Vittòrio Emanuèle II

Indice

di Savoia, re di Sardegna, poi d'Italia (Torino 1820-Roma 1878). Primogenito di Carlo Alberto principe di Carignano e di Maria Teresa d'Asburgo-Lorena-Toscana, creato duca di Savoia quando il padre divenne re di Sardegna (1831), sposò nel 1842 Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena da cui ebbe numerosi figli dei quali sopravvissero tre maschi e due femmine. Prese parte alla prima guerra d'Indipendenza quale comandante la divisione di riserva, distinguendosi nei combattimenti di Santa Lucia e Goito (1848). La sera del disastro di Novara (23 marzo 1849) l'improvvisa abdicazione del padre fece di lui il re in un momento drammatico. Stabilito il 24 a Vignale con il generale J. Radetzky un onorevole armistizio e giurata fedeltà allo Statuto, affidò al generale C. G. De Launay l'incarico di comporre il ministero e al generale A. La Marmora la repressione dell'insurrezione di Genova. Il 7 maggio chiamava al governo M. d'Azeglio e col proclama di Moncalieri (20 novembre 1849) mostrò chiaramente al Paese che intendeva proseguire per la strada delle riforme. Nonostante lo affliggessero molti scrupoli religiosi, appoggiò le leggi Siccardi (1850) che ponevano fine ai privilegi del clero. Più difficili furono i rapporti con C. Cavour, divenuto presidente del Consiglio nel 1852, ma dopo qualche seria perplessità finì col seguirlo in tutta la sua azione di politica interna e internazionale. Fallito dopo la morte di Maria Adelaide (1855) un tentativo di matrimonio con Maria di Cambridge, Vittorio Emanuele II rimase legato a una popolana, Rosa Vercellana, che gli aveva già dato due figli e che egli sposò morganaticamente nel 1869, dopo averla nominata contessa di Mirafiori. Nella campagna del 1859 si distinse per coraggio a Palestro e a San Martino e accettò, con molto buon senso, i preliminari di Villafranca che Cavour voleva respingere, accettando le sue dimissioni. Questa prudente tattica permise l'anno seguente l'annessione dell'Emilia e della Toscana e, dopo la spedizione dei Mille, quella dell'Italia meridionale, delle Marche e dell'Umbria, operazioni magistralmente condotte da Cavour tornato al governo nel gennaio 1860. Accettò a malincuore la cessione alla Francia della Savoia, culla della sua famiglia, e di Nizza. Divenuto re d'Italia (17 marzo 1861), per riguardo agli antenati volle conservare il numerale II. Morto Cavour poco dopo, condusse con l'appoggio di U. Rattazzi e di G. Garibaldi una politica personale che mirava ad annettere Roma, ma che portò ad Aspromonte (1862) e a Mentana (1867); riuscì tuttavia nel 1866, con l'appoggio militare prussiano e diplomatico francese e nonostante l'infelice condotta delle operazioni belliche, a ottenere dall'Austria la cessione del Veneto. Accettò controvoglia il trasferimento della capitale da Torino a Firenze (1865) concordato con Napoleone III con la Convenzione di settembre dello stesso anno. Nel luglio 1870 fu a stento trattenuto da E. Visconti-Venosta e da Q. Sella dall'intervenire nella guerra franco-prussiana a fianco di Napoleone III. Caduto questo sovrano, poté realizzare nel settembre l'unione di Roma all'Italia e terminare, col trasporto della capitale e con la legge delle Guarentigie (1871), la fase del Risorgimento iniziata nel 1859. Poiché la Francia clericale non perdonava all'Italia la breccia di Porta Pia, Vittorio Emanuele accettò un riavvicinamento all'Austria e alla Germania culminato con le visite da lui compiute a Vienna e Berlino (1873), preludio della Triplice Alleanza che si concluderà regnando suo figlio Umberto I nel 1882. Nel 1876 caduta la Destra, rispettando il dettame costituzionale, affidò il ministero alla Sinistra mostrando di non temere le ripercussioni catastrofiche della cosiddetta “rivoluzione parlamentare” che, di fatto, portò al potere una sinistra legalitaria ben lontana da quella rivoluzionaria più volte paventata. Fallirono alcuni suoi progetti di fare dell'Italia il perno d'una lega di nazioni latine basata sul legame dinastico, in quanto il figlio Amedeo dovette lasciare il trono spagnolo dopo pochi anni di regno (1870-73), come erano falliti, anni prima, i tentativi di far salire al trono di Grecia il cugino Eugenio di Carignano. Morì dopo brevissima malattia rimpianto da tutti coloro che nel “re galantuomo” vedevano il “padre della patria”.

Bibliografia

P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, Roma, 1961; F. Cognasso, Le lettere di Vittorio Emanuele II, 2 voll., Torino, 1966; D. Mack Smith, Vittorio Emanuele II, Bari, 1972; F. Cognasso, Vittorio Emanuele II, Milano, 1986.

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora