Teoria dei campi

Teoria sviluppata nel sec. XIX per interpretare i fenomeni elettromagnetici e luminosi che costituisce un superamento del meccanicismo che sin dal sec. XVII era alla base della fisica. Tale teoria ha la sua origine nel problema teorico della trasmissione del movimento che, mentre per Cartesio poteva realizzarsi solo per contatto, nella successiva concezione newtoniana risultava anche dall'azione a distanza tra corpi separati dal vuoto. Per il meccanicismo rimaneva però aperto il problema di un'eventuale azione fisica inerente al “mezzo intermedio” fra i corpi. Così nel sec. XVIII R.G. Boscovich, fondatore del dinamismo, per superare le difficoltà dell'azione di contatto fra i corpi, suppose che gli atomi fossero costituiti da punti, sedi di forze attrattive e repulsive. L'impenetrabilità era così il risultato solo della forza repulsiva e non di un'estensione o durezza della materia. In tal modo le forze potevano considerarsi inerenti al mezzo congiungente i punti dei corpi e attive in esso. Grandi difficoltà incontrava il meccanicismo nell'interpretare i fenomeni termici, elettrici, magnetici e luminosi come basati su fluidi imponderabili costituiti da particelle soggette ad azioni attrattive e repulsive. Nella prima metà dell'Ottocento si giunse infatti ad ammettere che la luce non era un processo corpuscolare, come già aveva sostenuto Newton, bensì ondulatorio. Ma le onde, trasversali alla direzione del raggio luminoso, richiedevano come supporto un mezzo vibrante, l'etere, che doveva paradossalmente possedere le proprietà di un solido. L'idea di campo, per cui il mezzo di propagazione di un effetto fisico non è un supporto passivo capace di trasmettere l'azione di una sorgente a un recettore, si affermò attraverso lo studio dei fenomeni elettricie magnetici. Nel 1820 H.C. Oersted scoprì che una corrente elettrica produce un effetto magnetico deviando l'ago di una calamita e nel 1831 M. Faraday scoprì che una corrente elettrica può essere prodotta dal movimento di un magnete o dalla variazione di un'altra corrente elettrica. Per interpretare questi inattesi fenomeni Faraday ammise l'esistenza di linee di forza, cioè di una particolare tensione del mezzo intermedio fra i poli del magnete. Esse riempiono lo spazio circostante e la loro concentrazione in un certo spazio rappresenta l'intensità della forza magnetica in esso. L'ipotesi che forze e quindi energia fossero presenti in uno spazio tra i corpi non convinse i contemporanei. Fu J.C. Maxwell a imporre questa idea introducendo un modello meccanico dell'etere secondo il quale l'azione magnetica si propaga come la pressione di un fluido entro tubi corrispondenti alle linee di forza. Perfezionando questo modello poté esprimere i fenomeni elettromagnetici noti con equazioni matematiche; queste presentavano la stessa forma delle equazioni d'onda con cui si descriveva la trasmissione della luce. Lasciato il modello dell'etere, egli analizzò questa analogia stabilendo che l'effetto elettromagnetico si propaga nell'etere con la stessa velocità della luce. Concludeva così che “la luce consiste nell'ondulazione trasversale dello stesso mezzo che è causa dei fenomeni elettrici e magnetici”. Questo concetto di campo implica quindi una solidarietà tra i fenomeni fisici e lo spazio in cui avvengono e apre così la strada a quella concezione più generale, espressa nella teoria della relatività, che non vede più lo spazio come lo sfondo su cui avvengono i fenomeni fisici e la geometria come descrizione dello spazio indipendente da questi, ma identifica descrizione dello spazio e leggi fisiche.

