle correnti migratorie che si dirigono verso İstanbul, Ankara, Smirne o Antalya, è la regione di Adana quella che accoglie la parte più consistente degli sfollati, probabilmente perché è la meno distante e la più facile da raggiungere. La politica repressiva portata avanti dalla dirigenza di Ankara è il segno evidente della ferma volontà di ottenere il controllo del territorio del Kurdistān turco, onde realizzarvi, nelle migliori condizioni possibili, una serie di progetti mirati ad accrescere il potenziale economico dell'intera Turchia. Strettamente connessa alla stabilizzazione di questo territorio è, infatti, la realizzazione dell'oleodotto che dovrebbe consentire il transito del petrolio azerbaigiano da Baku, sul Mar Caspio, fino al terminal mediterraneo di Yumurtalik, nel golfo di Ceyan, destinato ad attraversare proprio il Kurdistān turco. Le operazioni di guerriglia condotte dai Curdi del PKK potrebbero mettere in pericolo la sicurezza delle infrastrutture dell'oleodotto e pregiudicare seriamente l'attuazione di questo progetto, che, tra l'altro, è anche ostacolato dalla Russia, la quale propone, in alternativa a quello turco, il suo porto di Novorossijsk, sul Mar Nero. L'interesse turco alla realizzazione dell'oleodotto si spiega alla luce dei vantaggi economici che si contano di ottenere: Ankara spera di sottrarsi alla dipendenza nei confronti del petrolio del Medio Oriente e, inoltre, conta sulla possibilità di pagare una parte del petrolio del Caspio tramite i ricavi che le proverrano dai diritti di transito dell'oleodotto sul suo territorio. Al di là di questo progetto, che ancora rimane nel campo delle ipotesi e le cui implicazioni esorbitano anche dalla specifica dimensione territoriale del Kurdistān turco, esiste un piano di sviluppo (Gran Progetto Anatolico, GAP), a cui sono collegati tredici progetti specifici, che si propone di rimodellare il tessuto socio-economico di una porzione significativa del Sud-Est anatolico per rinsaldarne i legami con il resto della Turchia: le province interessate sono quelle di Gaziantep, Adıyaman, Sanlıurfa, Diyarbakir, Mardin, Siirt, Sırnak, incontestabilmente parte integrante del Kurdistān turco. Nel 1994 è stata avviata una prima fase di questo progetto con l'attivazione della diga Atatürk, la cui realizzazione ha determinato la distruzione di 116 villaggi, tutti inondati, e il trasferimento forzato di 55.000 persone: i sistemi di drenaggio e di irrigazione che da essa dipendono permettono di irrorare più di 150.000 ettari della piana di Harrar. In generale, l'obiettivo finale del GPA è la modifica del sistema agricolo tradizionale di questa parte del Kurdistān, incentrato su un determinato tipo di colture “secche”, quali il grano, l'avena, i pistacchi, le lenticchie, le olive. La disponibilità di enormi quantità di acqua che la diga Atatürk garantisce permette l'introduzione di nuove colture, principalmente frutti e legumi, che consentirà anche lo sviluppo di industrie alimentari. Parte integrante del progetto è anche un piano di sviluppo del sistema di comunicazione incentrato sulla realizzazione di un'autostrada, che collegherà le città di Adana, Gazantiep, Sanlıurfa e Diyarbakır, alla quale sarà affiancata una nuova linea ferroviaria che coprirà lo stesso percorso e un nuovo aeroporto internazionale a Sanlıurfa. La dimensione di questi progetti di sviluppo chiarisce l'importanza che ha per Ankara il territorio del Kurdistān turco e, allo stesso tempo, spiega l'ingerenza della Turchia nelle vicende del Kurdistān iracheno che, qualora riuscisse a costituirsi in una entità autonoma e indipendente, diverrebbe un polo di attrazione e accentuerebbe in maniera forse irreversibile la spinta centrifuga dei Curdi della Turchia, già difficilmente tenuta sotto controllo. Sotto questo profilo, grave motivo di tensione ha rappresentato la risoluzione adottata dall'ONU, nel 1991, che ha consentito la creazione di una zona di sicurezza all'interno del Kurdistān iracheno, compresa tra il 36° parallelo e il confine settentrionale dell'Iraq, al cui controllo è stata sottratta. Verso questo territorio sono affluiti i due milioni di profughi che pochi mesi prima erano stati costretti ad abbandonarlo e a rifugiarsi nella vicina Turchia e in Iran per sfuggire alla repressione irachena, suscitata dal tentativo curdo di approfittare della sconfitta dell'Iraq nella guerra del Golfo (1991) per assicurarsi maggiore autonomia. Per i profughi, il ritorno in patria ha significato innanzitutto l'impegno per la ricostruzione e la ripresa delle attività economiche, oltre