sm. [da ambientare]. L'ambientare e l'ambientarsi.

Architettura: dalle origini alla prima guerra mondiale

Il termine, inteso in architettura come problema di accostamento stilistico fra manufatti edilizi di diverse epoche storiche e culturali, acquista a livello urbanistico un più generale significato di rapporto tra settori di nuova urbanizzazione e un ambiente preesistente, storico o naturale, altamente caratterizzato. In questo modo l'ambientamento si pone come riconoscimento e individuazione delle caratteristiche strutturali e formali dei diversi tipi di ambiente presenti nel caso in esame. Al tema della protezione e della conservazione dell'ambiente storico fanno capo gran parte delle elaborazioni teoriche generali sull'ambientamento. I principi del rispetto e della conservazione dell'antico cominciarono ad affermarsi, a livello urbano, contemporaneamente alla riscoperta romantica del Medioevo. Viollet le Duc e Ruskin, nel corso di una vasta e appassionata opera pubblicistica, indicarono nella cultura gotica (e nel suo bagaglio stilistico) il termine principale di riferimento per un'azione di rottura nei confronti di quella dominante neoclassica. Nell'Ottocento si confronteranno due diversi atteggiamenti: mentre il barone Haussmann tracciava i boulevards parigini, senza preoccuparsi affatto del tessuto storico che veniva così definitivamente alterato, si iniziava negli stessi anni, col nuovo piano di Vienna (1858-59), una tradizione di salvaguardia cosciente dei centri storici. Da quegli anni fino ai primi del Novecento un gran numero di città tedesche e austriache trasformarono le proprie cinte murarie (entro cui erano compresi i centri medievali e barocchi) in complessi sistemi di viali di circonvallazione, giardini ed edifici pubblici posti a cerniera tra la città vecchia e le nuove espansioni. Se i nuovi insiemi urbani ricavati nel corso di queste ristrutturazioni appartengono alla stessa cultura architettonica che caratterizza la Parigi di Haussmann, radicalmente opposta è invece la concezione urbanistica: in un caso le preesistenze storiche e ambientali vengono riconosciute e riconfermate come parte integrante della città contemporanea, nell'altro si riconosce la continuità del luogo topografico ma se ne ignorano le stratificazioni formali e si accorda un valore esclusivo al modello contemporaneo. Questa seconda posizione riscosse in Italia maggior successo coerentemente con il prestigio della cultura francese nel nostro Paese. Verso la fine del secolo Firenze, Milano e Roma furono sottoposte a trasformazioni radicali con l'apertura di nuove vie e la ricostruzione di interi settori, operazioni chiaramente ispirate ai metodi haussmanniani ma che non riuscirono mai a organizzarsi, come nella capitale francese, in un'ipotesi alternativa di struttura urbana. Nel 1889 C. Sitte centrava il suo Der Städtebau nach seinen künstlerischen Gründsätzen (L'urbanistica secondo i suoi principi estetici) sull'analisi e conservazione dell'ambiente e, infine, sulla ricerca di moduli ambientali a scala umana, che proprio da quelli antichi traessero suggerimenti e indicazioni spaziali e morfologiche. Si afferma così in questi anni, caratterizzati da una frenetica attività di demolizioni e ricostruzioni, una corrente “conservatrice” che ha, oltre che in Sitte, nel borgomastro di Bruxelles, Charles Buls, e nel maresciallo Lyautey in Marocco dei sostenitori convinti nel campo della pubblica amministrazione. In Gran Bretagna questa corrente trova un humus particolarmente preparato ad accoglierla e produrrà, con Patrick Geddes, addirittura delle proposte di restituzione ambientale.

