Generalità

Questo ex Stato dell'Europa balcanica ha avuto una vita molto breve: è nato nel 2003 con la dissoluzione della Iugoslava e si è scisso nelle due repubbliche di Serbia e Montenegro con il referendum del 2006. Confinava con l'Ungheria (N), la Romania e la Bulgaria (E), la Repubblica di Macedonia e l'Albania (S), la Bosnia ed Erzegovina e la Croazia (W-SW) e il Mare Adriatico (SW). Nell'antichità questo territorio era abitato da Illiri, Sarmati, Traci e Greci, pur sotto l'influsso romano che però non impedì loro di venire slavizzati: l'arrivo delle prime tribù slave a partire dal sec. VI d. C. segnò infatti per queste popolazioni un mutamento etnico irreversibile la cui traccia unitaria e consolidata non ha tuttavia garantito convivenza pacifica e fratellanza alla loro genia. Cuore geografico della vecchia Iugoslavia, la Serbia e Montenegro era uno Stato federale formato dalla Repubblica di Serbia in cui erano comprese anche le regioni autonome della Vojvodina e del Kosovo, e dalla Repubblica del Montenegro; le entità costitutive di questa federazione sono le uniche ad avere mantenuto un legame alla dissoluzione della Iugoslavia a sei nei primi anni Novanta. Serbia e Montenegro, che si trovano al centro dei Balcani, sono accomunate dalla medesima origine etnica di gran parte della loro popolazione e da una spiccata affinità culturale che si manifesta nella lingua comune (a prescindere da alcune varianti) e nella medesima religione cristiana ortodossa. Ma al di là della condivisione di un limitato, benché significativo, percorso storico riferibile ai primi secoli dell'era cristiana, le due repubbliche nei secoli passati hanno avuto una storia politica separata, riunendosi solo dal 1918 nel medesimo Stato denominato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, divenuto Regno di Iugoslavia nel 1929. Caduta questa monarchia con a capo sovrani serbi nel 1941 e trascorsa la seconda guerra mondiale sotto l'occupazione italo-tedesca, la Serbia e il Montenegro hanno fatto parte di una nuova Iugoslavia repubblicana, federale e socialista che non è però riuscita a cancellare i segni evidenti dell'emergere di due differenti sentimenti di appartenenza nazionale, pur nella consapevolezza della comune origine slava. La loro genesi è antica nel tempo, risalendo alla dominazione turca, modesta e limitata nell'isolato Montenegro, che ha potuto maturare una specifica e distinta identità, repressiva e massiccia in Serbia, dove sconvolse gli equilibri etnico-demografici, costringendo spesso i nativi serbi alla fuga. Il mito della Grande Serbia si è preservato nel corso dei secoli, divenendo motivo di coesione collettiva, sostenuto dalla volontà di riscatto e di riappropriazione del territorio, via via occupato da genti albanesi, kosovare e, più recentemente, bosniache e croate. La scomparsa, nel 1990, della Lega dei Comunisti, principale leva unificante delle diverse nazioni costitutive delle Repubbliche, e il conseguente insorgere delle istanze nazionaliste mettevano in crisi il complesso meccanismo della Federazione iugoslava. Dopo, quindi, le proclamazioni d'indipendenza di Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, il 27 aprile 1992, la Repubblica di Serbia (con le regioni della Vojvodina e del Kosovo) e la Repubblica del Montenegro davano vita alla nuova Repubblica Federale di Iugoslavia. Tuttavia, data l'insorgenza di contrasti politici tra le due repubbliche e di fronte all'eventualità di una secessione del Montenegro, con la mediazione dell'UE Serbia e Montenegro il 14 marzo del 2002 si sono accordati per reimpostare i reciproci legami federali in modo da assicurare maggiore autonomia a ciascuna repubblica.

Lo Stato

Lo Stato nato nel 2003 previa approvazione da parte del Parlamento della Repubblica Federale di Iugoslavia, pur mantenendo nominalmente la forma federale, si presentava piuttosto come una confederazione tra le due repubbliche, disponendo ciascuna di piena sovranità per molte aree di competenza. Gli accordi avevano previsto la possibilità per entrambe le repubbliche di uscire dalla confederazione entro 3 anni, attraverso un referendum. Capo dello Stato era il Presidente, eletto per 4 anni dal Parlamento federale formato da 126 membri (91 in rappesentanza della Serbia e 35 del Montenegro). Ciascuna delle due repubbliche aveva una propria costituzione, con un Parlamento e un governo con poteri esclusivi su tutte le materie non riservate alle istituzioni federali , inclusi bilancio e moneta propria. Le forze armate unificate delle due repubbliche disponevano di quasi 75.000 uomini complessivi; è in vigore la leva obbligatoria, che dura da 12 a 15 mesi. L'istruzione dell'obbligo è gratuita e divisa in due cicli: quello elementare che dura otto anni e il secondario che può durare tre o quattro anni a seconda dell'indirizzo scelto. L'istruzione universitaria è impartita in tutte le maggiori città delle Repubbliche e delle regioni autonome. Il più grande polo universitario si trova a Belgrado.

Territorio: geografia fisica

La Serbia e Montenegro è situata in una zona di transizione tra l'Europa balcanica e quella alpina, presenta un territorio pianeggiante nel settore settentrionale (Bačka, Banato) e montuoso in quello meridionale (Kopaonik, Golija, Durmitor). La maggior parte del Paese è tributaria del Mar Nero tramite il Danubio, nel quale confluiscono i fiumi Tibisco, Sava, Drina e Morava; nel Mar Adriatico, invece, sfociano solo le acque dell'estremo settore meridionale del Paese, con il Drin Bianco. A SE si innalzano le propaggini occidentali dei Balcani, mentre a SW si allungano le Alpi Albanesi che hanno nel monte Daravica (2656 m) la loro cima più alta. La costa, rocciosa, si articola nelle Bocche del Cattaro. Il clima è di tipo semicontinentale, con inverni freddi, estati calde e precipitazioni copiose.

