Lessico

sm. [sec. XIII; latino tardo ebŏrĕus, agg. di ebur-ŏris, avorio].

1) Sostanza fornita dalle zanne dell'elefante africano (maschio e femmina) e di quello indiano (maschio), come pure dai denti di ippopotamo e di qualche altro mammifero.

2) In istologia, sinonimo di dentina.

3) Per estensione, tonalità di bianco tendente al giallo, propria della sostanza omonima; fig., detto specialmente della pelle, candore: braccia d'avorio; “Dolce color di rose in quel bel volto / fra l'avorio si sparge” (Tasso); anche come agg. inv.: pareti avorio Per metonimia, lett.: gli avori, i denti.

4) In senso fig.: torre d'avorio, epiteto della Vergine con cui si celebra la sua virtù; per estensione riferito ironicamente all'uomo di studio che vive tutto concentrato nel suo oggetto di ricerca, avulso dalla realtà.

5) Al pl., oggetti d'avorio, specialmente lavorati artisticamente.

6) Avorio vegetale, nome commerciale dell'albume dei semi di alcune palme nane tra cui in particolare la Phytelephas macrocarpa e di alcune piante della famiglia Pandanacee. Per consistenza, durezza e colore imita l'avorio animale. Si usa per la produzione di bottoni o di piccoli oggetti ornamentali. La maggior produzione si ha in Ecuador e Colombia.

Tecnica e arte: generalità

La lavorazione dell'avorio, pur non possedendo caratteristiche specifiche, ha una fisionomia tecnica complessa in quanto partecipa dei processi, metodi e strumenti di lavoro tipici della scultura in pietra e della glittica, della pittura (per gli avori colorati) e dell'oreficeria. La tecnica prevalente è rappresentata tuttavia dall'intaglio realizzato con bulino, cesello, trapano, tornio, ecc. Oltre all'impiego di avorio tratto da zanne di elefante (africano, indiano, ecc.) e da denti di ippopotamo (usati dalle più antiche civiltà), si fece uso di quello di tricheco (molto diffuso nel Medioevo nell'Europa settentrionale), al quale il mondo bizantino, musulmano, persiano e asiatico attribuiva poteri magici (risanare ferite o rivelare il veleno). Denti e ossa di balena furono usati dagli Indiani della costa nordoccidentale dell'America Settentrionale. In Cina si usava anche avorio di rinoceronte (creduto antidoto per il veleno) e a Giava e in Indonesia avorio di dugongo e di bucero.

Tecnica e arte: le civiltà del Vicino Oriente

Fin dall'antichità la produzione di oggetti in avorio fu destinata, per il costo della materia prima, che doveva essere importata, e l'alto grado di perfezionamento della tecnica di lavorazione, a soddisfare le esigenze di lusso e ricchezza delle sfere più elevate, delle corti e degli ambienti religiosi (ambiti del resto inevitabili, anche per i poteri magici e apotropaici sempre riconosciuti all'avorio). In Egitto, fin dall'età predinastica, la lavorazione dell'avorio raggiunse un notevole livello artistico (pettini, impugnature di coltelli incise, come quella del famoso coltello da Gebel-el-ʽAraq, ora al Louvre; suppellettili funebri, statuette e oggetti vari). Nell'Asia anteriore antica venivano impiegati diversi procedimenti tecnici per la lavorazione dell'avorio, dei quali si può ricostruire una cronologia relativa sufficientemente attendibile. Avori intagliati sono rari nel Bronzo Medio (alla fine del quale vengono datati quelli di Tell Beyt Mirsim); nel Bronzo Tardo si diffondono in Siria e Palestina: particolarmente importanti sono quelli di Alalah in Turchia, di Lākīš e soprattutto di Megiddo in Palestina (pissidi per unguenti e profumi, placchette di diverse morfologie per la decorazione di mobili, porte e forse anche pareti). Nel I millennio a. C. l'artigianato dell'avorio raggiunge livelli di alta perfezione artistica. Le botteghe della Siria interna riflettono maniere stilistiche della contemporanea arte monumentale siro-anatolica; quelle fenicie riproducono schemi e forme egittizzanti; quelle urartee e quelle assire permangono nell'ambito dell'arte assira (talvolta provinciale, come nel caso delle botteghe iraniche nord-occidentali). Caratteri originali, anche nei confronti della tradizione ittita, si riscontrano nella produzione di alcune botteghe anatoliche. Rilievi in avorio, che sono spesso citati nei testi storici assiri come parte di tributo, sono stati rinvenuti in gran numero nei palazzi del periodo neoassiro nelle antiche capitali di Assur e Dūr-Šarrukīn. Altre collezioni importanti provengono dalla residenza assira di Hadatu, dalla capitale palestinese di Samaria, dal centro fenicio-cipriota di Salamina e da centri siro-anatolici, come Zincirli e Karkemıš. Mentre sono rarissimi gli avori rinvenuti in centri fenici orientali, importanti prodotti lavorati a incisione e connessi alle botteghe fenicie sono stati ritrovati in colonie fenicie di Spagna. Con la fine del sec. VII a. C. l'artigianato dell'avorio decadde nel Vicino Oriente.

