Lessico

sm. [sec. XIII; dal latino accentus, da ad + cantus, canto].

1) Tono assunto dalla voce per dare risalto a una determinata sillaba nella parola.

2) Segno grafico indicante tale sillaba o il timbro aperto o chiuso d'una vocale; sua forma: “un paio di baffi... gli pendevano a mo' d'accento circonflesso sulla bocca” (Soffici).

3) La modulazione, l'intonazione assunta nella pronuncia dai singoli individui: accento straniero, dialettale, esotico; “quel gentile accento toscano” (Verga).

4) Pl., specialmente poetico, parole: “accenti d'ira” (Dante); “soavi accenti” (Petrarca).

5) In psicanalisi: spostamento d'accento, fenomeno dell'attività onirica, volto a superare l'azione della censura.

Linguistica: l'accento intensivo

L'accento italiano è essenzialmente intensivo, cioè la sillaba accentata è pronunciata più forte delle altre senza che ciò comporti una variazione della nota musicale. Mentre in alcune lingue poi l'accento è sempre sulla stessa sillaba (iniziale, finale, penultima), in italiano l'accento non occupa una sede fissa, ma ha diverse possibilità di posizione: sull'ultima sillaba (parola tronca) come in verità, virtù, donò; sulla penultima (parola piana) come in amore, nazione; sulla terzultima (parola sdrucciola) come in debole, umile; sulla quartultima (parola bisdrucciola) come in seguitano, generano; sulla quintultima (parola trisdrucciola) come in comunicamelo, consideramelo. Più frequente nel sistema lessicale italiano è il tipo di parole piane, meno frequenti sono le parole bi- e trisdrucciole. Tranne nel caso delle parole tronche e in alcuni monosillabi (più, già, ciò, ecc.) il segno dell'accento non viene scritto in italiano: questo comporta certo grosse difficoltà per gli stranieri che imparano la nostra lingua e talvolta anche per gli stessi italiani quando si trovano di fronte a parole poco usuali. Difficoltà che invece non si incontrano in altre lingue, come per esempio lo spagnolo che indica con maggior coerenza e precisione l'accento delle parole. In qualche caso è consigliabile, ma non rigorosamente obbligatorio, mettere in italiano l'accento sulle parole sdrucciole per poterle più facilmente distinguere dalle corrispondenti parole piane di significato diverso: pèrdono (verbo) perdono (sostantivo), àncora (sostantivo) ancora (avverbio) e così via. Facoltativo è pure l'uso dell'accento acuto per indicare le vocali chiuse e di quello grave per indicare le vocali aperte in parole che altrimenti potrebbero essere confuse: vènti (sostantivo) vénti (numerale), vòlgo (verbo) vólgo (sostantivo). In questi casi l'accento, servendo più propriamente a distinguere il timbro delle vocali, si chiama fonetico.

Linguistica: l'accento musicale

Nelle tradizioni linguistiche diverse da quella italiana troviamo un accento ben diverso non solo per quanto riguarda la posizione, ma ancor più per quanto si riferisce alla sua natura. Se in italiano infatti la voce poggia con maggiore intensità sulla sillaba accentata, questa in altre lingue è pronunciata su una nota musicale più alta e in tal caso l'accento è detto appunto musicale. Alcune delle antiche lingue indeuropee presentavano questo tipo di accenti che avevano ereditato dalla loro comune fase originaria: in primo luogo il vedico e il greco classico. Il vedico poi, tranne secondarie deviazioni, ha ben conservato anche l'originaria mobilità dell'accento indeuropeo, che non era vincolato a determinate sillabe. La stessa situazione è solo parzialmente riflessa nel greco, in cui l'accento si muove solo nell'ambito delle tre ultime sillabe, vincolato per la penultima e terzultima dalla quantità e intonazione dell'ultima sillaba. È comunque singolare e significativa la perfetta coincidenza dell'accento vedico e di quello greco in categorie grammaticali la cui struttura appare di indubbia antichità: vedico pita, pitáram, pitrí, pitrsu cui corrispondono esattamente in greco pater, patéra, patrí, patrási.