Territorio: geografia umana

L'elemento peculiare della popolazione era l'eterogeneità della sua struttura etnico-culturale e linguistica. La componente maggioritaria era quella serba (62,6%), caratterizzata dalla lingua omonima e dalla religione cristiana ortodossa. Era serba la quasi totalità degli abitanti della Serbia propriamente detta, mentre in Vojvodina i serbi erano poco più della metà della popolazione, in Montenegro ca. il 30% e in Kosovo – dopo gli eventi del 1999 – si erano ridotti a meno di 20.000 unità. Il secondo gruppo nazionale per consistenza numerica era quello albanese , concentrato in Kosovo e stimato approssimativamente in oltre due milioni di individui (16,5%), non essendosi più svolti dal 1991 censimenti ufficiali nella regione; inoltre, risiedevano nel Montenegro meridionale una comunità albanese di oltre 47.000 ab. – accertati mediante censimento nel 2003 – e nella Serbia del S una minoranza albanese nell'area di frontiera con il Kosovo. Gli albanesi, che parlano una lingua estranea alla famiglia slava, sono prevalentemente musulmani. La terza componente nazionale della federazione era quella montenegrina, concentrata in Montenegro dove con oltre il 40% formava la maggioranza relativa degli abitanti della repubblica, mentre a livello federale essa ammontava al 5% della popolazione complessiva. I montenegrini, di religione ortodossa come i serbi, pur parlando una lingua assai simile al serbo, dagli anni Novanta riconoscevano in essa una vera e propria lingua nazionale distinta dal serbo. Altro gruppo nazionale era quello magiaro, concentrato nella Vojvodina settentrionale vicino alla frontiera con l'Ungheria, dove raggiungeva la maggioranza assoluta; gli ungheresi, generalmente di fede cattolica, erano la seconda nazione considerando l'intera Vojvodina, mentre sull'intero territorio erano il 3,3% della popolazione complessiva. Vi erano inoltre musulmani di etnia e di lingua slava (3,2%) concentrati nel Sangiaccato, regione di frontiera comune a Serbia e a Montenegro. Erano infine presenti altre piccole minoranze, formate in Vojvodina da slovacchi (0,6%), gruppi di ruteni o ucraini (0,2%) e di tedeschi, ultimi resti, in tutti e due i casi, di uno stanziamento voluto dagli Asburgo. I romeni rappresentavano una comunità più numerosa (1,4%) e oltre che nelle regioni orientali della Vojvodina erano presenti anche nella regione serba delle Porte di Ferro, nel distretto del fiume Timok e nella zona di Negotin. Nelle valli del Timok e della Nisava vi erano anche insediamenti di genti bulgare (0,2%), mentre i turchi (0,1%) erano sparsi nella zona meridionale del Paese e nel Kosovo-Methoija. Il numero complessivo degli zingari non è valutabile, ma sicuramente consistente. A rendere ancora più difficile la gestione dei complicati equilibri etnici era intervenuto il massiccio afflusso di profughi (stimati fino a un milione di individui), tra quelli esterni provenienti dalla dalla Slovenia, dalla Bosnia e dalla Croazia, e gli interni in fuga dal Kosovo, che era stato strumentalizzato dai gruppi più estremisti del nazionalismo serbo, fautori della “pulizia etnica”, che avevano rivendicato il diritto dei rifugiati di prendere possesso delle proprietà dei non serbi. La capitale federale, Belgrado, superava di gran lunga ogni altro centro abitato conferendo al Paese una struttura insediativa dalle spiccate caratteristiche monocentriche, nonostante l'assetto politico e amministrativo fortemente decentrato, nel quale il Montenegro era una repubblica quasi sovrana, la Vojvodina gode di larga autonomia e il Kosovo è soggetto ad amministrazione internazionale. Infatti, tutte le altre città si mantenevano e si mantengono al di sotto dei 200.000 ab., compreso Podgorica capitale del Montenegro, Novi Sad capoluogo della Vojvodina e Priština capoluogo del Kosovo. Gli altri centri urbani con oltre 100.000 ab. sono Niš e Kragujevac in Serbia, oltre a Prizren in Kosovo. Il sovradimensionamento di Belgrado rispetto all'estensione territoriale e al numero di abitanti della federazione, era dovuto al precedente ruolo svolto dalla città quando essa era la capitale della Iugoslavia a sei repubbliche; inoltre, da allora il numero degli abitanti della capitale federale era aumentato ulteriormente, dal momento che la massima parte dei profughi serbi cacciati dalle altre repubbliche e dal Kosovo durante le guerre degli anni Novanta, si era riversata proprio a Belgrado.

Territorio: ambiente

Lo Stato, esteso dalle rive dell'Adriatico alla media valle del Danubio che attraversa la pianura pannonica, presenta ricche varietà paesaggistiche e ambientali, anche grazie alla consistenza dei suoi rilievi e alla moderata densità demografica che ha preservato parte della natura dal degrado. Infatti, soprattutto il Montenegro con le sue coste, il di Scutari alla frontiera con l'Albania e le montagne nell'interno solcate da profonde valli fluviali, è un Paese di grande interesse naturalistico e particolarmente adatto all'escursionismo e agli sport all'aria aperta ed estremi. Il 3,7% del territorio federale viene protetto dalle istituzioni interne a difesa dell'ambiente, mediante nove parchi nazionali (Biogradska Gora, Ðerdap, Durmitor, Freska Gora, Kopaonik, Lovcen, Sar-Planina, lago di Scutari e Tara), parchi e riserve naturali e altre aree sotto tutela, che sono oggetto di interesse anche da parte dell'UNESCO.