Architettura: dal dopoguerra ai giorni nostri

Fra le due guerre i centri storici italiani sono ancora una volta intaccati a fondo, spesso con il pretesto di isolare e valorizzare i monumenti maggiori; si realizza così la distruzione di tessuti edilizi unici e irripetibili: di tutti gli esempi il più clamoroso è quello della demolizione della spina dei Borghi a Roma, ma molti altri se ne potrebbero citare nella stessa Roma, a Milano, Bergamo, Ferrara, ecc. Ciò accadeva proprio negli anni in cui, grazie a Gustavo Giovannoni, si affermavano i principi del restauro cosiddetto “scientifico” dei monumenti e della “teoria del diradamento” per i tessuti storici: si proponeva di limitare gli interventi a quelli strettamente necessari per risolvere i maggiori problemi di insolazione e affollamento, attraverso il ripristino di situazioni edilizie precedenti. L'enfasi monumentale e l'interpretazione dell'ambientamento come modo di organizzare lo spazio a imitazione il più possibile puntuale dell'età romana caratterizza gran parte dell'edilizia ufficiale dell'epoca: la “romanità” e la “mediterraneità” danno luogo a ibridi coi quali si cerca di affievolire la carica eversiva dell'architettura moderna nella ricerca di uno stile nazionale o regionale. Tentativi del genere vennero effettuati un po' dappertutto e in situazioni politiche e sociali assai diverse, dalla Germania nazista (le casette operaie con l'orto e il tetto a spiovente e gli edifici pubblici grecizzanti), agli Stati Uniti (assortimento di stili storici nelle case dei sobborghi), all'Unione Sovietica (gli stili regionali nelle diverse Repubbliche e l'eclettismo classicista dell'edilizia pubblica). La Carta di Atene sintetizzava, nel 1941, la posizione degli architetti moderni, affermando la necessità di salvaguardare i valori architettonici del passato ma stabilendo nel contempo alcune ambigue condizioni: che gli interessi generali della città non ne siano lesi, che la conservazione non comporti anche il perpetuarsi di ambienti di vita malsani. Suggeriva anche una misura radicale: deviare la circolazione o addirittura spostare altrove i centri di più intensa attività. Nel dopoguerra, numerose città hanno dovuto affrontare il problema della ricostituzione dei propri tessuti storici. Anche qui le riedificazioni “in stile” (Firenze, Ulma) superarono largamente le poche operazioni di ricostruzione integrale (Varsavia), mentre la pressione del mercato fondiario faceva sì che risultassero aggravate le condizioni di densità e di congestione del traffico. Il termine di ambientamento assume così un significato che appare assai più simile a quello di imitazione e adattamento, di un procedimento cioè di seconda mano che viene a sovrapporsi all'immagine architettonica primaria. Esemplare è in questo senso l'uso che talvolta è stato fatto di alcuni aspetti dell'edilizia cosiddetta minore: si è cercato di riprodurre una serie di volumi, colori e spazi tratti da una specie di campionario regionale all'interno di un quartiere urbano (il Tiburtino III a Roma) o si è addirittura inventata un' “architettura minore” ispirata a prototipi tratti da un intero bacino storico e culturale ma totalmente estranea alle tradizioni del territorio in cui si colloca (la Costa Smeralda in Sardegna). Le ricerche più avanzate in tema di ambientamento riguardano l'estensione del concetto di storicità all'intero paesaggio urbano e territoriale da un lato e l'individuazione delle componenti formali (geografiche, topografiche, geometriche) specifiche di ogni singola situazione dall'altro. Si tende così a identificare il contesto nel quale ogni nuovo intervento si inserisce e a prevedere le modificazioni generali che ne derivano: l'obiettivo è quello di opporsi alla degradazione ambientale, determinata dal sommarsi di iniziative formalmente accidentali e chiuse in se stesse, attraverso un processo di progettazione generale (e cioè articolata in fasi diverse di analisi, conservazione, consolidamento, intervento) dell'ambiente nuovo.

Bibliografia

P. Lavedan, Histoire de l'urbanisme: Èpoque contemporaine, vol. III, Parigi, 1952; P. M. Lugli, Proposte metodologiche per la difesa della continuità storica dell'ambiente: storia e cultura della città italiana, Bari, 1967; J. Barrington, Biologia dell'ambiente, Roma, 1985.

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