Lessico

sf. [sec. XIV; dal latino causa].

1) Ciò che produce oggettivamente un certo effetto; situazione o evento che è origine e principio di un fatto o fenomeno: “La storia non è accozzamento di fatti fortuiti... ma concatenazione necessaria di cause e effetti” (De Sanctis); le cause della Rivoluzione francese; la scarsa visibilità è stata la causa dell'incidente; la condensazione di vapore acqueo è causa della pioggia; la causa prima, Dio. Riferito a persona, il cui comportamento provoca determinate conseguenze: è stata lei la causa della nostra discordia; proverbio: “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. Con valore più soggettivo, ciò cui si attribuisce la facoltà di giustificare un fatto o un comportamento; motivo, ragione: agire per una causa legittima; non mi sembra una causa valida;causa di forza maggiore, circostanza indipendente dalla propria volontà; quindi anche occasione, pretesto: mi ha dato la causa che cercavo. In loc. prepositive: a causa di, in conseguenza di, in seguito a; per causa mia, tua, ecc., per colpa o responsabilità mia, tua, ecc.

2) Controversia giudiziaria e, per estensione, processo: una causa vinta, persa; fare causa, adire le vie legali; analogamente: muovere, intentare causa; più in genere, lite, questione: essere in causa con qualcuno; scherzoso: avvocato delle cause perse, chi sostiene idee sbagliate o comunque prive di fondamento. Fig.: dare causa vinta, dichiararsi sconfitto, rinunciare a un proposito; essere parte in causa, direttamente interessato; parlare con cognizione di causa, con piena conoscenza dell'argomento in questione; chiamare in causa, interpellare, coinvolgere, far ricorso a qualcuno o a qualche cosa

3) Con senso più tecnico, il connotato economico-sociale di un negozio giuridico: avente causa, che deriva da altri un determinato diritto; dante causa, chi trasmette ad altri un diritto o una condizione giuridica.

4) Il fine a cui tende un'azione caratterizzata da impegno ideologico o politico a vantaggio di un popolo, di una classe sociale, di un partito, ecc.; l'insieme dei diritti che si rivendicano e degli interessi che si sostengono: abbracciare la causa della pace; propugnare la causa dei popoli oppressi dal colonialismo; tradire una causa, abbandonarla o passare nel campo avverso; far causa comune con qualcuno, mettere insieme le risorse per conseguire un medesimo scopo.

5) In grammatica: A) complemento di causa, quello che esprime la causa oggettiva o il motivo specifico per cui si compie un'azione, si verifica una condizione o una circostanza; può essere introdotto dalle prep. per (la più comune), di, a, da o anche dalle loc. a causa di, per motivo di, e sim.; per esempio: “è partito per la disperazione”, “piangere dalla rabbia”, “deceduto a causa della malattia”. B) Complemento di causa efficiente, che indica l'agente inanimato dal quale è provocata l'azione subita dal soggetto nelle frasi passive; è introdotto in genere dalla prep. da o dalla loc. a opera di; la frase passiva può essere trasformata in attiva, mutando adeguatamente la forma del verbo, in modo che il complemento di causa efficiente diventi soggetto e il soggetto diventi complemento oggetto; per esempio, la frase passiva “le fronde sono agitate dal vento” corrisponde all'attiva “il vento agita le fronde”.

6) In statistica, le cause sono circostanze molto numerose, peraltro non apprezzabili esattamente e non separabili l'una dall'altra, che precedono un dato fenomeno e che lo condizionano, ovvero potrebbero condizionarlo. Dalla ineliminabile presenza di queste cause derivano gli errori casuali nelle misurazioni.