che l'avvio di un processo politico, sfociato, nel 1992, nella costituzione di una Assemblea generale e di un governo regionali. L'amministrazione curda, però, ha dovuto scontrarsi con la scarsità di mezzi finanziari, principale causa delle numerose difficoltà incontrate nella gestione di un territorio vasto circa 70.000 km², abitato da 4 milioni di persone. Costretto a subire le restrizioni imposte dall'embargo contro l'Iraq, da cui non era stato escluso, il Kurdistān iracheno non ha avuto, di conseguenza, la possibilità di importare nessun tipo di equipaggiamento tecnico o di realizzare progetti di sviluppo. Queste difficoltà sono state accentuate dal blocco interno decretato dalle autorità irachene nell'ottobre 1991, che prevedeva, oltre al ritiro di tutti i propri funzionari dai territori del Kurdistān, anche il divieto di trasferirvi benzina, gasolio e prodotti petroliferi in genere. Le agenzie dell'ONU, inoltre, si sono anche opposte alla installazione di una raffineria sul territorio del Kurdistān, che gli avrebbe consentito di soddisfare il suo bisogno energetico. Queste condizioni hanno favorito il sorgere e l'affermarsi di milizie armate, originatesi all'interno dei due maggiori partiti curdi, le quali, nel corso del tempo, hanno ampliato l'ambito dei loro interventi e hanno assunto il compito di vegliare sull'ordine pubblico, svolgendolo, però, con la parzialità che distingue formazioni non autonome; del resto una forza di polizia indipendente non era stata costituita a causa della scarsità di mezzi economici. La precarietà delle condizioni di vita e l'esistenza di queste due milizie hanno contribuito a spezzare l'unità del popolo curdo e a creare le condizioni che hanno condotto, nel maggio 1994, ai primi scontri armati fra le due parti che, nel frattempo, avevano anche assunto una precisa dimensione territoriale. Il Kurdistān iracheno era infatti diviso tra un territorio settentrionale, che si sviluppava lungo la frontiera con la Turchia, dominato dagli esponenti del Partito Democratico del Kurdistān (PDK, capeggiato da Barzani), mentre al Sud, il territorio che si estende tra l'Iraq e l'Iran, era sottoposto all'autorità dell'Unione Patriottica del Kurdistān (UPK, che faceva capo a Talabani). I tentativi fatti allo scopo di comporre pacificamente le divergenze tra queste due fazioni hanno condotto, nel 1994, a un accordo, stipulato sotto gli auspici della Francia, che prevedeva la distruzione delle milizie, la creazione di una forza di polizia autonoma e il riconoscimento delle istituzioni curde da parte della comunità internazionale. Questo accordo, però, non ha avuto esiti concreti, soprattutto a causa dell'opposizione della Turchia, ove, d'altra parte, stazionano gli aerei statunitensi, inglesi e francesi che, in base alla risoluzione del 1991, sono incaricati del pattugliamento aereo del Kurdistān, e la cui presenza deve essere approvata dal parlamento turco. La mancata concretizzazione di questo accordo ha fatto precipitare il Kurdistān in una spirale di violenza, sfociata in una vera e propria guerra civile nell'agosto 1996, quando si è assistito al paradossale intervento dell'esercito iracheno a favore del PDK di Barzani, per contrastare le forze del UPK di Talabani sostenute dall'Iran, comprensibile, però, alla luce della situazione di dipendenza economica del Kurdistān e delle richieste di aiuto che gli opposti schieramenti curdi sono stati costretti a rivolgere all'Iran e all'Iraq già nei primi periodi della loro permanenza all'interno della “zona di protezione”. La vittoria conseguita dal PDK di Barzani ha ristabilito una situazione di relativa tranquillità nel Kurdistān, benché si sia molto lontani dalla definitiva pacificazione e stabilità, messe in pericolo anche dalla politica della Turchia, il cui esercito, vantando il diritto di inseguire i Curdi del PKK che si rifugiano nel Kurdistān iracheno, ha, in più occasioni, varcato il confine e scatenato violente offensive, tra le quali quella sviluppatasi tra il 20 marzo e il 4 maggio del 1995, che ha mobilitato 35.000 uomini e che ha riaffermato la volontà della Turchia di svolgere un ruolo di primo piano nella gestione del problema del Kurdistān, rispetto al quale anche Iran e Iraq hanno dimostrato di non voler cedere posizioni. Dopo la seconda guerra del Golfo e l'abbattimento del regime di Saddam Ḥusayn le province curde del del Paese hanno maggiormente beneficiato della nuova situazione politica, godendo di uno status molto vicino all'autonomia.

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