canonizzazióne

sf. [sec. XIV; da canonizzare]. Atto ed effetto del canonizzare: canonizzazione di un autore, di un'usanza; il termine si usa specialmente in senso ecclesiastico per indicare l'atto definitorio, successivo alla beatificazione, compiuto dal pontefice romano nel suo magistero infallibile, con il quale si proclama la santità di un servo di Dio e se ne ammette il culto pubblico. Anche il recepire formalmente nell'ordinamento della Chiesa (ordinamento canonico) una norma appartenente ad altro ordinamento o sistema giuridico (per esempio quello dello Stato). § Fino al sec. X l'attribuzione di culto era determinata dalla volontà popolare (vox populi) con l'approvazione del vescovo o del sinodo provinciale (canonizzazione vescovile). Per maggior prestigio essa veniva sottoposta al sinodo romano (per la prima volta nel 993). La canonizzazione vescovile restò però in vigore fino al basso Medioevo. Solo nel 1634 Urbano VIII proibì definitivamente il culto pubblico non autorizzato da Roma. La preparazione della canonizzazione fu affidata da Sisto V (m. 1590) alla Congregazione dei Riti. Oltre ad almeno due miracoli attribuiti al servo di Dio dopo la morte, si richiedono per la canonizzazione (canonizzazione formale) un decreto di procedere emanato dalla Congregazione dei Riti e il giudizio consultivo del Concistoro. § Canonizzazione equipollente, riferita a santi per i quali i papi avevano permesso il culto ad alcuni ordini religiosi o diocesi e solo più tardi ne avevano incluso il nome nel calendario della Chiesa universale. L'inserzione nel calendario si ritiene equivalente alla canonizzazione formale.

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