Demografia

Causa di morte. Da un punto di vista demografico la considerazione della morte, a seconda delle cause cui essa è ascrivibile, consente un'analisi approfondita della mortalità, analisi che fornisce anche una chiave di lettura delle condizioni socio-sanitarie di un Paese. La causa di morte viene rilevata in base alle notizie desumibili dagli atti di stato civile e alle diagnosi fornite dal medico curante o necroscopo, secondo le leggi italiane. Come causa di morte (o di natimortalità) viene considerata, in armonia con i criteri internazionali, quella iniziale, cioè quella che a giudizio del medico dichiarante si è manifestata per prima. La classificazione adottata per le cause di morte, mutata nel corso del tempo per adeguarla ai miglioramenti diagnostici, nel nostro Paese è attualmente la “Classificazione internazionale delle malattie, IX Revisione, 1975”. Tuttavia i dati vengono riferiti a una “classificazione intermedia” e a una “classificazione abbreviata” desunte, per aggregazione di voci, da quella internazionale analitica. Le voci in cui si articola la “classificazione abbreviata” sono nell'ordine: malattie infettive e parassitarie; tumori; malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione, del metabolismo e disturbi immunitari; malattie del sangue e degli organi ematopoietici; disturbi psichici; malattie del sistema nervoso e degli organi di senso; malattie del sistema circolatorio; malattie dell'apparato respiratorio; malattie dell'apparato digerente; malattie dell'apparato genitourinario; complicazioni della gravidanza, del parto e del puerperio; malattie della pelle e del tessuto sottocutaneo; malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo; malattie congenite; alcune condizioni morbose di origine perinatale; sintomi, segni e stati morbosi mal definiti; traumatismi e avvelenamenti. § In Italia le cause di morte prevalenti sono le malattie del sistema circolatorio (tasso di oltre 400 per 100 000 persone) e i tumori (tasso del 250 per 100 000 persone). Valori molto più contenuti si trovano in relazione a malattie dell'apparato respiratorio, malattie dell'apparato digerente, altri stati morbosi, cause esterne dei traumatismi e avvelenamenti (circa 50 per 100 000 persone); su livelli ancora più bassi (inferiori a 25) si trovano i sintomi, segni e stati morbosi mal definiti, le malattie infettive e parassitarie, i disturbi psichici e le malattie del sistema nervoso e degli organi dei sensi. Vi sono alcune cause di morte in continua diminuzione nel tempo (tubercolosi), altre che mantengono costante la loro incidenza (infarto del miocardio, disturbi circolatori dell'encefalo, ipertensione, malattie del sistema circolatorio, bronchiti enfisemi, ansia, suicidi e omicidi), mentre alcune, come i tumori, sono crescenti (mammella nella donna e prostata negli uomini).

Diritto

Causa del negozio giuridico, uno degli elementi essenziali del negozio giuridico; è intesa come il riconoscimento dato dall'ordinamento giuridico alla funzione economico-sociale che i contraenti hanno inteso realizzare attraverso le loro manifestazioni di volontà. In altre parole, quando il diritto riconosce come valido un contratto che le parti hanno posto in essere, riconosce anche automaticamente l'utilità del contratto stesso nell'ambito della società. Per la causa in diritto penale, vedi causalità. § Causa pia, la disposizione testamentaria, ispirata dal movente della salvezza dell'anima, mediante la quale il testatore destina il patrimonio ereditario o parte di esso a uno scopo pio, che può consistere in servizi religiosi o in opere di carità. Il diritto canonico (canone 1929 del nuovo Codice, promulgato nel 1983) non subordina la validità dei legati pii ad altra condizione che non sia la capacità, da parte del testatore, di disporre dei suoi beni. Esecutore dei legati pii è il vescovo diocesano; se legataria è una religione clericale esente, il superiore maggiore di detta religione.

