Sonétti romanéschi

ciclo di 2883 sonetti in dialetto romanesco, composti tra il 1819 e il 1847 da G. G. Belli, pubblicati postumi, in sei volumi, a partire dal 1886. Il Belli escogitò la teoria del “monumento” da erigere alla plebe romana per esprimere la propria volontà di rappresentare in modo impassibile e rigoroso le condizioni del popolo nella Roma papale; in realtà, nel “commedione” del Belli, il personaggio plebeo assume il ruolo di protagonista della storia, mentre i potenti sono confinati nella sfera negativa del ridicolo. Nei Sonetti romaneschi belliani vibra una fortissima tensione egualitaria, che si scontra però con il profondo pessimismo cristiano dell'autore: il messaggio tragico non si tramuta pertanto in messaggio di rigenerazione sociale e la visione della società è cupamente statica, chiusa in un'immobilità senza speranza. Nel Belli, infatti, una robusta ragione si scontra con una fragile fede e lo scettico razionalista convive in lui con il moralista che vagheggia un'etica genuinamente cristiana; ma l'estrema dissoluzione del cattolicesimo romano, personificata da papa Gregorio XVI, non lascia spazio a speranza alcuna di riforma e copre la violenza delle istituzioni con una presunta sacralità, puntualmente demistificata dal poeta con il ricorso all'erotismo, alla parolaccia, all'imprecazione. La stessa violenza contestatrice usata nei confronti dello Stato teocratico esplode anche contro i sovrani e, almeno per un momento (L'arberone), balena nel Belli la necessità di una soluzione radicalmente eversiva “perché er canchero sta in ne la radisce”: ogni sbocco progressivo è però precluso dalla pessimistica convinzione dell'ineluttabilità della sorte iniqua. Ma è appunto tale sfiducia radicale nella concezione positiva della storia come progresso che consente al Belli di sfuggire al populismo, di non introdurre cioè il popolo come strumento di un'ideologia, di non mitizzarlo, ma di rispecchiarlo nella sua immediatezza, con la sua moralità, i suoi sentimenti, la sua lingua. Nella concretezza storica e nella connotazione tragica con cui è rappresentata la condizione del personaggio plebeo risiedono appunto l'originalità e la grandezza del realismo belliano.

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