assolutismo

Indice

Lessico

Sm. [sec. XIX; da assoluto, sul modello dell'inglese absolutism].

1) Il pensare e l'agire con assolutezza, senza limitazioni e costrizioni.

2) Sistema politico in cui la sovranità è concentrata in un unico centro di potere, identificato di solito nella monarchia, che esercita le funzioni legislativa, esecutiva, giudiziaria senza alcun controllo o contrappeso giuridico.

Storia

L'assolutismo si distingue dalla tirannide, perché si richiama a un principio di legittimazione che giustifica l'autorità e subordina l'opera di governo al soddisfacimento del benessere collettivo. Affermatosi nelle monarchie orientali precristiane, che identificavano il re con la divinità, l'assolutismo fu tipico degli imperatori romani, che si proclamavano delegati dal popolo a riunire nelle proprie mani le fondamentali magistrature pubbliche, un tempo ripartite in organi distinti. Il tardo impero portò a un assolutismo di stampo orientale, mentre le invasioni barbariche e il feudalesimo infransero progressivamente ogni sistema centralizzatore, diffondendo l'esercizio del potere in una molteplicità di istituti. Nel Medioevo la polemica fra potere temporale e potere spirituale servì a elaborare gli strumenti dottrinali per convalidare un ritorno dell'assolutismo nell'età moderna, inteso sia come forma di autorità proveniente direttamente da Dio, sia come risultante dell'originario contratto col quale gli uomini avrebbero volontariamente trasferito la sovranità individuale a un solo organo di potere. Queste teorie rafforzarono i regimi monarchici dei sec. XVII e XVIII, contrassegnando un periodo storico definito convenzionalmente come età dell'assolutismo. Tra la metà del Seicento e il 1789 i sovrani cercarono così di concentrare nella loro persona tutte le attività statali, giustificando il monopolio del potere in nome di principi diversi (il diritto divino di Luigi XIV di Francia, l'illuminismo di Federico II di Prussia o dell'imperatore Giuseppe II), senza mai rinnegare l'intransigente logica ispiratrice dell'assolutismo. Il monarca assoluto rimase sempre al di sopra della legge positiva, ma dovette riconoscere la sua autorità sottoposta a un limite giuridicamente non precisato, seppur implicito nel titolo che legittimava il suo potere; la legge naturale, filtrata dalla dottrina cattolica, non poteva venire disconosciuta dai sovrani di diritto divino, così come un principe illuminato non si sentiva in grado di violare la linea di condotta che traeva alimento dai principi della filosofia razionalista. Ma fu proprio lo sviluppo del razionalismo, con l'affermarsi dei diritti dell'individuo, che segnò la fine dell'assolutismo, dando l'avvio al modello del moderno Stato costituzionale.

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