Rósso, Medardo

scultore italiano (Torino 1858-Milano 1928). Precocissimo nella sua vocazione, lasciò gli studi ed entrò nella bottega di un marmorario, ma solo nel 1882 si iscrisse ai corsi di nudo e di scultura dell'Accademia di Brera, dalla quale tuttavia venne espulso per essersi ribellato ai metodi d'insegnamento accademico, caldeggiando l'introduzione di modelli viventi. Questa decisa affermazione di verismo artistico trovò conferma nei temi delle sue prime sculture, eseguite tra il 1882 e il 1883: El cantant a spass, Il bersagliere con la morosa sotto il lampione, Lo scaccino, La portinaia, Gavroche, Carne altrui, opere nelle quali si avverte un'eco di Ranzoni, Cremona, Grandi e di tutto l'ambiente della scapigliatura lombarda, sia pure con una maggiore ricchezza di contenuto umano e spregiudicatezza di osservazione sociale. I suoi soggetti, infatti, non sono come negli scapigliati delicate figure della borghesia o dell'aristocrazia lombarda, ma personaggi del popolo minuto. Sul verismo dei temi, inoltre, si inserisce la caratteristica maniera dello scultore di impostare il discorso plastico. Discorso che, tradotto in cera, gesso o bronzo, cioè in materiali trasparenti, leggeri o morbidamente fusi (gli originali si trovano in gran parte al Museo Medardo Rosso di Barzio, altre versioni nelle Gallerie d'Arte Moderna di Roma e Milano), appare mutuato dai modi di Conconi o dell'ultimo Cremona e significa abbandono di ogni monumentalità e di ogni effetto statuario, eliminazione dei contorni e delle superfici definite, ambiguità tra la plasticità materiale dell'immagine e la sua illusività e infine attenzione a rendere con fluida mobilità i valori luministici delle forme e la loro compenetrazione con l'ambiente piuttosto che i volumi. Si tratta in sostanza dell'applicazione alla scultura dei principi della pittura impressionista, principi coi quali Medarso Rosso fu direttamente a contatto nel 1884 in occasione di un viaggio a Parigi, dove lavorò per J. Dalou e fu in rapporti con Rodin e Degas. Tornato a Milano, eseguì gruppi per cimiteri e alcune opere fra cui l'Età dell'oro (1886, Barzio, terracotta originale), finché, nel 1889, si trasferì a Parigi. A questi anni appartengono fra l'altro: La grande rieuse (1891, Barzio, terracotta; Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, bronzo; Milano, Galleria d'Arte Moderna, cera); Bimbo all'asilo dei poveri (1893, Barzio; Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna); Ecce puer (1906, Milano, Galleria d'Arte Moderna; Venezia, Ca' Pesaro), opere che, caduta ormai ogni traccia di episodismo verista, appaiono ricche di felici anticipazioni e che, per la loro unità tra forme e spazio, esercitarono una notevole influenza su Boccioni e sulla pittura futurista.

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