anaglifìa

sf. [da anaglifo]. Tecnica di stampa per la visione in rilievo di un oggetto, ottenuta da due immagini stereoscopiche, stampate sullo stesso foglio di carta con inchiostro rosso, quella relativa all'occhio destro, e con inchiostro blu-verde (colore complementare del rosso), quella relativa all'occhio sinistro. L'effetto del rilievo si ha osservando l'anaglifia con l'anaglittoscopio, speciali occhiali aventi una lente rossa a sinistra e una blu-verde a destra. In tal modo ciascun occhio vede esclusivamente l'immagine che gli corrisponde e la fusione delle due immagini dà in nero la visione del rilievo. Questo si accentua quando aumenta la distanza dei due punti di presa. La tecnica dell'anaglifia, messa a punto nel 1891 da Louis-Arthur Ducos du Hauron, che chiamò anaglifi le immagini stereoscopiche stampate su un unico supporto, fu poi perfezionata da L. Lumière. Questa tecnica, che ha avuto in passato un buon successo, trova ormai applicazione quasi esclusivamente nel settore cartografico e precisamente nella stampa anaglifica delle curve di livello, la cui elaborazione è fatta o con uno strumento meccanico (anaglifografo) o con un calcolatore elettronico; entrambi ricostruiscono teoricamente i punti di presa e quindi i fasci proiettivi delle due immagini utilizzando la rappresentazione piana delle curve di livello.

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