Orlando furióso

Indice

Genesi e pensiero

Poema cavalleresco in ottave di L. Ariosto. Iniziato, forse, tra il 1504 e il 1505, fu pubblicato per la prima volta a Ferrara nel 1516 in una edizione di 40 canti, alla quale fecero seguito una seconda del 1521 sempre di 40 canti, con correzioni di carattere prevalentemente linguistico e una terza, la definitiva, del 1532 in 46 canti. Formalmente, l'Orlando furioso si riallaccia alla tradizione del poema epico cavalleresco, quale si era definito con l'Orlando innamorato di Boiardo: anzi materialmente è la continuazione di quello, interrotto nel 1494 dalla morte dell'autore. Ma i debiti di Ariosto verso i poeti precedenti sono assai più ampi e una mappa delle fonti a cui egli si rifà sarebbe molto lunga e non ancora completa: le trascrizioni dei romanzi cavallereschi francesi e italiani, I Reali di Francia, i cantari popolari, l'epica greca e latina, la produzione didattico-allegorica, ecc. Come avevano fatto Boiardo e Pulci, anche Ariosto conserva alla sua opera lo schema e i caratteri propri della poesia popolaresca, fatta per la recitazione, ma egli prosegue il lavoro iniziato da Boiardo di trasportare in forme letterarie e classicheggianti quei moduli di origine popolare. Se l'Orlando furioso conserva ancora molto della letteratura d'avventura (la trama è complessa, lo scavo psicologico dei personaggi non ha lo spessore e il rigore dei modelli classici) si sente, però, che l'intricarsi e lo sciogliersi dell'azione corrispondono a una profonda esigenza di ordine e armonia tipicamente rinascimentali. E pienamente rinascimentali sono lo spirito e gli ideali umani che permeano il poema: il senso naturalistico della vita e della donna, l'individualismo spinto degli eroi, che combattono, amano e fuggono incuranti dell'interesse generale, e la tendenza a diseroicizzare l'uomo. Tra i motivi che animano il poema fondamentale è il sentimento della realtà della vita nei suoi vari atteggiamenti, trasfigurati dalla fantasia e osservati con sereno distacco: l'amore che sfocia in un inno alla vita, il gusto dell'avventura, gli atti di cortesia e l'ammirazione per la bellezza femminile. Anche se non mancano spunti comici, arguzie e macchiette, non si può tuttavia parlare di satira della materia cavalleresca.

L'intreccio

L'argomento del poema è vastissimo e si dirama in un gran numero di episodi. Di solito si indicano tre azioni principali: la storia della guerra tra Franchi e Saraceni, guidati da Agramante; la pazzia di Orlando, che costituisce l'elemento avventuroso; l'amore di Ruggiero e Bradamante, che costituisce l'elemento adulatorio, dedicato agli Estensi. Nell'imminenza della grande battaglia tra cristiani e pagani presso i Pirenei, Angelica, contesa tra Rinaldo e Orlando, viene da re Carlo affidata al vecchio Namo, duca di Baviera. Ma, approfittando della confusione che segue la sconfitta dei cristiani, Angelica fugge dalla tenda di Namo ed è inseguita da cavalieri cristiani e saraceni, tutti ugualmente innamorati di lei: Ferraù, Rinaldo, Sacripante, Orlando. A questo punto la narrazione della guerra si interrompe per tornare in primo piano solo nella parte centrale del poema e l'azione si frantuma in mille episodi: alle vicende di Angelica si intrecciano quelle di Orlando, quelle di Ruggiero e di molti altri personaggi. Angelica nella sua fuga, attraverso intricate vicende, inganni e astuzie, con l'aiuto di incantesimi e magie, riesce a far perdere le tracce a tutti i suoi spasimanti, ma finisce col cadere prigioniera degli abitanti dell'isola di Ebuda che la offrono in pasto a un'orca marina. Salvata da Rinaldo, giunto sull'isola in groppa al fatato Ippogrifo, la bella principessa riesce a malapena a sottrarsi – grazie alle sue arti magiche – all'indesiderata passione del paladino e, incontrato sulla strada di Parigi un umile fante ferito, Medoro, si innamora di lui, lo guarisce, lo sposa e con lui torna nella sua lontana terra: il Catai. Inseguendo Angelica, Orlando, dopo infinite e rischiose imprese (sottrae Olimpia dall'orca marina, libera Isabella dai ladroni, ecc.), giunge sui luoghi dove è nato e cresciuto l'amore di Angelica e Medoro: apprende delle nozze tra i due e, accecato dalla disperazione e dalla gelosia, impazzisce. Nudo, in preda a una “gran follia”, percorre a piedi la Francia, la Spagna e giunge fino in Africa, dopo aver attraversato a nuoto lo stretto di Gibilterra, seminando ovunque panico e distruzione. A questo punto Dio, presosi compassione del paladino, consente ad Astolfo di salire sulla Luna, dove, in un vallone, è custodito tutto ciò che gli uomini smarriscono sulla Terra. Ritrovata l'ampolla in cui è conservato il senno d'Orlando, torna con essa sulla Terra e Orlando, finalmente rinsavito, riprende a combattere in difesa della cristianità. Frattanto sotto le mura di Parigi, dopo alterne vicende le sorti della guerra volgono al peggio per i mori e un esercito cristiano sbarca in Africa, portando la guerra nel regno di Agramante. Questi, mentre tenta di raggiungere il proprio Paese, viene sorpreso e sconfitto dalla flotta dei cristiani. Sceso a singolar tenzone con Orlando, dopo un durissimo scontro, deve cedere al valore e alla superiorità del paladino di Carlo. I cristiani hanno vinto la battaglia decisiva, ma il poema non si conclude ancora e sviluppa l'elemento encomiastico introdotto nel poema dalla storia di Ruggiero e Bradamante, dalla cui unione discenderanno gli Estensi. Anche questo tema prende le mosse dall'Orlando innamorato; il guerriero saraceno nel racconto di Boiardo s'accende d'amore per Bradamante, sorella di Rinaldo e valorosa guerriera dell'armata cristiana. Nell'Orlando furioso la contrastata vicenda delle nozze dei due giovani è seguita attraverso l'“inchiesta” di Bradamante che, con l'aiuto della maga Melissa, va in cerca di Ruggiero. Ma Ruggiero le viene costantemente sottratto da Atlante, un vecchio mago, che fa di tutto per tenere lontano il nipote da Bradamante e dalla guerra. Egli sa che il suo protetto è destinato a farsi cristiano e a morire giovane e, per evitare tutto ciò, mobilita tutte le sue arti negromantiche. Atlante lo rinchiude dapprima in un magico castello e, successivamente, proprio quando Bradamante è riuscita a liberarlo, lo fa giungere in groppa all'alato Ippogrifo sull'isola di Alcina. Liberato, infine, anche degli incantesimi del giardino fatato della maga, il giovane torna a combattere tra le file di Agramante. Morto questi, si converte al cristianesimo e, superate altre avventure, giungerà a Parigi dove incontrerà Bradamante e si unirà solennemente in matrimonio con lei. Durante il banchetto di nozze sopraggiunge però il saraceno Rodomonte che accusa Ruggiero di tradimento e lo sfida a duello. Sarà questo l'ultimo e il più tragico duello del poema, oltre che la sua logica conclusione: Rodomonte perirà e la vittoria di Ruggiero abbellirà il trionfo del mondo cristiano.