Economia

All'indomani della secessione delle repubbliche della vecchia Iugoslavia, la lunga crisi e le sanzioni economiche che dal 1992 al 1995 avevano colpito la nuova federazione per il ruolo giocato dalla Serbia nel conflitto bosniaco, avevano reso precarie le prospettive di sviluppo economico del Paese con un rallentamento generalizzato della produzione. A rendere più precaria questa situazione, nel 1999, durante il conflitto kosovaro, si aggiungevano i bombardamenti delle forze della NATO, che danneggiavano pesantemente le infrastrutture e l'apparato industriale del Paese. Alla fine del regime di Milošević (ottobre 2000) la Repubblica Federale di Iugoslavia si è così trovata a dover fronteggiare una grave e profonda depressione economica: finanze sull'orlo della bancarotta, altissimo debito pubblico e un tasso d'inflazione vicino all'80%, nonostante la svalutazione del dinaro (dicembre 2000) e l'adozione di un regime di cambio fluttuante. Il governo ha quindi avviato la ricostruzione, aiutato dall'Unione Europea e dalla Banca Mondiale attraverso una speciale agenzia per i Balcani, e per facilitare la ripresa degli scambi commerciali ha deliberato un'ampia serie di privatizzazioni per far affluire nuovi capitali. Il PIL, nel 2003, risultava essere di 20.881 milioni di dollari USA. Nonostante la disoccupazione si fosse mantenuta ufficialmente entro indici paragonabili agli standard europei (13,8% nel 2002), secondo le stime di esperti sarebbe piuttosto intorno al 30%; inoltre, i bassissimi stipendi sia nel settore pubblico sia nel privato, costringevano a svolgere un secondo o un terzo lavoro spesso “in nero”, che per tale natura sfuggivano alle indagini statistiche. La grave congiuntura economica della Serbia aggravatasi dopo i bombardamenti NATO che avevano danneggiato le infrastrutture del Paese, indussero le autorità montenegrine a un allentamento dell'integrazione economico-finanziaria tra le due repubbliche, concretizzatosi con accordi con la Banca centrale tedesca, grazie ai quali in Montenegro fu introdotto il marco al posto del dinaro iugoslavo come valuta ufficiale circolante, rimpiazzato poi dall'euro dal I° gennaio 2002. § Per quanto riguarda l'agricoltura, questa occupava nel 2006 ca. il 4% del totale della forza lavoro, ma rappresentava il secondo lavoro di molti piccoli proprietari e contribuiva per ca. il 20% del PIL. Si producevano notevoli quantità di cereali, fra cui prevaleva il mais e il frumento (nelle regioni di Bačka, Banato, Posavina e Sirmio). Floridissima era la coltura delle prugne: il prodotto veniva parzialmente consumato fresco o distillato (Slivoviza), e più ancora essiccato o trasformato in conserve. Estesa era anche la viticoltura. Fra le piante industriali si segnalano il tabacco, la canapa, il girasole, il lino (principalmente nella Vojvodina). Dalle foreste si ricavavano discrete quantità di legname. L'allevamento riguarda in particolare i suini, seguiti per importanza da ovini e caprini; di un certo rilievo è l'apicoltura. § La produzione energetica deriva per la maggior parte da centrali termiche a carbone, ma consistente è anche l'apporto del settore idroelettrico (grande centrale nella regione delle Porte di Ferro, sul Danubio). Tra le principali risorse minerarie si segnalano il carbone (estratto a Rtanj, Podvis, Zaječar, Senje e Aleksinac) e la bauxite (giacimenti di Podgorica e Nikšić, nel Montenegro). Gli idrocarburi sono estratti a Boka, Kikinda, Mokrin, Velebit (petrolio) e a Srapska Crnja, Nikolinci, Mramorak Selo (gas naturale). Le altre produzioni di maggior rilievo sono il rame (Bor, Majdanpek, Raška), il piombo e lo zinco (Trepča e Zvečan, nel Kosovo). Gli impianti metallurgici di Bor producono rame raffinato e rame di fonderia; quelli di Sǎbace di Titova Mitrovica piombo, piombo raffinato, zinco e nichel. Le raffinerie di petrolio sono localizzate a Pančevo e Novi Sad. L'industria chimica di base ha i suoi impianti a Šabac, Titova Mitrovica e Bor (acido solforico). Fabbriche di cemento sono attive a Beočin, Popovac e a Ralja. Nel comparto meccanico, profondamente segnato dagli eventi bellici, si sono riavviate le fabbriche di autovetture e autocarri (Kragujevac, Rakovica, sobborgo di Belgrado, e Priboj), di trattori e macchine agricole (Kruševac, Subotica, Novi Sad, Niš, Belgrado), di locomotive (Indjija), di carri ferroviari (Kraljevo, Smederevska Palanka, Kruševac), di macchine utensili (Smederevo), di attrezzature petrolifere e minerarie (Kraljevo). Il comparto elettronico ha un suo centro a Niš. L'industria tessile è sviluppata a Vranje, Prizren, Prokuplje, Pirot, Paraćin, Loznica, Leskovac. A Belgrado sono presenti numerosi calzaturifici e fabbriche di pneumatici. Un'antica e florida industria è quella basata sul legname, da cui si ricavano pasta chimica, carta, cellulosa e fiammiferi. Il comparto molitorio, diffuso ovunque, ha i suoi centri più moderni nella Vojvodina (Subotica, Kikinda, Vršac). Vi sono zuccherifici a Belgrado, Čuprija e Zrenjanin. § La fine delle sanzioni economiche (1992-95), che avevano fortemente limitato il volume degli scambi con l'estero, ha consentito una certa ripresa. Il Paese esporta soprattutto alluminio e prodotti agricoli; importa in particolare macchinari, prodotti elettrici, mezzi di trasporto, generi alimentari. Una risorsa potenziale non ancora pienamente sfruttata è il turismo, le cui mete più frequentate sono le montagne dello Zlatibor (in Serbia), il lago di Scutari e il litorale montenegrino. Il turismo balneare, tuttavia, è di rilevanza prevalentemente interna, dal momento che le spiagge del Montenegro vengono frequentate soprattutto dagli abitanti della Serbia, ai quali nella propria repubblica è precluso l'accesso al mare. Buona parte delle infrastrutture distrutte dalla guerra resta da ricostruire o restaurare; dei quasi 45.000 km di strade, al 2001 se ne sono asfaltati poco più della metà; le linee ferroviarie si estendono per ca. 3800 km (2002), elettrificate per poco più di un terzo. Gli aeroporti principali sono a Belgrado, Podgorica, Tivat, Priština e Niš.