Tecnica e arte: il mondo greco-romano

Nell'ambito del Mediterraneo antico, di raffinata fattura sono le figurine in avorio cretesi provenienti dal Palazzo di Cnosso (l'Acrobata, impreziosito da incrostazioni auree). Gli avori cretesi ebbero ampia diffusione anche sul continente, a Micene, Sparta, ecc. L'arte greco-romana ha lasciato numerose testimonianze di avorio lavorato. Al periodo greco arcaico appartengono statuette e oggetti vari ritrovati a Delfi e a Sparta; notevole una statuina femminile in stile geometrico di questo periodo conservata al Museo Nazionale di Atene. All'epoca classica risalgono i colossi “crisoelefantini” in avorio e oro di Fidia (lo Zeus di Olimpia; l'Atena del Partenone). Leocare eseguì in avorio le statue della famiglia di Alessandro. Ricca e varia fu la produzione di avori lavorati in età ellenistica. Anche il mondo etrusco fece largo uso di avorio per vari oggetti, tra cui tavolette iscritte e una statuetta femminile in avorio e lamina d'oro (Marsiliana d'Albegna). Roma riprese tale tradizione adattandola agli impieghi più svariati: sono ricordate sculture in avorio (Giove di Pasitele, statua di Germanico), rilievi, placchette e oggetti diversi. In tarda età imperiale furono prodotti i raffinatissimi dittici di alto valore artistico.

Tecnica e arte: il Medioevo

Dell'epoca paleocristiana e dei periodi bizantino e medievale è rilevante la produzione di dittici consolari, imperiali o legati a figure di personalità minori (splendidi esempi di origine romana e costantinopolitana sono conservati al Louvre di Parigi e al Victoria and Albert Museum di Londra), di cofanetti per l'incenso o per reliquie (Lipsanoteca del Museo di Archeologia Cristiana di Brescia, sec. IV), di pissidi, di oggetti sacri come cattedre (quella di Massimiano, Museo Arcivescovile di Ravenna, sec. VI), di coperte d'evangeliario, di statuette, di altari portatili. Nella sfera privata l'avorio venne utilizzato per oggetti da toilette, medaglioni, fibbie, scacchiere, impugnature di spade e per la decorazione di mobili. Principali centri di produzione furono soprattutto Roma, Bisanzio, che eccelse nell'arte dell'intaglio e nelle cui opere dei sec. VI e IX-XI si recupera una vasta documentazione iconografica mitologica di ambito classico (il cosiddetto cofanetto di Veroli, Victoria and Albert Museum di Londra), le scuole di ambito imperiale in età carolingia, tra le quali emerge la scuola conventuale di Lorsch (vedi gruppo di Ada), le cui rilegature si ispirano a modelli paleocristiani, e le scuole renane (Reichenau, Colonia), note per i reliquiari di tipo architettonico.