Campi di forza

Fra i campi delle forze conosciute, hanno particolare interesse i campi gravitazionali, i campi elettrici, i campi magnetici, i campi elettromagnetici, i campi nucleari. § Nella fisica classica, sono detti gravitazionali i campi generati da una distribuzione di masse per i quali vale la legge di gravitazione universale di Newton. I di gravità sono campi gravitazionali descritti a condizione che si resti in prossimità della superficie di un pianeta e che non si considerino estensioni troppo grandi della superficie stessa. Il termine campo gravitazionale si conserva anche nell'ambito della teoria della relatività generale, nella quale il concetto di forza viene eliminato e la legge di Newton vale solo approssimativamente; in questo ambito i fenomeni gravitazionali sono descritti dalle equazioni di di A. Einstein. Ancora nell'ambito della relatività generale, la possibilità di estendere gli stessi concetti ed equazioni impiegati per il campo gravitazionale a tutti i campi di forze divenne oggetto di studio nelle teorie di unificato "Per approfondire vedi Gedea Astronomia vol. 1 p 208 " "Per approfondire vedi Gedea Astronomia vol. 1 p 208 " , ben presto, però, completamente abbandonate. Le moderne teorie di unificazione si basano invece sulle teorie quantistiche dei campi (vedi oltre). § È detto campo elettrico un generico campo di forze che agisca su una distribuzione di cariche elettriche: elettrostatico (o coulombiano, o, con terminologia poco corrente, dielettrico) è un campo elettrico generato da una distribuzione di cariche elettriche in quiete, elettromotore un campo elettrico che provoca il movimento di cariche elettriche. Si noti che sia il termine newtoniano (peraltro sinonimo di campo gravitazionale), sia il termine coulombiano sono usati, in senso lato, per indicare campi di forze descrivibili con leggi formalmente simili alla legge di gravitazione universale di Newton e alla legge elettrostatica di Coulomb. § È detto magnetico un campo generato da magneti e/o da cariche elettriche in moto; esso produce delle forze su magneti e/o su cariche in movimento; se è generato solo da magneti, è anche detto magnetostatico. Nel caso in cui le grandezze vettoriali che descrivono il campo siano funzione del tempo ( non stazionari), il campo magnetico è legato strettamente a un campo elettrico, per cui si introduce il concetto di elettromagnetico che comprende come casi particolari sia il campo elettrico, sia il campo magnetico "Per approfondire vedi Gedea Astronomia vol. 3 pp 221-225; vol. 4 pp 154-157, 286-291" "Per approfondire vedi Gedea Astronomia vol. 3 pp 221-225; vol. 4 pp 154-157, 286-291" . § È detto nucleare il campo generato dai nucleoni in un nucleo; esso ha caratteristiche proprie che lo differenziano nettamente dal campo gravitazionale e dal campo elettromagnetico. A livello di particelle subnucleari esistono anche altri campi di forze, come, per esempio, il mesonico di Yukawa, che interpreta la natura delle forze che tengono insieme i costituenti dei nuclei.

Teoria quantistica dei campi

La meccanica quantisticaè basata sul principio che le interazioni tra i corpi, e quindi tra le particelle costituenti, non si trasmettono a distanza, ma attraverso lo scambio di particelle tra i corpi interagenti. In ciò il concetto di interazione si sostituisce a quello di forza. In questo senso, il campo creato da una determinata particella è l'insieme di particelle virtuali, cioè di particelle continuamente create e riassorbite che interagiscono con le particelle reali che si trovano nelle vicinanze. Le particelle virtuali che costituiscono il campo non sono altro che i quanti del campo. La massima distanza alla quale si può avere l'interazione è determinata dal principio di indeterminazione di Heisenberg: quanto minore è la massa m (energia E=mc²) della particella virtuale emessa tanto maggiore è il raggio di azione dell'interazione. Il campo elettromagnetico, i cui quanti sono fotoni di massa nulla, ha raggio d'azione infinito. Un campo in cui i quanti siano particelle di massa m, come per esempio nel caso delle interazioni nucleari, ha un raggio di azione dato dalla relazione r=cΔt, in cui c è la velocità della luce e Δt=h/(2πE), in cui h è la costante di Planck e m=E/c² è la massa del quanto del campo. Nel caso, quindi, del campo delle forze nucleari, la massa del quanto del campo è diversa da zero e il raggio d'azione dell'interazione tra due nucleoni è finito. La teoria che descrive l'interazione dell'elettrone con il campo elettromagnetico in cui si muove è l'elettrodinamica quantistica. Il suo successo nello spiegare i fenomeni osservati ha fatto sì che sia stata presa a prototipo per le altre interazioni tra particelle elementari (vedi quantistico).