Storia: dalla nuova Iugoslavia a due Repubbliche alla fine del conflitto serbo-bosniaco

Nel 1990, con l'abbandono del sistema monopartitico e con la relativa scomparsa della Lega dei Comunisti leva unificante delle diverse nazioni della Federazione iugoslava, si era determinato un insorgere di istanze nazionaliste che avevano messo in crisi il complesso meccanismo che garantiva la convivenza e l'equilibrio fra le sei repubbliche del Paese. Di conseguenza, Slovenia e Croazia proclamavano l'indipendenza nel giugno 1991, seguite dalla Macedonia in settembre e dalla Bosnia ed Erzegovina nel marzo 1992. Sotto l'incalzare di questi eventi, il 27 aprile 1992 nasceva la nuova Repubblica Federale di Iugoslavia, limitata alle sole Repubbliche di Serbia (con le regioni della Vojvodina e del Kosovo) e del Montenegro, che però otteneva il riconoscimento internazionale solo nel 1995 dopo la fine del conflitto bosniaco. Tuttavia, dato lo squilibrio politico e territoriale tra le due Repubbliche, la vita della Federazione coincideva sostanzialmente con quella della Serbia; e pertanto, a causa dell'aiuto fornito da questa ai secessionisti serbi in Bosnia e Croazia, la nuova entità istituzionale scontava un serio isolamento internazionale – se si eccettua la Russia costantemente alleata alla Iugoslavia per affinità culturale – che si concretizzava nell'embargo commerciale decretato nei suoi confronti dall'ONU (maggio 1992). Ugualmente, gli sforzi della diplomazia internazionale non riuscivano a fermare il presidente della Serbia, Milošević, considerato in Occidente il maggiore responsabile dell'aiuto fornito ai secessionisti serbi in Bosnia, che avevano scatenato una terribile guerra contro le altre componenti nazionali dello Stato. Tuttavia, il suo potere sulle istituzioni federali non era mai stato assoluto: anch'egli si è trovato alle prese con movimenti innovatori che, pur se in modo meno dirompente di quanto fosse avvenuto nelle altre Repubbliche, tendevano a mettere in discussione i vecchi equilibri di potere. La pressione internazionale, comunque, finiva per indebolire il tentativo di Milan Panić, primo ministro della Federazione e portatore di una visione politica di tipo occidentale, di contrastare la linea del presidente serbo. Analogamente era resa sterile l'azione del presidente della Federazione Dobrica Cosić, anch'egli, come Panić, intento ad affermare una politica di distensione con i Paesi vicini. L'embargo internazionale, intanto, aveva l'effetto di catalizzare le componenti più nazionaliste, organizzate nel Partito Radicale Serbo di Vojislav Šešeli e presenti anche tra gli ex comunisti che avevano dato vita al Partito Socialista Serbo di Milošević. Lo scontro tra il primo ministro federale e il presidente serbo raggiungeva il culmine in occasione delle elezioni presidenziali della Serbia, vinte da Milošević (dicembre 1992) e pochi giorni dopo Panić doveva prendere atto dell'ennesima mozione di censura, approvata dai due rami del Parlamento. Dalla nuova posizione di forza, Milošević poteva portare l'affondo nei confronti degli avversari liberandosi (giugno 1993) anche dello scomodo Cosić, destituito dal Parlamento federale con l'accusa di attentato alla Costituzione e al suo posto veniva eletto il giovane Zoran Lilić, uomo di fiducia del presidente serbo. Sempre più padrone del campo, Milošević rompeva con gli ultranazionalisti del Partito Radicale e alcuni militanti, già combattenti in Bosnia, venivano incarcerati con l'accusa di orrendi crimini. Il presidente serbo tentava, in tal modo, di ammorbidire la pressione internazionale il cui embargo iniziava ad avere ripercussioni devastanti nel Paese, estremamente impoverito e in preda a una spaventosa inflazione. Nonostante la drammaticità della situazione, per i socialisti serbi crebbero addirittura i consensi in occasione delle legislative (dicembre 1993), un risultato solo in parte bilanciato dal discreto successo del Partito Democratico che balzava da 6 a 29 seggi. La ripresa dell'iniziativa diplomatica, che portava la Iugoslavia ad avviare una normalizzazione dei rapporti con la Croazia, sembrava intanto favorire una svolta in politica estera, ma di fronte all'ostinato rifiuto di un piano di spartizione della Bosnia ed Erzegovina, Milošević annunciava la rottura di ogni relazione con i serbo-bosniaci (marzo 1994). Ormai imboccata la via di un disimpegno dal conflitto bosniaco, la Iugoslavia finiva anche con l'accettare il controllo internazionale della frontiera con la Bosnia (settembre 1994) e pochi giorni dopo l'ONU provvedeva a una riduzione dell'embargo nei suoi confronti. Trasformatosi in attore del processo di pacificazione della Bosnia ed Erzegovina, Milošević accentuava le sue pressioni nei confronti dei miliziani serbo-bosniaci che alla fine si decidevano ad affidare proprio al presidente serbo la rappresentanza dei loro interessi (agosto 1995) e questi siglava a Dayton nel novembre 1995 l'accordo definitivo di pace con il quale, pur nel mantenimento dell'integrità della Bosnia ed Erzegovina, il 49% del territorio era assegnato alla Repubblica Serba di Bosnia e il restante avrebbe costituito la Federazione croato-musulmana. Con la firma poi, il 14 dicembre 1995 a Parigi, dei successivi accordi di pace per la Bosnia ed Erzegovina, anche la nuova Repubblica Federale di Iugoslavia otteneva il riconoscimento internazionale.

