apparato crìtico

nell'edizione critica, registrazione grafica (apparato critico), di solito a piè di pagina, delle varianti di un testo a tradizione non unitaria (ossia pervenutoci attraverso testimonianze molteplici e discrepanti), a documentazione dello stato del testo medesimo e a giustificazione del criterio che ha presieduto alla sua costituzione e riproduzione. Già i papiri egiziani di testi greci riportavano varianti alternative e le edizioni dei critici alessandrini erano corredate, in rotoli a parte, di un commento al testo con cenni sui manoscritti utilizzati e sulle lezioni relative. Varianti, marginali o interlineari, sono registrate con sempre maggior frequenza nei manoscritti medievali e sono il risultato di collazioni con altri manoscritti o frutto di congetture. All'immagine moderna dell'apparato critico si avvicinano maggiormente le sistematiche collazioni degli umanisti in margine a esemplari manoscritti o a stampa di testi classici. La comparsa di veri e propri apparati critici, in senso moderno, relativi cioè a un testo costituito con rigorosi criteri razionali, è tuttavia molto più tarda e si deve ai grandi editori di testi scritturali e classici del sec. XIX. Il primo apparato critico dell'opera di un contemporaneo, redatto ancora lui vivente e recante le varianti delle stampe anteriori alla definitiva, è quello delle Poesie disperse di G. Ungaretti, a cura di G. De Robertis (Milano, 1944). § Nel diritto medievale, le glosse che un commentatore faceva in modo sistematico a un testo di giurisprudenza. Famosi furono, anche per vasta applicazione, gli apparati di Accursio al Corpus iuris civilis e di Bulgaro al De diversis regulis iuris del Digesto.

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