Stìle Internazionàle

termine coniato in occasione di una celebre esposizione, International Style, tenuta al Museum of Modern Art di New York nel 1932, e precisato in un testo scritto da H. R. Hitchcock e P. Johnson dello stesso anno, International Style Architecture since 1922 (Lo Stile Internazionale: l'architettura dal 1922), per indicare l'unitarietà di intenti dell'esperienza architettonica mondiale legata agli sviluppi del Movimento Moderno. L'espressione ebbe fortuna poiché sinteticamente esprimeva due fattori fondamentali dei fenomeni architettonici dagli anni Trenta in poi: da un lato l'internazionalità, cioè la portata mondiale della diffusione di quell'esperienza; dall'altro il carattere specificamente formale – stilistico appunto – di tale diffusione. La critica contemporanea ha sottolineato la riduzione operata dallo Stile Internazionale sui portati più validi del Movimento Moderno. In quel processo di massificazione della produzione architettonica che ha caratterizzato il secondo dopoguerra, sviluppatosi da un lato nell'ambito della ricostruzione in Europa, dall'altro secondo le linee dell'espansione dell'industria americana a scala mondiale, lo Stile Internazionale ha giocato un ruolo preciso, col riferimento a tipologie date per acquisite, e con l'uso indifferenziato e spregiudicato di un repertorio formale convenzionalizzato, che spesso ha rappresentato soltanto una lettura manieristica dei grandi maestri del Movimento Moderno. Un'organizzazione professionale puntigliosa ed efficiente (si pensi ai grandi studi di architettura, specie negli Stati Uniti), il mito tecnologico del riferimento, nella progettazione, ai metodi della produzione industriale sono stati gli alibi con cui gli sviluppi dello Stile Internazionale hanno coperto il livellamento del linguaggio architettonico in un sempre più accelerato processo di mercificazione.

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