Filosofia

In un senso molto generale, ciò per cui qualcosa è o senza il quale non sarebbe. Aristotele definisce la causa il perché della cosa: perciò è causa la materia di cui la cosa è fatta (causa materiale), perché senza la materia la cosa non sarebbe; è causa la forma della cosa (causa formale), perché la cosa non sarebbe, se non fosse così; è causa ciò che origina il processo in cui la cosa consiste, o da cui essa nasce (causa efficiente); ed è infine causa il fine in vista del quale la cosa esiste o è posta in atto (causa finale). Il concetto è quindi per Aristotele al centro della conoscenza scientifica: conoscere, infatti, equivale a dire la ragione di ciò che si conosce. La causa è perciò un concetto eminentemente relazionale: infatti individuare la causa di qualcosa significa, in genere, porlo in una relazione univoca con qualcos'altro. A seconda del tipo di relazioni considerate più significative, questa o quella accezione del concetto è diventata prevalente, nel corso della storia della filosofia e della scienza. Così la causalità è stata di volta in volta identificata col principio del movimento, quando erano privilegiate le relazioni meccaniche e tutte le altre venivano ridotte a esse; col fondamento dell'essere, quando la relazione delle cose create con la divinità creatrice appariva il prototipo di tutte le relazioni naturali; con la deducibilità, quando le relazioni logiche di tipo analitico-deduttivo erano assunte come fondamentali; con la prevedibilità, quando sembravano determinanti le relazioni pragmatico-operative, e la spiegazione scientifica era intrinsecamente finalizzata all'intervento sulla realtà. Ciò che è comune a tutti questi modi d'intendere la causa è l'idea di una connessione significativa, che renda ragione della cosa che si conosce, risolvendola senza residui nella connessione stessa. Per gli stoici, la causa è ciò che, con la sua azione, produce un determinato effetto. Essi privilegiavano la relazione di ciò che muove con ciò che è mosso, che caratterizza molti aspetti del rapporto dell'uomo con la realtà naturale. La filosofia cristiana, invece, definisce la causa servendosi di concetti come forza o energia: San Tommaso considerava vera causa solo la causa prima, cioè Dio, perché Dio solo pone in essere tutte le cose, mettendole in condizione di agire a loro volta come cause. La filosofia moderna è divisa prevalentemente, nella definizione del concetto di causa, tra un'interpretazione meccanicistica come quella di Hobbes, per cui la causa si riduce sempre all'origine di un movimento, e un'interpretazione logico-deduttiva, come quella di Spinoza, per cui causa è ciò da cui è possibile dedurre con metodo geometrico (cioè logico-analitico) l'effetto; quindi, propriamente, solo Dio, che è la totalità delle determinazioni logiche. Anche Leibniz intese la causa come principio della spiegazione in senso logico; tuttavia, per ciò che concerne i fatti, solo Dio (che ne conosce ogni determinazione) può determinarne la causa in senso stretto; gli uomini ne colgono soltanto la ragion sufficiente, cioè l'insieme di connessioni che rendono il fatto, se non deducibile, almeno altamente prevedibile. La più nota delle critiche al concetto di causa come deducibilità è quella di Hume, per il quale il rapporto fra causa ed effetto non esprime un legame necessario, ma solo contingente, cioè un'uniformità che sorge dall'esperienza e che sussiste in base a un'abitudine del soggetto a una sua credenza. La causalità tornò a essere interpretata come deducibilità da Hegel, che vide nell'articolazione interna della cosa la sua spiegazione scientifica (la sua ragione) e perciò identificò la causa con la struttura logica della cosa stessa; struttura logica che però è data veramente soltanto nella sua totalità, che coincide con l'articolazione logica della realtà tutta. Sicché per Hegel, come già per Spinoza, causa è soltanto la totalità delle determinazioni logiche, che è la realtà.

Filosofia: principio di causa

Una formulazione importante del principio di causa per la scienza moderna è dovuta a Laplace. La conoscenza causale sarebbe quella di un'intelligenza matematica quasi divina che conoscendo lo stato meccanico attuale di ogni punto dell'universo potrebbe abbracciare sia il futuro sia il passato di esso in ogni particolare. Questa concezione della causa che si identifica con il determinismo meccanicistico pone in stretto rapporto la previsione con la deducibilità logico-matematica portando implicitamente a superare l'idea di causa come forza o agente produttivo. Comte considerò infatti quest'idea caratteristica di uno stadio metafisico della conoscenza e affermò che non il rapporto di causa ed effetto ma la legge costituisce l'autentico oggetto della conoscenza scientifica. Alla fine dell'Ottocento anche Mach, riprendendo la critica di Hume, propose di sostituire il concetto tradizionale di causalità con quello matematico di funzione, come dipendenza reciproca degli aspetti di un fenomeno. Un implicito sostegno a questa concezione della causa proveniva dalla nuova teoria cinetica dei gas, cioè dalla meccanica statistica sviluppata specialmente da Maxwell e Boltzmann. Con questa teoria in luogo di legami causali fra singoli eventi si ponevano delle connessioni probabilistiche fra complessi di eventi, pur senza negare un determinismo di principio per ciascuno di essi. A questa negazione si è giunti invece nel Novecento con l'interpretazione della fisica quantistica e del principio di indeterminazione. Secondo alcuni la causalità o la determinazione verrebbe meno a livello atomico e l'unica conoscenza possibile in linea di principio sarebbe quella probabilistica. Contro questo preteso fallimento del principio di causa, che sarebbe sanzionato dalla fisica quantistica, si sono sollevate molte obiezioni. Si rileva fra l'altro che tale principio permane come un criterio metodologico irrinunciabile per la scienza. Essa si pone cioè sempre come obiettivo delle spiegazioni deterministiche, anche se il significato di determinismo si deve estendere, superando la concezione di Laplace, alla relazione o connessione teorica fra grandezze statistiche che descrivono lo stato di un fenomeno atomico. In questa prospettiva il principio di causa si ricollega più che all'esigenza della previsione completa dei fenomeni (presente in Laplace) a quella della loro spiegazione mediante una teoria.

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