Storia: dall'esplosione del conflitto kosovaro al dopo Milošević

Con la fine del conflitto bosniaco venivano a cessare anche le motivazioni che avevano portato all'embargo internazionale, rimosso infatti nel novembre 1995. Il nuovo clima favoriva anche lo sviluppo dei rapporti negoziali con la Croazia e la normalizzazione di quelli con la Macedonia (marzo-aprile 1996). Ma l'uscita dall'emergenza rimetteva in moto la dialettica politica interna e, mentre nel Kosovo la mai domata volontà autonomistica degli albanesi riesplodeva in modo violento (aprile 1996), l'opposizione riprendeva a organizzarsi. In occasione delle elezioni amministrative, svoltesi nel novembre 1996, il cartello delle opposizioni conquistava le maggiori città del Paese, a cominciare da Belgrado. La stizzosa reazione dei socialisti, che impugnavano il risultato nel tentativo di invalidarlo, produceva una vivace reazione della popolazione della capitale che scendeva in piazza e con una serie di manifestazioni quotidiane, protrattesi per mesi, faceva vacillare il potere di Milošević. Costretto, quindi, anche dalle sempre più forti pressioni internazionali, il presidente serbo riconosceva la vittoria elettorale delle opposizioni e il 21 febbraio 1997 a Belgrado si insediava il nuovo sindaco Zoran Djindjić (un non comunista per la prima volta dal 1945). In ogni caso, con lo Stato quasi totalmente controllato da Milošević e dai suoi uomini, la forza dell'opposizione sembrava potersi fondare solo sull'accentuazione del nazionalismo, cui contribuiva anche la particolare tradizione della Chiesa ortodossa serba. In un'area ancora fortemente segnata proprio dai danni prodotti dalle esasperazioni nazionaliste ed etniche, ciò finiva per alimentare i dubbi sui possibili esiti di una crisi niente affatto lineare, gettando un'ombra preoccupante sul futuro della Serbia e di quanto restava di quella Iugoslavia voluta dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale. Il 15 luglio 1997 la Camera delle Repubbliche e la Camera dei cittadini eleggevano a grandissima maggioranza a capo della Federazione iugoslava Milošević, che si dimetteva dalla presidenza della Serbia. Nello stesso anno, intanto, le accresciute esasperazioni nazionaliste ed etniche dei serbi determinavano l'avvio di nuove tensioni interetniche in Iugoslavia, che vedevano protagoniste la Serbia e la provincia meridionale del Kosovo. Gli interventi militari in Kosovo contro le truppe irregolari dell'Esercito di Liberazione Albanese (UCK), promossi dal presidente iugoslavo Milošević nel 1998, si trasformavano in veri e propri pretesti per attacchi armati contro i villaggi kosovari di etnia albanese. Nonostante l'intervento diplomatico del Gruppo di Contatto per la Pace nei Balcani, costituito da Gran Bretagna, Francia, Germania, USA, Russia e Italia, non si riusciva a evitare un nuovo conflitto nella Penisola Balcanica. L'opposizione di Milošević alla ratifica dell'accordo di pace (23 marzo 1999) portava la NATO a dichiarare guerra alla Iugoslavia, su cui scatenava massicci raid aerei. Il presidente iugoslavo reagiva intensificando la sua azione di pulizia etnica contro gli albanesi del Kosovo, costringendoli a fuggire in massa in Albania, Macedonia e Montenegro e provocando una gravissima catastrofe umanitaria. Nel frattempo si tentava di risolvere senza successo il conflitto per via diplomatica e in aiuto dei profughi si mobilitavano l'ONU e molti Paesi, compresa l'Italia. L'inevitabile intervento armato delle forze alleate sfociava nel piano di pace del giugno successivo, accettato dalla Iugoslavia, che prevedeva la fine delle violenze in Kosovo, il ritiro verificabile delle forze serbe, il disarmo dell'UCK, la presenza di una forza internazionale coordinata dalla NATO in Kosovo, il ritorno dei profughi e una sostanziale autonomia per la regione. Nel dicembre successivo veniva varato il governo provvisorio del Kosovo, completamente controllato dall'ONU. Alla nuova amministrazione però il delegato serbo decideva di non partecipare, rimanendo in attesa di garanzie di sicurezza per la sua comunità. Intanto, posto fine al conflitto, una crisi interna coinvolgeva la Iugoslavia ormai distrutta dai bombardamenti e in piena recessione economica: Milosévic usciva pesantemente logorato da una crisi bellica che aveva ulteriormente eroso l'integrità territoriale del Paese e indebolito la compattezza del suo regime. Se infatti in Serbia egli riusciva ad aver ragione degli opposti dissensi dell'ultranazionalista Partito Radicale Serbo (SRS) di Vojislav Šešelj, avverso agli accordi di pace, e del moderato Partito per il Rinnovamento Serbo (SPO) di Vuk Drašković, pronto ad accettare la forza NATO in Kosovo e per questo allontanato dal governo, il leader serbo non poteva evitare né gli incalzanti appelli per le sue dimissioni, reclamate anche dalla Chiesa ortodossa, né il risveglio dell'opposizione popolare, sfociata tra la fine del 1999 e i primi mesi del 2000 in manifestazioni di piazza duramente disperse dalla polizia. D'altra parte crescevano i contrasti con il Montenegro che aspirando all'autonomia proponeva la trasformazione della Federazione in semplice comunità di Stati e, dall'inizio del 2000, sembrava puntare apertamente all'indipendenza, con il rischio di un nuovo conflitto armato. Il bavaglio all'opposizione, il controllo della stampa, la capziosa riforma del sistema per le elezioni amministrative, tesa a favorire la coalizione al potere, mostravano la precaria tenuta più che la forza di un regime sgradito agli altri Stati balcanici. La modifica apportata alla Costituzione nel luglio 2000 (respinta però dal Montenegro), introducendo l'elezione diretta del presidente della Repubblica, conduceva nel settembre dello stesso anno alle prime consultazioni presidenziali, i cui risultati erano a lungo oggetto di contestazione tra Milošević e il candidato dell'opposizione, Vojislav Koštunica, a capo di una la coalizione di 18 partiti, suscitando una tempesta di proteste popolari. La campagna di disobbedienza civile, gli scioperi, la presa di posizione antigovernativa della Chiesa ortodossa e infine l'autoproclamazione di Koštunica a presidente della Repubblica obbligavano tuttavia Milošević a riconoscere l'esito delle elezioni. Il 23 dicembre 2000, i risultati elettorali per il rinnovo del Parlamento serbo ribadivano la fine del potere di Milošević e della supremazia del Partito Socialista, con la vittoria dell'Opposizione Democratica di Serbia (DOS), coalizione di 18 partiti, organizzata da Zoran Djindjić, tra i quali vanno ricordati il Partito Democratico (DS), guidato dallo stesso Djindjić, e il Partito Democratico di Serbia (DPS) guidato da Koštunica. Ma il declino di Milošević era appena iniziato: alla fine del marzo 2001, la necessità di ottenere l'erogazione della seconda tranche di aiuti economici, stanziati dagli Stati Uniti per i danni arrecati alla Serbia dai raid aerei della NATO durante il conflitto per il Kosovo, induceva i nuovi vertici politici della Federazione iugoslava a privare l'ex presidente della Repubblica anche dell'immunità e ad arrestarlo con l'accusa di corruzione. Nel giugno dello stesso anno, il governo acconsentiva, inoltre, all'estradizione di Milošević, in un primo tempo negata, permettendo così al Tribunale dell'Aia di processare l'ex presidente per i crimini di guerra commessi. Nel febbraio 2003 le Camere del Parlamento iugoslavo approvavano la costituzione della nuova unione Serbia e Montenegro. Nel 2003 la situazione politica della Serbia e Montenegro entrava in una fase critica a seguito dell'assassinio di Zoran Djindjić da parte di un cecchino e del ripetuto fallimento delle elezioni presidenziali alle quali non veniva raggiunto il quorum. Nel dicembre dello stesso anno si svolgevano le elezioni legislative, che registravano la vittoria dei Radicali (partito di estrema destra guidato da Vojislav Seselj, in carcere all'Aja in attesa di essere processato) e un buon risultato dei socialisti di Milošević (che veniva eletto in Parlamento). Nel febbraio 2004 veniva eletto il presidente del Parlamento, Dragan Marsicanin, e, dopo il fallimento dei Radicali, l'incarico di formare un nuovo governo veniva affidato a Vojislav Koštunica, che varava una formazione in cui entravano anche i socialisti di Milošević. Le elezioni presidenziali del giugno dello stesso anno, per le quali era stata modificata la legge elettorale, venivano vinte da Boris Tadić, del Partito Democratico di Djindjić. Nel 2006 si svolgeva in Montenegro il referendum per decidere la permanenza o meno del Paese nella federazione con la Serbia; l'esito era negativo con il 55,5% dei consensi, che determinavano la separazione del Montenegro dalla Serbia.

