brigantàggio

Indice

Lessico

sm. [sec. XIX; da brigante]. Attività di singoli o di bande di malviventi, riuniti e comandati da un capo, che vivono fuori della legge e attentano a mano armata alle proprietà o alle persone: l'arretratezza economica favorisce lo sviluppo del brigantaggio. L'insieme dei briganti di un certo luogo; le bande organizzate di briganti e il fenomeno sociale da esse costituito in una data regione e in un determinato periodo storico.

Storia

Il brigantaggio, fenomeno antico, si rivelò particolarmente grave nella storia del mondo romano, in tardo periodo repubblicano e durante l'impero. Nel Medioevo il brigantaggio venne praticato soprattutto dalle milizie feudali, durante le guerre e nei periodi di tregua, particolarmente nel momento di transizione caratterizzato dal decadere del sistema feudale, ormai impoverito, e dal sorgere della ricca borghesia. Nel Rinascimento furono le compagnie di ventura, in Italia, Francia e Germania, a trasformarsi spesso in bande di briganti. Legato a particolari momenti di crisi economica e politica, il brigantaggio assunse nel Mezzogiorno d'Italia un rilevante peso politico a partire dal 1799, quando il disagio della popolazione e la rivolta dei contadini contro la borghesia e i poteri feudali furono incanalati, sotto la guida del cardinale Ruffo, in difesa della caduta dinastia borbonica, contro i Francesi, presentati dalla propaganda clericale come empi e senza fede. Nella storia dell'Italia unita, il termine brigantaggio indica quel periodo di violente agitazioni armate scoppiate nel Meridione dopo l'Unità. Di queste agitazioni occorre individuare un duplice ordine di cause: la ribellione contadina al nuovo ordine borghese, laico e liberale instaurato con la liberazione, e la rivolta reazionaria, legittimista e clericale fomentata dagli spodestati Borbone, rifugiati a Roma. I contadini meridionali erano rimasti fedeli agli ordinamenti feudali che offrivano loro il godimento di alcuni vantaggi, come il pascolo comune che permetteva anche ai più poveri di tenere qualche mucca, di raccogliere legna, ecc. L'unificazione, invece, aveva esteso al Mezzogiorno le istituzioni caratteristiche di una società borghese evoluta, apportandovi tra l'altro la leva militare, sconosciuta sotto i Borbone, e un aggravio di tasse. Il malessere dei contadini, che si videro privati di secolari diritti, esplose in forma violenta, degenerante spesso in episodi di delinquenza comune, caratterizzati da feroce crudeltà. Sui motivi della protesta contadina, abilmente sfruttati da una demagogica propaganda, si innestarono, trovandovi un terreno largamente favorevole, le rivendicazioni dell'ex re borbone, sostenuto dal clero, da elementi reazionari in genere e dal legittimismo internazionale. Francesco II, da Roma, organizzò una rete di formazioni brigantesche facenti capo a un comitato centrale operante in Napoli. Le dimensioni del brigantaggio meridionale divennero ben presto imponenti: nel 1863, l'anno di maggiore espansione, i componenti delle bande erano decine di migliaia e i loro capi si autodefinivano “generali” dell'esercito borbonico. Il governo italiano dovette subire l'iniziativa brigantesca fino a quando le normali forze di polizia non vennero integrate con reparti dell'esercito che impegnò in queste operazioni consistenti forze. Nella lotta, lunga e aspra, furono impiegati circa 90.000 uomini alle dipendenze di un apposito Comando generale per la soppressione del brigantaggio. L'azione contro le bande brigantesche fu condotta energicamente e la propaganda clericale e borbonica sfruttò al massimo le rappresaglie eseguite dalle truppe italiane. La dolorosa vicenda poté considerarsi conclusa solo nel 1867; pur se con carattere di saltuarietà, le operazioni di repressione durarono fino al 1870. Le conseguenze del brigantaggio si ripercossero negativamente non soltanto sul processo di unificazione del Paese, ma anche sull'organizzazione militare; nel 1866, infatti, l'esercito risentì il peso di tutta la sua mancata preparazione alla guerra. Dopo il primo decennio dell'Unità, la storia d'Italia non conobbe altri fenomeni con quelle caratteristiche politico-sociali proprie del brigantaggio meridionale. Questo riapparve, sia pure in dimensioni meno imponenti, negli anni successivi alla seconda guerra mondiale in Sicilia. La carenza del potere statale, le agitate passioni del momento, un contesto socioeconomico favorevole generarono una forma di brigantaggio, del quale il maggior esponente fu Salvatore Giuliano. Altrove il brigantaggio perde ogni sottofondo politico e, mentre si profila in Sardegna un tentativo di apporto al separatismo, per altri aspetti esso resta da assimilare al sempre più vasto e comune fenomeno della criminalità.

Bibliografia

T. Battaglini, Il crollo militare del regno delle Due Sicilie, Modena, 1939; J. Borjes, La mia vita tra i briganti, Manduria, 1964; F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'unità, Milano, 1964.

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