antipsicòsico

agg. e sm. (pl. m. -ci) [da anti-2+psicosi]. Psicofarmaco, detto anche psicosocorrettore, dotato di una certa selettività di azione per cui viene impiegato in specifici settori della psichiatria. Gli antipsicosici deprimenti (neurolettici o tranquillanti maggiori) sono usati nelle forme di psicosi maniacali, stati di eccitazione, aggressività, schizofrenia. Le classi di farmaci più usate a tale scopo sono: gli alcaloidi della Rauwolfia (reserpina) e alcuni analoghi di sintesi; i farmaci fluorobutirrofenonici (aloperidolo, droperidolo, ecc.); i neurolettici fenotiazinici il cui capostipite è costituito dalla cloropromazina. Gli antipsicosici stimolanti sono usati in casi di sindromi depressive, stati maniacali, depressioni involutive, psicosi ansiose. I più importanti antipsicosici stimolanti sono i farmaci timeretici (antiamminoossidasici) e i farmaci timolettici (antidepressivi triciclici).

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