Tecnica e arte: la fioritura islamica

Nel mondo islamico la lavorazione dell'avorio raggiunse un alto grado di abilità e raffinatezza specie nella tecnica dell'intaglio ad alto e basso rilievo, spesso arricchito da intarsi e incrostazioni; assai raro il tutto tondo. Furono eseguiti gli oggetti più diversi: scrigni, cassette, pissidi, figure di scacchi, pettini, impugnature per armi, corni da caccia e piastrelle da incastrare in pulpiti (minbar), cenotafi, porte. Gli esemplari più antichi sono forse attribuibili alla scuola omayyade di Siria del sec. VIII. Non sono invece pervenuti oggetti ṭulunidi (anche se in Egitto abili artigiani copti lavoravano per la ricca clientela musulmana) o abbasidi, ma sembra che l'imponente elefante conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi, con incisa una firma araba, sia stato un dono di Harūn al-Rašīd a Carlo Magno. Al sec. X risale il primo avorio dipinto in vari colori, secondo una tecnica piuttosto rara nell'Islam e che, originaria dell'Ifrīqiyah (Tunisia), troverà seguito solo in Sicilia. Dalla Siria l'attività degli avorieri si spostò alla Spagna (forse al seguito degli ultimi Omayyadi) e prosperò a Cordova, Madīnat az-Zahrā e Zamora, da cui provengono alcune splendide pissidi decorate con scene della vita di corte distribuite in medaglioni, secondo le tradizioni culturali bizantina e sassanide. Nell'Egitto del periodo mamelucco l'intaglio in avorio fu largamente impiegato nella decorazione architettonica, per riquadri di porte, rivestimenti di minbar, pannelli ornamentali preziosamente lavorati ad arabeschi, iscrizioni, motivi vegetali. Di fattura molto pregiata anche i corni da caccia, certamente lavorati da musulmani, anche se destinati a una clientela “occidentale”. Nella Persia e nell'India dei sec. XIV-XVII fu di moda intagliare in avorio impugnature di scimitarre e pugnali, corni per polvere da sparo e piccoli oggetti d'uso comune (calamai, portapenne, scatoline per toeletta). "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 3 pp 236-239" "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 3 pp 236-239"

Tecnica e arte: Gotico e Rinascimento

Nell'Occidente europeo ebbe inizio con il basso Medioevo una lenta ma progressiva fase di decadenza, dovuta alle difficoltà di importare la materia prima a seguito del controllo esercitato dai Turchi sulle arterie commerciali dall'Oriente . Tuttavia in epoca gotica fiorirono importanti scuole francesi , in particolare Parigi (sec. XIII-XIV), con produzione di eleganti statuette a tutto tondo della Vergine col Bambino, di gruppi scultorei (Incoronazione della Vergine; Parigi, Louvre), di dittici e trittici, di suppellettili sacre e profane. Un esempio eccezionale d'arte italiana in avorio è la Madonna col Bambino di Giovanni Pisano (Pisa, Tesoro del duomo). Nel Trecento in Italia è nota la produzione di Baldassarre degli Embriachi e della sua bottega, che ebbe ampia fama anche in Europa per la raffinata tecnica con cui venivano eseguiti oggetti minuti (altaroli, cofanetti, trittici, ecc.) o lavori di più vasto impegno (altare nella Certosa di Pavia). Nel Rinascimento invece l'eredità culturale di questa grande tradizione non fu compresa appieno dagli artigiani (soprattutto fiorentini), che, pur accogliendo nuove esperienze tecniche, si limitarono per lo più a un'imitazione piatta della scultura monumentale (riproduzioni di crocefissi o statue) oppure impiegarono l'avorio per decorare mobili e suppellettili. Carattere virtuosistico assumerà infine la produzione eburnea nel barocco, soprattutto nell'Europa centrale (Fiandre, Germania, Austria).Nel sec. XVII si ebbero celebri scuole artigianali, con l'intervento di noti artisti, a Norimberga e Ulma in Germania e a Dieppe in Normandia. Oltre che per la decorazione di mobili e per ogni sorta di oggetti (vasi, cornici, piatti, boccali per birra, ecc.), l'avorio fu largamente usato nella statuaria, per gruppi scultorei (Ercole e l'Idra di B. Stockamer; Firenze, Museo Nazionale), busti-ritratto (Re Giorgio I di D. Le Marchand; Londra, Victoria and Albert Museum), medaglioni, ecc.