Linguistica: l'accento latino

Più complesso e ancora controverso è il problema dell'accento nel latino, che secondo alcuni sarebbe stato musicale, secondo altri intensivo. Sono però innegabili nel latino preletterario gli effetti di un forte accento intensivo sulla sillaba iniziale che ha prodotto una sensibile riduzione, e a volte anche un completo sfaldamento, del vocalismo delle altre sillabe. Così le forme arcaiche dei più antichi documenti latini iouesat, iouestod si riducono rispettivamente nelle forme iurat, iusto. Alla luce di questo fenomeno anche parole piuttosto oscure diventano facilmente etimologizzabili: auceps suppone evidentemente avi-cap-s, propr. “colui che prende gli uccelli”. E l'accento preletterario d'intensità iniziale dà ancora la ragione del diverso vocalismo di conficio rispetto a facio, di conquiro rispetto a quaero, di accuso rispetto a causa. Interessanti per spiegare le forme romanze sono gli spostamenti d'accento avvenuti nel latino volgare. Mentre nel latino classico integrum aveva l'accento sulla terzultima sillaba, nel latino volgare l'accento si è spostato sulla penultima e questo spiega l'accento dell'italiano intero; i verbi composti sono modellati per l'accento, e spesso anche per il vocalismo radicale, sul verbo semplice: così recipit sposta l'accento sulla penultima sillaba e diventa in italiano riceve, displicet viene accentato sulla penultima sillaba, per influsso della forma semplice, e diventa displacet da cui l'italiano dispiace; lo sviluppo di un accento secondario a due sillabe di distanza da quello principale provoca l'indebolimento e la scomparsa della vocale intermedia, per cui da bonitatem si giunge all'italiano bontà. § Anche in altre tradizioni linguistiche l'accento ha subito radicali trasformazioni. Così nell'evoluzione dal greco antico al greco moderno l'accento si è trasformato da musicale in intensivo. L'accento storico delle lingue germaniche è un accento intensivo fisso sulla sillaba radicale, ma gli effetti della legge di Verner fanno chiaramente supporre un accento preistorico mobile come quello indeuropeo. Anche l'accento storico delle lingue germaniche ha prodotto notevoli indebolimenti e sincopi del vocalismo delle sillabe interne e finali della parola.

Linguistica: l'accento metrico

Nella metrica antica si chiama accento metrico o ritmico (ictus) la maggiore intensità di voce con cui si dà rilievo alla sillaba che costituisce il tempo forte di un piede. Ma solo raramente e parzialmente l'accento metrico coincide con l'accento della parola: di qui le diverse teorie sulla lettura metrica dei versi greci e dei versi latini che secondo alcuni studiosi dovrebbero essere letti affidando l'accentazione al solo accento metrico, secondo altri invece all'accento metrico e all'accento musicale della parola.

Musica

Appoggio o rinforzo di un suono rispetto agli altri, in funzione di motivazioni strutturali o espressive. Si distinguono tre tipi di accenti: metrico, ritmico e dinamico. Il primo dipende dalla posizione dei tempi forti e dei tempi deboli all'interno della battuta e si distingue in regolare o irregolare a seconda che coincida o meno con il tempo forte; l'accento ritmico sottolinea la struttura ritmica della frase o del periodo; quello dinamico determina il modo d'attacco del suono da parte di una voce o di uno strumento (normale, appoggiato, staccato, sforzato, ecc.).

Bibliografia

J. Kurilowicz, L'accentuation des langues indo-européennes, Cracovia, 1958; G. Malagoli, L'accentazione italiana. Guida pratica, Firenze, 1968; P. Garde, Introduzione ad una teoria dell'accento, Roma, 1972.

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