Cultura: tradizioni

I serbi sono l'unico gruppo etnico dei Balcani ad aver conservato ancora nel pieno del sec. XX il valore della zadruga, la grande famiglia allargata della società balcanica arcaica: non a caso, il serbo è una delle lingue al mondo più ricca di termini per indicare i gradi di consanguineità; e se alcuni esempi di zadruga sono sopravvissuti nelle zone montane del Paese, in tutta la Serbia e Montenegro è molto viva la coscienza dei rapporti di parentela e dell'appartenenza a una famiglia. Dappertutto nel Paese, infatti, si celebra la slava, ovvero la festa del santo patrono di ogni famiglia, in genere San Nicola, San Giorgio o San Giovanni Battista. Dopo una settimana di digiuno, il giorno della festa i membri della famiglia si recano in chiesa per la comunione e invitano a casa il pope, il quale benedice, oltre all'abitazione, i dolci tipici preparati per la slava, come la slavski kolač, una torta decorata con la croce serba e la colomba della pace, e il koljivo, una specie di budino dolce di farina e noci tritate. Nel corso della slava tutta la famiglia si riunisce nell'abitazione del patriarca; per i serbi, è tradizione in questo giorno accogliere in casa propria chiunque si presenti alla porta, perché non farlo sarebbe considerato un segno di potenziale sventura. Ugualmente sentita ed elaborata è la preparazione ad alcune feste ortodosse, come quella di San Sava, primo arcivescovo serbo e patrono della chiesa ortodossa, che cade il 27 gennaio, oppure la festa degli spiriti, il 16 e 17 giugno. Degli articolati costumi popolari di un tempo, l'unica parte ancora in uso nelle zone agricole sono gli opanci, un tipo di calzatura senza lacci con la punta ricurva, e i copricapo maschili come il crnogorska kapa montenegrino e lo šajkača. Nel Paese si festeggiano alcune ricorrenze ortodosse. § La cucina della Serbia e Montenegro è tipicamente balcanica, a base di carne e poche verdure, tra le quali spiccano i crauti o kiseli kupus. Come ovunque nei Paesi della ex Iugoslavia si mangiano burek e pita (torte salate ottenute con una sfoglia molto sottile e un ripieno di carne; il kulen pita è ripieno di trippa e cipolle). Molto gustose le zuppe, come quella di tarhana (granuli di farina impastati con uova e pomodoro); gli hadzija's kevap sono bocconcini di carne soffritti con cipolla e pomodori e poi passati in forno; l'ajvar è invece una crema di peperoni, melanzane, aglio e paprica, da mangiare con il pane come antipasto. Tra i dolci vanno ricordati le sempre presenti baklava e lo strudel di mele con i semi di papavero.

