abiogènesi

sf. [sec. XIX; da abio-+greco génesis, generazione]. Termine che ha sostituito nel moderno linguaggio scientifico quello di generazione spontanea per indicare l'evoluzione chimica, cioè i fenomeni avvenuti sulla Terra quando i composti chimici presenti sulla sua superficie si trasformarono nelle strutture più complesse dalle quali si sarebbe poi potuta originare la vita. Dal punto di vista scientifico le ricerche sull'abiogenesi seguono varie vie: le più importanti fanno capo alla geologia e alla biochimica. Nel primo caso si utilizzano i dati ricavati dalle tracce di microrganismi in rocce terrestri di cui è possibile conoscere l'età con sufficiente approssimazione, dall'esame di meteoriti e dei reperti dell'esplorazione lunare. Tali tracce sono costituite da composti organici in cui hanno particolare importanza alcuni idrocarburi (fitano, pristano) provenienti da organismi viventi contenenti clorofilla. Le tracce terrestri più antiche di tali composti sono state trovate in rocce risalenti a 3 miliardi di anni fa; tuttavia sono state avanzate ipotesi sull'esistenza di tracce di organismi viventi in rocce di 3,4 miliardi di anni fa. La conferma di tale ipotesi, ovviamente, farebbe arretrare ancor più nel tempo la presenza di questi idrocarburi. Poiché si ritiene che l'età massima della Terra sia di circa 4,6 miliardi di anni, gli studi geologici nel campo dell'abiogenesi cercano in rocce appartenenti a questo arco di tempo gli elementi che permettano di individuare il confine tra l'era biologica e quella prebiologica. L'esplorazione lunare e i laboratori scientifici installati sui pianeti del sistema solare dovrebbero permettere di confrontare tali dati con quelli forniti da rocce contenenti gli stessi elementi base, ma provenienti da luoghi nei quali la vita non si è generata o è ancora a un livello elementare. Le ricerche più specificamente biochimiche si propongono di riprodurre in esperienze di laboratorio trasformazioni analoghe a quelle provocate dall'energia solare, dai raggi cosmici e dalla radioattività sui composti (metano, ammoniaca, idrogeno e acqua) che costituivano l'atmosfera terrestre al tempo in cui si ritiene abbia avuto origine la vita. Tali ricerche, iniziate da A. I. Oparin e proseguite da S. L. Miller, M. Calvin e numerosi altri ricercatori, portarono alla formazione di un composto, la dicianammide, capace di provocare la policondensazione degli amminoacidi a proteine. Si ipotizzò quindi la formazione di un “brodo” primordiale ricco di sostanze organiche di tipo proteico, che si sarebbero progressivamente assemblate per formare dei coacervati, che a loro volta avrebbero dato origine alle prime forme di vita.esperimenti partivano tutti dal presupposto che l'atmosfera primordiale fosse simile a quella di Giove, cioè altamente riducente in quanto ricca di metano, ammoniaca, idrogeno e vapore acqueo. Sottoponendo tali composti inorganici a scariche elettriche, che volevano simulare radiazioni ultraviolette e fulmini atmosferici, si ottenne la sintesi di alcuni amminoacidi. L'ipotesi di partenza di un'atmosfera primordiale riducente non ha mai trovato, però, grandi sostenitori fra i geologi, i quali ritengono che l'atmosfera primitiva fosse ricca di diossido di carbonio e azoto molecolare, simile quindi a quella attuale ma priva di ossigeno, e pertanto tendenzialmente neutra. Inoltre, alla luce delle conoscenze circa la dinamica della litosfera, dei fenomeni endogeni ed esogeni che agiscono su di essa, e dell'azione dei raggi luminosi, sembra poco probabile che si siano potuti formare grandi accumuli di sostanze organiche: i minerali sottraggono la materia organica all'acqua che si accumula negli oceani, così come l'azione dei raggi ultravioletti distruggere le molecole biologiche, non favorendone la sintesi. Di conseguenza per giustificare la comparsa delle prime molecole organiche è necessario ipotizzare altre catene di eventi.

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