arpìa

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sf. [sec. XIV; dal greco Hárpyiai, le Rapaci, tramite il latino Harpȳiae].

1) Figure mostruose della mitologia greca, donne con il corpo di uccello rapace. Agivano nelle tempeste marine e rapivano i naufraghi. Contro di loro lottarono i primi marinai mitici, gli Argonauti. I Boreadi (i figli del vento Borea) le cacciarono nelle isole Strofadi, dove le trovò Enea, come è narrato nell'Eneide. Erano tre e rispondevano al nome di Celeno, Ocipete, Aello. Le Arpie sono una personificazione della morte violenta o prematura: morte per disgrazia o morte infantile. Pur nella loro funzione negativa, esse erano dette “serve di Zeus”, ossia esecutrici dell'ordine divino. In senso fig., persona ingorda, rapace, che vuole tutto per sé: quell'uomo era una vera arpia; donna bruttissima e bisbetica: non si può parlare con quell'arpia di tua cognata.

2) Uccello accipitriforme (Harpya harpya) della famiglia degli Accipitridi. È un rapace di grandi dimensioni (circa 1 m di lunghezza) munito di un becco e di artigli robusti e sviluppatissimi, che vive nelle foreste delle zone fluviali, dal Messico sino al Paraguay e alla Bolivia. Si riconosce dal piumaggio, particolarmente soffice, che forma sul capo un gran ciuffo, eretto dall'animale nei momenti di eccitazione. La colorazione tende prevalentemente al grigio, con parecchio bianco sul petto e sull'addome; bianche, con macchie più scure, sono anche le penne che ricoprono anteriormente le zampe. L'arpia si nutre di mammiferi quali scimmie e pecari e costruisce il nido alla sommità di alberi molto alti.

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