Lessico

agg. e sm. [dall'arabo al-Barbar, che prob. risale al greco bárbaroi, barbari].

1) Proprio della Barberia, del popolo dei Berberi; abitante o nativo della Barberia; tipo berbero; la lingua parlata dai Berberi. Per le culture berbere, vedi sahariano-berbere, culture-.

2) Cavallo berbero, razza di cavalli da sella di origine asiatica (della Mongolia secondo alcuni) o africana (dell'antica Numidia secondo altri) allevata attualmente nell'Africa settentrionale.

3) In botanica, nome comune poco usato e poco corretto per indicare il crespino (Berberis vulgaris).

Letteratura

La letteratura berbera è essenzialmente una letteratura popolare; non mancano tuttavia alcune opere di carattere dotto, tra cui alcuni libri sacri di imitazione coranica, composti da Ṣāliḥ ibn Ṭarīf (sec. VIII) e da Ḥā-Mīm detto al-Muftarī, cioè l'Imbroglione (sec. X), dei quali ci sono pervenuti solo alcuni passi; la traduzione del Corano di Ibn Tūmart (prima metà del sec. XII), che compose in dialetto šilḥa alcuni trattatelli teologici, andati perduti; nonché alcuni trattati di teologia ibadita (Ibaditi). Possediamo anche adattamenti di opere giuridiche arabe (tra cui quello del celebre Muhtaṣar di Halīl ibn Isḥāq), sovente in versi per aiutare la memoria. In queste opere la terminologia giuridica è in forte proporzione araba. Assai più rare sono invece le opere profane, sovente fatte redigere sotto la direzione di studiosi europei; non mancano operette, con scopi pratici, di medicina empirica e farmacologia. In tutte queste opere e negli scritti più recenti – specialmente durante la fioritura letteraria del sec. XVIII presso gli Šelūḥ – è stata usata la scrittura araba, con opportuni adattamenti, mentre solo presso i Tuaregh è conservata l'antica scrittura tifīnaġ. La letteratura popolare possiede una ricca novellistica, la cui tematica non si distacca dalle consorelle araba e islamico-mediterranea. Famoso in questo campo è il ciclo che ha per protagonista Sī Žeḥā o Ǧuḥā, le cui avventure e i cui motti bertoldeschi si ritrovano in Turchia e in Persia (col nome di Naṣr eddīn Khogiā) e fin in Sicilia e in Toscana (col nome di Giucco). La lirica è però prevalente; temi principali sono la guerra e l'amore. La lirica berbera per l'immediatezza di espressione e per le metafore ispirate dagli aspetti della vita quotidiana ricorda più la poesia araba preislamica che quella delle consorelle islamiche, dove prevalgono le metafore di scintillante fantasia. Un notevole contributo alla conservazione del patrimonio letterario berbero hanno dato in passato gli orientalisti europei, specialmente francesi (Basset, Laoust, Hanoteaux).

Linguistica

Insieme di dialetti (con differenze a volte tanto sensibili da impedirne la reciproca comprensione) variamente sparsi in tutta l'Africa settentrionale dall'Egitto al Marocco e alla Mauritania, di preferenza in oasi isolate del deserto sahariano o in regioni montuose specie del Marocco. Questi dialetti fanno parte della tradizionale famiglia linguistica camitica e di essi abbiamo una certa documentazione, in alfabeto arabo, a partire dai sec. XII-XIII. Complessivamente si contano ca. 5 milioni di parlanti, oltre la metà dei quali nel solo Marocco, in buona parte bilingui in quanto si servono dell'arabo come lingua colta e religiosa. Ciò spiega evidentemente l'influsso lessicale arabo su questi dialetti. Di particolare interesse sono le ricerche che hanno messo in luce un buon numero di elementi latini nei dialetti berberi, e soprattutto la loro arcaicità: akîker, ikîker dal latino cicer (cece), iger, igr dal latino ager (campo), takir dal latino cera (cera), che mostrano ben conservate le antiche gutturali latine; afurk dal latino furca (forca), con la conservazione dell'antica ŭ che nella maggior parte delle lingue romanze si è fusa con ō; arirâo dal latino aratrum, ecc. Questi numerosi latinismi ancora sopravvissuti negli attuali dialetti berberi sono testimonianza dell'influsso della colonizzazione romana nell'Africa mediterranea.

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