analogìa (linguistica)

fenomeno che spiega un fatto linguistico, in contrasto con una certa norma, ricorrendo all'influsso esercitato da altre forme. Nel corso del sec. IV a. C. la -s- tra vocali diventa in latino -r-. La forma latina desilio appare perciò come l'eccezione a questa regola e viene spiegata appunto con l'analogia al verbo semplice salio e sul modello del rapporto salio, insilio. In questo caso l'analogia ha agito nel senso di impedire l'attuazione di un certo mutamento fonetico. Essa può però agire anche nel senso inverso, determinando un mutamento fonetico al di fuori delle sue normali condizioni: ciò è avvenuto, per esempio, in maior dove l'originaria -s finale (cfr. il neutro maius) appare rotacizzata, anche se non si trova in posizione intervocalica, per analogia alle forme dei casi obliqui maioris, maiori ecc. L'imperfetto poteram del latino classico è stato sostituito da potebam (da cui l'italiano potevo) in latino volgare per analogia alla forma monebam, secondo la proporzione monui: monebam=potui: potebam. In italiano accanto a grave (dal latino gravis) troviamo anche greve che suppone una forma grevis (da cui anche il francese grief) analogica al termine opposto levis. In francese il diverso vocalismo radicale del sostantivo preuve e della forma verbale je prouve si spiega col fatto che quest'ultima è analogica al plurale nous prouvons, dove in posizione atona è regolare l'esito ou in luogo di eu della sillaba accentata. In alto tedesco medio sono ancora distinte le desinenze della terza persona plurale dell'indicativo e congiuntivo presente e dell'indicativo preterito: rispettivamente geb-ent, geb-en, gāb-en. Ma in tedesco moderno, per analogia alle altre due forme, anche l'indicativo presente ha la desinenza -en (inversamente in alto tedesco medio si può trovare la desinenza -ent dell'indicativo presente estesa analogicamente anche al congiuntivo presente e all'indicativo preterito). Il fenomeno dell'analogia si riscontra spesso nel linguaggio infantile e nella lingua popolare: il congiuntivo stasse, usato al posto della forma corretta stesse, deriva per analogia da altre forme come amare, amasse; cantare, cantasse, ecc.

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