La critica

Subito dopo la prima edizione il poema ebbe grandissimo successo e fu diffuso anche al di fuori della ristretta cerchia dell'ambiente cortigiano, tra persone di tutti i ceti sociali. Nel secolo successivo furono pubblicate almeno 150 edizioni e numerose riduzioni per il popolo, volgarizzamenti dialettali e traduzioni in francese, inglese e spagnolo. Il materiale inedito fu pubblicato dal figlio di Ariosto, Virginio, col titolo di Cinque Canti. Al Cinquecento risalgono i primi commenti come quelli di Dolce, Fornari, Ruscelli, ecc., che, oltre a esporre l'argomento del poema, si limitarono a difendere il poeta dalle accuse che molti gli muovevano di non aver seguito le leggi aristoteliche e di non aver rispettato la lingua toscana. Verso la fine del secolo, poi, cominciarono le discussioni, destinate a protrarsi nel secolo successivo, per determinare la priorità tra i poemi di Ariosto e di Tasso. L'Orlando furioso ricevette le lodi di Galilei e di Voltaire, ma fu soltanto Foscolo, nel sec. XIX, a intuirne l'unità stilistica. De Sanctis, che ebbe il merito di rielaborare e sviluppare le intuizioni dei commentatori precedenti, stabilì una distinzione tra il poeta e l'artista, assegnendo una netta superiorità a quest'ultimo. Inoltre De Sanctis mostrò la sua propensione per un'interpretazione in chiave ironica del poema, così che il suo giudizio venne a pesare negativamente (“non religione, non patria, non famiglia e non sentimento della natura, e non onore e non amore”). A questa negazione, che coinvolgeva tutta l'Italia rinascimentale, reagì Carducci, interpretando l'ironia ariostesca come “fino spirito del tempo nuovo che scherza luminoso e tranquillo tra i pennoni dei paladini e i veli delle dame del buon tempo antico”. Il contrasto fra le due tesi fu superato da Croce che riconobbe all'ironia di Ariosto il potere di svalutare i sentimenti del poeta, ma per elevarli in un sentimento più alto, quello dell'armonia, che li domina tutti. Nella stessa direzione di Croce hanno interpretato il poema numerosi critici moderni, come Momigliano, che ha sostenuto di aver rintracciato il denominatore comune della poesia ariostesca nel suo “realismo magico” e nella sostanza musicale che trasfigura ogni affetto e pensiero. Sono da ricordare a questo riguardo gli apporti di Raniolo, Fubini, Sapegno, Binni, Segre e Caretti.

Bibliografia

W. Binni, Metodo e poesia di L. Ariosto, Firenze, 1947; B. Croce, Ariosto, Bari, 1952; A. Piromalli, Motivi e forma della poesia di Ludovico Ariosto, Firenze, 1954; L. Caretti, Ariosto e Tasso, Torino, 1961; C. Segre, Introduzione a tutte le opere di Ludovico Ariosto, Milano, 1963; D. Delcorno Branca, L'Orlando furioso e il romanzo cavalleresco medievale, Firenze, 1973; C. Fahy, L'Orlando Furioso del 1532, Milano, 1989.

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