Campi vettoriali

Il concetto di campo "Per lo schema di campo vedi il lemma del 5° volume." "Per lo schema di campo vedi pag. 295 del 5° volume." si generalizza in modo formale, come comodo metodo di rappresentazione matematica di fenomeni fisici, al di là di quello di campo di forza per comprendere campi caratterizzati da generiche grandezze vettoriali, come per esempio la velocità nei campi cinetici, che forniscono rappresentazioni visivamente esemplari di campi. Un campo vettoriale è una regione di spazio ai cui punti P sia associato un vettorev, funzione delle coordinate che esprimono la posizione di P rispetto a un dato sistema di riferimento, v=v(P), in cui la funzione non dipende dal sistema di riferimento usato. Un semplice esempio di campo vettoriale è dato da un fluido in movimento, sia liquido, sia gassoso: in ogni istante si associa a ogni punto P del fluido il vettore che ne rappresenta la velocità; questo vettore è funzione di P e caratterizza il cinetico in ogni istante. In un generico campo vettoriale, sono dette linee vettoriali le linee che hanno in ogni loro punto la tangente diretta come il vettore v. Mediante queste linee si ha una rappresentazione geometrica della direzione del campo in ogni istante, dato che per ogni punto del campo ne passa una e una sola. Nel caso di un campo cinetico, se il vettore v rappresenta la velocità di un generico punto di un fluido, le linee vettoriali sono dette linee di flusso. I campi in cui il vettore v non dipende dal tempo sono detti stazionari; le linee vettoriali rappresentano le traiettorie dei punti materiali e si dicono linee di corrente. Nel caso dei campi di forza (per esempio campi gravitazionali o campi elettrici) si dicono, invece, linee di forza. L'equazione che caratterizza le linee vettoriali si ottiene partendo dalla definizione stessa di linea vettoriale: ∧dP=0; il prodotto vettoriale a primo membro deve essere nullo in quanto la velocità v nel punto P e il vettore infinitesimo dP che congiunge il punto P con un altro infinitamente vicino, e che pertanto ha la direzione della tangente, sono paralleli "Per la figura 1 vedi pag. 295 del 5° volume." . "Per la figura 1 vedi il lemma del 5° volume." Talvolta le linee vettoriali si possono visualizzare con procedimenti sperimentali; per esempio, nel caso di fluidi in movimento si possono sospendere nel fluido delle particelle di massa e dimensioni sufficientemente ridotte per ottenere le linee vettoriali come traiettorie delle particelle stesse. Se in un campo vettoriale si considera una linea l che va da A a B "Per la figura 2 vedi il lemma del 5° volume." "Per la figura 2 vedi pag. 295 del 5° volume." l'integrale lungo l del prodotto scalare v×dP è detto circolazione del vettore v, con senso che si riferisce direttamente ai campi cinetici; nel caso di un campo di forza la circolazione rappresenta un lavoro. In formule C=ʃ1δC=ʃ1v×dP, dove la circolazione elementare δC non è in generale il differenziale esatto di una qualche funzione, la circolazione allora dipende dal cammino seguito per andare da A a B, cioè dalla linea l scelta, e non è quindi nulla lungo una linea chiusa. Se invece la circolazione elementare è un differenziale esatto, allora la circolazione non dipende dal cammino percorso, ma solo dai due punti A e B, ed è quindi nulla lungo una linea chiusa; infatti, se esiste uno scalare φ, funzione monodroma dei punti P, tale che sia δC=dφ allora

Lo scalare φ si dice potenziale del e il campo si dice potenziale se sussiste la suddetta condizione, che in formule si esprime così:

in cui vx, vy e vz sono le componenti cartesiane del vettore v; queste tre equazioni si riassumono dicendo che il vettore v è gradiente di uno scalare dato: v=grad φ. Dato che in un campo di forza la circolazione corrisponde a un lavoro, in un campo potenziale il lavoro è nullo lungo una linea chiusa; questo fatto si esprime dicendo che un campo potenziale è un conservativo. In un campo potenziale è importante la considerazione delle superfici equipotenziali, cioè delle superfici in cui il potenziale è lo stesso in ogni punto: φ(P)=costante; a ogni superficie equipotenziale corrisponde un valore diverso della costante. In ogni punto del campo il vettore v è perpendicolare alla superficie equipotenziale che passa per quel punto; infatti, essendo φ costante, dφ=0 e quindi dφ=v×dP=0, v o è nullo o è perpendicolare a dP, che rappresenta una generica direzione del piano tangente in P alla superficie. In altri termini, le linee vettoriali sono ortogonali alle superfici equipotenziali. Mediante linee vettoriali e superfici equipotenziali è possibile rappresentare un campo vettoriale in due modi distinti "Per la figure 3a e 3b vedi pag. 295 del 5° volume." : "Per le figure 3a e 3b vedi il lemma del 5° volume." si disegnano un certo numero di linee vettoriali scelte in modo che la densità di linee vettoriali non disegnate comprese tra due linee disegnate successivamente sia costante; si disegnano un certo numero di superfici equipotenziali, o meglio le linee che rappresentano la loro intersezione con il piano che interessa, scelte in modo che il potenziale vari di una quantità costante Δφ passando da una superficie alla successiva. Nel caso, per esempio, di un campo di forze, si vede subito che il campo è più intenso laddove le linee di forza, o equivalentemente le linee equipotenziali, sono più ravvicinate. Un campo rappresentato da linee di forza equidistanziate e parallele è detto uniforme. Matematicamente, la condizione necessaria e sufficiente perché un campo sia potenziale, cioè esista uno scalare φ tale che v=grad φ, è data da:

che sinteticamente si scrivono rot v=0, in cui rot indica l'operatore rotore; il campo è detto irrotazionale e pertanto la condizione necessaria e sufficiente perché un campo sia potenziale è che esso sia irrotazionale. Un campo che non sia irrotazionale è detto rotazionale "Per la figure 4, 5a, 5b, 6a e 6b vedi pag. 295 del 5° volume." . "Per le figure 4, 5a, 5b, 6a e 6b vedi il lemma del 5° volume." Una grandezza caratteristica dei campi vettoriali è il flusso. Si consideri, in un campo vettoriale, una superficie S nello spazio "Per la figura 7 vedi pag. 295 del 5° volume." , "Per la figura 7 vedi il lemma del 5° volume." delimitata da una linea chiusa l; sia n il vettore unitario, o versore, normale alla superficie in un punto P, con verso prefissato a partire dalla superficie; è detto flusso di v attraverso S lo scalare definito da: =ʃs v×dS. In un campo cinetico, dove v è la velocità di un fluido, il flusso rappresenta il volume di fluido che attraversa la superficie data nell'unità di tempo. In generale, il flusso dipende dalla superficie, e non è quindi nullo attraverso una superficie chiusa. Se però il vettore del campo v è rotore di un vettore w, cioè se si ha v=rot w, il flusso attraverso S dipende solo dalla linea di contorno l e non dalla superficie S e pertanto è nullo attraverso una superficie chiusa (teorema della circuitazione o di Stokes). Per analogia con quanto succede nel caso del potenziale (in quel caso si tratta di una linea chiusa), il vettore w di cui v è potenziale viene chiamato potenziale vettore. I campi vettoriali che soddisfano a questa condizione, cioè dotati di potenziale vettore, si dicono solenoidali. Matematicamente, la condizione necessaria e sufficiente perché un campo sia solenoidale, cioè che esista un vettore w tale che v=rot w, è data dall'equazione:

che si scrive div v=0, in cui div indica l'operatore divergenza. È caratteristica importante dei campi solenoidali di essere divisibili in tubi di flusso "Per la figura 8 vedi pag. 295 del 5° volume." , "Per la figura 8 vedi il lemma del 5° volume." superfici tubolari formate da tutte le linee vettoriali che passano per i punti di una data linea chiusa l. Dato che il flusso che passa attraverso due superfici del tubo, S e , è nullo e i versori di queste hanno verso opposto, il flusso per S è uguale a quello per ed è quindi caratteristico del tubo. Un tubo di flusso non può avere termine entro il campo: o si chiude su se stesso ad anello, o continua fino al contorno del campo, o all'infinito "Per la figura 9 vedi pag. 295 del 5° volume." . "Per la figura 9 vedi il lemma del 5° volume." Il flusso del tubo è uguale alla circolazione del potenziale vettore lungo una linea del tubo che lo circonda una volta sola. In termini fisici, per esempio, in un campo cinetico, un tubo di flusso relativo al rotore della velocità rappresenta un vortice, così come l'immagine stessa ci suggerisce; il valore del flusso indica l'intensità del vortice. Un campo vettoriale che sia insieme potenziale e solenoidale viene detto armonico; infatti ne consegue che deve essere div (grad φ)=0 e cioè Δφ=0, in cui Δ è l'operatore di Laplace (operatore laplaciano). § Un'ulteriore generalizzazione del concetto matematico di campo, di grande utilità e di ampio uso in fisica, è costituita dai campi scalari e dai campi tensoriali. Uno scalare può infatti essere considerato come un vettore di ordine zero e un tensore come un vettore di ordine superiore. È detta scalare una regione di spazio ai cui punti P sia assegnato il valore di uno scalare f, funzione delle coordinate di P, f=f(P), che non muti al mutare del sistema di riferimento "Per la figura 10 vedi pag. 296 del 5° volume." . "Per la figura 10 vedi il lemma del 5° volume." Sono campi scalari la densità di massa, la temperatura, la densità di energia. È detta tensoriale una regione di un generico spazio, Sn, a n dimensioni, dove il riferimento sia basato su coordinate generali xi(i=1,2,...n), ai cui punti P sia associato un tensore di ordine m dato; le componenti Tij del tensore sono quindi funzioni delle coordinate di P. Poiché il campo vettoriale è praticamente un caso particolare di campo tensoriale, a quest'ultimo possono pertanto venire estesi operatori analoghi a quelli già definiti per i campi vettoriali (come divergenza e rotore).

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