atrofìa

sf. [sec. XVII; dal greco atrophía, da a- privativo+tréphō, nutrire]. In medicina, riduzione in peso e volume di un organo o tessuto in seguito ad alterazioni dei processi di biosintesi. Esistono atrofie fisiologiche, che riguardano alcuni organi destinati a ridurre la loro attività funzionale dopo la nascita (per esempio il timo) e vari tipi di atrofie patologiche. Tipiche sono: l'atrofia alimentare infantile (o atrepsia); l'atrofia muscolare, che può essere congenita (sinonimo di atrofia muscolare progressiva precoce, malattia di Werdnig-Hoffmann e di Aran-Duchenne), a carattere ereditario con lesione dei tronchi nervosi periferici e delle cellule delle corna anteriori del midollo spinale, oppure acquisita (per esempio quella che si osserva in un arto dopo ingessatura prolungata); l'atrofia cerebrale, che consiste in una riduzione del tessuto cerebrale e caratterizza le varie forme di demenza (da cause degenerative o vascolari); l'atrofia cutanea (vedi atrofoderma); l'atrofia ossea (sinonimo di malattia di Sudeck) conseguente a traumi, scottature, congelamento, lesioni nervose per cui le ossa divengono molto fragili e si fratturano spontaneamente; l'atrofia ottica, indotta da degenerazione delle fibre nervose costituenti il nervo ottico; l'atrofia giallo-acuta, grave affezione del fegato con degenerazione e iperacuto del parenchima epatico, che porta a necrosi massiva.

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