Cultura: letteratura

Alla base della letteratura serba si colloca l'opera di civilizzazione di Cirillo e Metodio (sec. IX) che fu all'origine del notevole sviluppo che si regista nel Medioevo, soprattutto nel periodo dell'autonomia statale dovuta alla costituzione del regno serbo (sec. XIII), quando monaci e sovrani si adoperarono per la promozione di una produzione locale. Di origine e contenuto religioso e didascalico, fu, per i suoi legami con lo slavo ecclesiastico, la lingua del culto e dell'alta cultura. Predominano temi agiografici e biografici e fra i testi di maggior rilievo si ricordano la Vita di San Simeone, compilata da San Sava (1169-1236), figlio del re; la Vita di San Sava, opera dei monaci Domenziano (1210-1264) e Teodosio (seconda metà del sec. XIII); Le vite dei re e arcivescovi serbi dell'arcivescovo Danilo (1270-1337) e la Vita del despota Stefano di Costantino detto il Filosofo (fine sec. XIV-1439). L'occupazione turca e la conseguente dissoluzione dell'impero serbo alla fine del sec. XIV segnarono il declino della vita culturale serba che rifiorì solo nel Settecento con l'avvento dell'illuminismo. Essa poté affermarsi non già in quei territori che erano sotto la dominazione ottomana, ma nella Vojvodina, soggetta al dominio degli Asburgo. Dositej Obradović (1739-1811) gettò le fondamenta della nuova letteratura con le sue opere didattiche e moraleggianti. Significativa fu pure la sua produzione poetica di contenuto patriottico. Solo dopo l'emancipazione dalla Porta, nella prima metà del sec. XIX, Belgrado divenne centro culturale e letterario del popolo serbo, benché alcune istituzioni culturali di maggior prestigio, per esempio Letopis Matice srpske, fossero fondate a Novi Sad, capitale della Vojvodina. Il maggior poeta romantico fu Branko Radičević (1824-1853), che si distaccò dalla secolare tradizione didattica, patriottica e moralistica per esprimere in brani lirici le proprie impressioni individuali di contenuto soprattutto erotico (Poesie). Un apporto decisivo alla rinascita di questa letteratura venne dato da S. Vuk Karadžiċ (1787-1864), riformatore dell'ortografia e della grammatica serbe. La sua raccolta di poesie popolari, Piccolo canzoniere popolare slavo-serbo (1814), ebbe fama europea. Il tardo romanticismo alla fine degli anni Sessanta, legato anche al movimento politico dell'Omladina (Gioventù serba), fece emergere alcuni poeti e scrittori di notevole talento, tra cui Zmaj Jovan Jovanović (1833-1904), autore di raccolte poetiche (Bocciuoli di rosa e Bocciuoli di rosa appassiti), Ðura Jakšić (1832-1878), autore, oltre che di opere in versi, di racconti e di drammi, e Laza Kostić (1841-1910) con le sue Poesie. Una trasformazione profonda nella letteratura serba si ebbe con l'affermarsi del realismo che sviluppò soprattutto il tema della vita rurale e patriarcale. Tra gli scrittori più in vista vanno menzionati Jakov Ignjatović (1824-1889), Milovan Glišić (1847-1908) e Laza Lazarević (1851-1890). Nel periodo precedente la prima guerra mondiale la poesia prese il sopravvento sulla prosa. I poeti Juvan Dučić (1871-1943) e Milan Rakić (1876-1938), influenzati dalla contemporanea letteratura francese, posero l'accento su esperienze soggettive, intime e spirituali. Negli anni tra le due guerre emerse la figura di Branimir Cosić (1903-1934), conosciuto soprattutto per il romanzo Campo falciato. Ivo Andriċ (1892-1975), premio Nobel per la letteratura 1961, diede nei suoi romanzi storici (La signorina, La cronaca di Travnik, Il ponte sulla Drina) una vigorosa immagine del popolo bosniaco, soggetto per secoli a dominazioni e influenze culturali diverse. Contemporaneamente però i letterati serbi non persero di vista la nuova borghesia nazionale, descritta da Jakov Ignjatović (1824-1889) e Simo Matavulj (1852-1908) e messa ferocemente in berlina nelle commedie di Branislav Nušić (1864-1938; Il deputato del popolo, La signora ministressa, La famiglia afflitta). La poesia e la prosa raggiunsero livelli europei negli anni Trenta del Novecento, caratterizzati dal surrealismo affermatosi in Serbia in maniera più marcata che nelle altre letterature iugoslave. Un posto di rilievo occupa Desanka Maksimović (1898-1993), la cui raccolta poetica Favola insanguinata è caratterizzata da una raffinata sensibilità emotiva. Il movimento di liberazione nazionale durante la seconda guerra mondiale segnò profondamente lo sviluppo del mondo letterario serbo: temi sociali e politici ebbero un largo spazio, ma già negli anni Cinquanta furono sostituiti da motivi soggettivi e intimistici. Tra i nomi di spicco si ricordano: M. Đurđević (n. 1920), V. Popa (1922-1991), M. Pavlović (n. 1928), J. Hristić (n. 1933) e soprattutto Alexandar Tišma (1924-2003), autore di Il libro di Blam, coraggiosa riflessione sull'Olocausto, il fascismo e il potere. La produzione letteraria serba degli ultimi decenni del Novecento è segnata dalle figure di letterati visionari come Danilo Kis (1935-1989) e Milorad Pavić (n. 1929). Kis è autore di romanzi dalle forti suggestioni borgesiane come Giardino, cenere (1986) o di racconti brevi aperti a considerazioni inquietanti sullo stato generale del Paese, come l'Enciclopedia dei morti. Anche Pavić, padre di una letteratura “non lineare” e autore di una complessa etnografia fantastica intitolata Dizionaro dei Chazari (1984) ha introdotto nella letteratura serba una nuova riflessione sulla struttura stessa della narrativa, in cui le forme tradizionale del romanzo sembrano disgregarsi. Il drammatico conflitto che ha coinvolto il Paese dopo il 1991 ha molto condizionato lo sviluppo letterario successivo, sia perché negli anni più difficili molti autori hanno preferito l'esilio alla vita sotto il regime di Milošević, sia perché la guerra civile si è naturalmente imposta come tema di riflessione a tutta la letteratura serba. Tra gli autori giovani che meglio rappresentano la tensione della nuova condizione del Paese spiccano i nomi di Jasmina Tešanović (n. 1954), scrittrice e anche regista di importanti documentari sulla guerra civile; Aleksandar Gatalica (n. 1964), romanziere e giornalista, e la poetessa Nina Živančević (n. 1957) (Fuori e dentro Bisanzio). Il mezzo di comunicazione che meglio ha sintetizzato, tuttavia, la voglia di opposizione degli intellettuali e della società serba al regime di Milošević e al conflitto serbo-bosniaco è stato il teatro: anche in Serbia, come in tutta la ex Iugoslavia, il teatro “civile” raccoglie i frutti di una lunga tradizione e, soprattutto, di un pubblico appassionato che non ha abbandonato l'amore per le rappresentazioni nemmeno nel pieno del conflitto, come testimoniano i giovani drammaturghi Biljana Srbljanović (n. 1970), autrice della Trilogia di Belgrado, e Zoran Stefanović (n. 1969), autore di Orfeo slavo (1995) e i più maturi Miladin Ševarlić (n. 1943) ed Eduard Dajč (n. 1948).

