assoluto (filosofia)

la realtà prima e sussistente di per sé. Il primo a usare il termine assoluto nel campo della filosofia è stato N. Cusano, per il quale si danno un assoluto massimo e un assoluto minimo, entrambi sfuggenti all'umana comprensione, entrambi coincidenti in Dio. Dio stesso è perciò assoluto in quanto coincidenza degli opposti. Se Cusano evidenzia particolarmente la forma sostantiva del termine assoluto, J. G. Fichte le usa entrambe (quella attributiva e quella sostantiva), identificando non solo l'assoluto con l'Io come principio creatore (e identificando poi tale principio con Dio stesso), ma anche definendo “assoluta” l'attività dell'Io e “assoluto” il sapere che coglie questa attività. Il termine assoluto si ritrova anche nelle altre forme dell'idealismo classico tedesco, in F. W. J. Schelling e in G. W. F. Hegel. Quest'ultimo considera l'assoluto come il momento conclusivo del processo della ragione, il momento cioè dell'unità di essere e pensiero, quale si realizza compiutamente attraverso la posizione, insieme ideale e storica, di determinazioni concettuali come determinazioni reali. Il pensiero hegeliano concepisce dunque l'assoluto come realtà esaustiva, necessitata e necessitante, e a tale concezione si oppone Schelling, soprattutto nell'ultima fase del suo pensiero. Motivo principale dell'opposizione di Schelling è l'istanza di evidenziare il libero donarsi di Dio all'uomo. Dopo il romanticismo e l'idealismo, il termine assoluto è stato ripetutamente ripreso dalle varie correnti filosofiche, sempre però in accezioni analoghe a quelle elaborate dagli idealisti: tale è l'uso che vien fatto, per esempio, da V. Cousin, da W. Hamilton e da H. Mansel, da F. H. Bradley, da B. Croce e da G. Gentile.

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