Tecnica e arte: le civiltà extra-europee

Nell'ambito delle civiltà extra-europee, l'avorio, in Africa, ha sempre avuto un grande valore, talora più dell'oro. Spesso i capi si riservavano tutto l'avorio degli elefanti uccisi sulle loro terre, o per lo meno la zanna che toccava terra per prima al momento della morte dell'animale. I centri principali della scultura in avorio africana furono la Costa d'Avorio (Benin) e la regione del Congo: intere zanne venivano lavorate con minuziosi intagli (motivi geometrici e figure umane), ripetuti anche su piccoli oggetti (scatole, gioielli, scettri, ecc.). Notevole è anche la produzione degli Eschimesi, che ricavano dall'avorio di tricheco (anche da ossa o corna di renna) numerosi oggetti finemente intagliati. Nelle civiltà asiatiche, dove reperire la materia prima è più facile, la lavorazione artistica dell'avorio ha origini molto antiche e vasta applicazione, anche nel campo dell'architettura. Nella produzione indiana alto livello artistico e tecnico presentano gli avori rinvenuti nel tesoro di Begram, in Afghanistan (fine sec. I-metà sec. II d. C.), e quelli eseguiti nelle epoche gupta e postgupta (sec. IV-VIII d. C.), in cui spicca la presenza della figura umana idealizzata eppure vista in tutta la sua plasticità (figurette femminili al British Museum). Nell'area indiana la lavorazione dell'avorio ebbe splendida fioritura nel sec. XII a Ceylon, con gli alto-bassorilievi per la decorazione di templi e palazzi, che si arricchiscono talvolta dei colori vividi delle lacche usate per gli sfondi. In Cina la lavorazione dell'avorio inizia fin dall'epoca neolitica con materiale locale, data la presenza di elefanti nella valle del fiume Giallo. Dopo il 1300 gli elefanti scompaiono dal suolo cinese, quindi a partire da tale epoca l'avorio sarà importato dal Sud-Est asiatico, dall'India e dall'Africa. La facilità con cui si intaglia ha permesso da sempre l'esecuzione di opere molto elaborate che con i T'ang (sec. VII-X d. C.) diventano estremamente raffinate: paesaggi, figure umane, fiori e uccelli, ai quali l'aggiunta del colore apporta tocchi di vivace realismo. Effetti di abilità virtuosistica nell'intaglio si ebbero sotto la dinastia Ch'ing (sec. XVII-XX). Molto ricca fu anche la produzione di avorio giapponese, che conobbe la massima fioritura nei sec. XVII e XVIII, soprattutto attraverso quei capolavori di abilità tecnica e fantasia d'invenzione che sono gli inro e i netsuke.

G. C. Williamson, The Book of Ivory, Londra, 1938; P. B. Cott, Siculo-Arabic ivories, Princeton, 1939; C. Cecchelli, La cattedra di Massimiano ed altri avori romano-orientali, Roma, 1944; L. Grodecki, Ivoires Français, Parigi, 1947; G. Belloni, Avori tardoclassici e altomedievali, Milano, 1956; O. Beigbeder, Ivory, Londra, 1965; E. Kühnel, Islamic Arts, Londra, 1970; S.Mazzoni, Studi sugli avori di Ziwiye, Roma, 1977.

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