Cultura: arte

La Serbia e Montenegro conserva importanti testimonianze artistiche e architettoniche della sua appartenenza all'Impero Romano d'Oriente, fra le quali si segnala in particolare il sito di Caričin Grad. La tradizione romana si interruppe però in seguito all'invasione degli Slavi alla fine del sec. VI. Nel sec. X si diffuse in Serbia un'architettura preromanica che si espresse soprattutto in chiese a pianta centrale, come la rotonda di San Pietro a Novi Pazar. A partire dal sec. XII si svilupparono poi, spesso mescolandosi tra loro, l'architettura romanica e quella bizantina. Nel sec. XIII nella Serbia centrale fiorì la scuola della Raska, caratterizzata da chiese in pietra e marmo in cui si fondono elementi bizantini e romanici, come si osserva nel monastero Studenica costruito nel 1209. All'architettura si accompagnò una brillante produzione pittorica a fresco caratterizzata da forme vigorose e monumentali e dall'utilizzo di colori intensi, come si può ammirare negli affreschi del già citato monastero di Studenica ma anche nella chiesa del monastero dei Santissimi Apostoli di Peć (1250) e a Morača (1252). Tra la fine del sec. XIII e i primi decenni del sec. XIV l'espansione della Serbia verso la Macedonia contribuì ad accentuare l'influenza bizantina: serbo è lo spiccato verticalismo in architettura mentre gli impianti planimetrici sono bizantini, come si nota nella chiesa di Nostra Signora di Ljeviška a Prizren (1307). Nell'affresco si affermò tanto in Serbia quanto in Macedonia uno stile narrativo, con particolari realistici. Dopo il 1370 la valle della Moravia diventò il centro più vivo dell'arte serba: l'architettura continuò la tradizione degli inizi del sec. XIV sia negli schemi planimetrici sia nel paramento in mattoni e nelle decorazioni in pietra adottate tra la fine del 1300 e il 1400 negli edifici di culto di Ravanica, Ljubostinja, Kalenič e Lazarica. I cicli a fresco che ornano queste chiese sono caratterizzati dall'allungamento delle figure e da una accentuata ricerca spaziale. L'ultima fioritura dell'arte serba durante il periodo della dominazione turca, soprattutto dopo la ricostruzione del patriarcato di Peć, ebbe i suoi centri nei monasteri di Fruška Gora nei pressi di Belgrado e in quello dei Santissimi Apostoli della stessa Peć. § Nel sec. XIX la pittura serba non si distinse particolarmente, adeguandosi alle tendenze artistiche che dominavano nel resto d'Europa. All'inizio del sec. XX tra i pittori impressionisti serbi, come M. Milovanović e K. Miličević, si affermarono i nuovi ideali di unità nazionale. Dopo l'unificazione, nel 1918, con la Croazia, con la Slovenia e con la Bosnia-Erzegovina, si manifestò in Serbia, come pure nelle altre regioni, una reazione all'impressionismo che si espresse nella scuola “costruttivista” di Belgrado a cui seguì verso il 1930 l'adesione alle novità della scuola di Parigi. Dopo la seconda guerra mondiale l'arte iugoslava si conformò al realismo socialista per poi riaccostarsi, dopo il 1950, ai movimenti d'avanguardia europei. È originaria del Montenegro, pur avendo scelto da anni di vivere nell'Europa occidentale come molti intellettuali originari dei Balcani, una delle più sorprendenti artiste contemporaneee, Marina Abramović (n. 1946), autrice di performance incentrate sul corpo e sulla sua capacità di resistenza, di grande intensità drammatica. L'arte serba, nonostante il relativo isolamento degli anni di Tito e il dramma del conflitto interetnico alla fine del Novecento, non ha mai perso il contatto con le tensioni creative della scena internazionale: tra gli autori della nuova generazione, affermatisi successivamente allo scoppio della guerra civile, spiccano i tre videoartisti di ispirazione concettuale Igor Rakcević (n. 1971), Jelena Tomašević (n. 1971) e Natalija Vujosević (n. 1977).

Cultura: cinema

Negli anni successivi all'indipendenza e dopo la fine del conflitto serbo-bosniaco, il cinema serbo, che aveva sempre dato prova di grande vitalità, ha preso a rivolgere uno sguardo critico sulla realtà dei Balcani. Il nome forse più noto è quello del regista Goran Paskaljevič (n. 1947), rivelatosi agli spettatori europei per un intenso dramma che nel destino dei personaggi, visti tutti nel corso di una notte dai toni allucinati, ripercorre quello delle diverse etnie in conflitto nella regione (La polveriera, 1998); ugualmente conosciuto a livello internazionale è Predrag Antonijevič (n. 1959), il quale ha tuttavia abbandonato la Serbia dopo il successo del toccante Balkan Express, per trasferirsi negli USA. La stessa capacità amaramente analitica caratterizzale le opere di Goran Stojanovič (Assassinio con premeditazione, 1996) e Srdjan Dragojevič (n. 1963) (Bei villaggi bruciano bene), i quali riflettono sugli orrori della guerra civile senza abbracciare nessuna delle posizioni di parte che vedono i serbi alternativamente come carnefici o vittime; e infine Bogdan Skerlič (Fino all’osso) e Milos Radovič (autore del pluripremiato “corto” My Country, 1997). Sono stati favoriti da un certo successo internazionale anche Dusan Milič, autore che predilige i toni grotteschi e non a caso è stato molto appoggiato dal bosniaco Emir Kusturica (JagodaFragole al supermercato, 2003) e infine Goran Markovič (Serbia anno zero, 2001).

A. Cronia, Storia della letteratura serbo-croata, Milano, 1956; G. Maver, Letteratura serbo-croata, in “Storia delle letterature moderne d'Europa e d'America”, Milano, 1960; S. Lukic, Suvremena jugoslovanska literatura 1945-1965, Belgrado, 1968; S. Smitran, Il surrealismo serbo, Roma, 1985.

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