Ozu, Yasujirō

regista cinematografico giapponese (Tōkyō 1903-1963). Formatosi sul cinema americano, esordì verso la fine degli anni Venti con comiche e con film a esso ispirati, per accostarsi poi allo shōmin-geki di Y. Shimazu (genere di film sulla gente comune piccolo-borghese) e diventare quasi subito, e per sempre, “il più giapponese dei cineasti giapponesi”, rimanendo però paradossalmente non lontano da certa avanguardia europea (per esempio Antonioni). Rifiutando le tecniche moderne, accettando con ritardo il parlato e il colore senza mai tradire il linguaggio del muto, aborrendo con esemplare, inflessibile ascetismo gli eccessi di dramma e d'azione, rinunciando ai movimenti di macchina per inquadrare costantemente all'altezza dell'occhio dei personaggi seduti sul tatami, egli ha rifatto praticamente sempre lo stesso film. La sua visione è all'interno della famiglia, dei suoi valori che tramontano, in un crepuscolo che si tinge di serenità o di dolore: “arte del crepuscolo” fu infatti definita in patria. Nella sua filmografia (oltre cinquanta opere, tutte di produzione Shōchiku, quasi tutte sceneggiate con Kōgo Noda) anche i titoli sono singolarmente ripetitivi e predominano i riferimenti alla famiglia, alla città, alle stagioni, ai crepuscoli. Tra i film più belli: Sono nato, eppure... (1932), Tōkyō Monogatari (Una storia di Tōkyō o Viaggio a Tōkīō, 1953) e Il gusto del sakè (1962).

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