cittadinanza

Indice

Lessico

sf. [sec. XIV; da cittadino].

1) Il complesso degli abitanti di una città.

2) La condizione di cittadino con i relativi diritti e doveri nei confronti dello Stato: prendere la cittadinanza inglese; cittadinanza onoraria, quella concessa a titolo onorifico dallo Stato o da un comune ad alcuni benemeriti; cittadinanza doppia, situazione giuridica di colui che fruisce di due cittadinanze in forza dei diversi criteri giuridici che regolano tale istituto nel suo Paese d'origine e in quello in cui si trova: il caso più frequente è quello di una straniera che sposando un italiano acquista automaticamente la cittadinanza del marito anche se non ha rinunciato a quella del suo Paese d'origine.

Diritto

Il rapporto di appartenenza di un soggetto allo Stato in forza del quale al soggetto vengono imputati dei diritti e dei doveri nei confronti dello Stato stesso. In base a ciò, gli individui nei loro rapporti con lo Stato si dividono in cittadini, se appartengono allo Stato, stranieri, se appartengono a un altro Stato, e apolidi, se non sono in rapporto di cittadinanza con nessuno Stato. Ai cittadini la Costituzione attribuisce il diritto al lavoro e il correlativo dovere di svolgere “un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4); il diritto di circolazione e soggiorno (art. 16); il diritto di riunione (art. 17); il diritto di associazione (art. 8); mentre, per esempio, il diritto di manifestazione del pensiero (art. 21) e il diritto di libertà religiosa (art. 19) sono attribuiti a tutti, cittadini e non cittadini. Altri diritti sono quelli politici che competono al cittadino proprio in quanto tale: diritto di elettorato attivo e passivo (art. 48); di associazione in partiti politici (art. 49); di rivolgere petizioni alle Camere (art. 50); di accedere ai pubblici uffici (art. 51). Tra i doveri che competono al cittadino vi è quello della difesa della Patria (art. 52) e quello di “essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi” (art. 54) mentre il dovere di concorrere alla spesa pubblica (art. 53) è riferito a tutti, cittadini e non cittadini. L'acquisto della cittadinanza, prima disciplinato in Italia dalla legge 13 giugno 1912, n. 555, modificata con D.L. 1º dicembre 1934, n. 1997, e con legge 3 ottobre 1977, n. 753, ed ora regolamentato dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91, generalmente avviene : a) per filiazione, in caso di padre o madre cittadini, o per nascita sul territorio italiano, se i genitori sono ignoti o apolidi, oppure se i genitori stranieri non trasmettono la propria cittadinanza al figlio secondo le leggi dello Stato di appartenenza o se il minore è stato rinvenuto in una condizione di abbandono sul territorio italiano (art. 1); b) per riconoscimento di paternità o maternità o in seguito alla dichiarazione giudiziale di filiazione durante la minore età del soggetto (art. 2); c) per adozione (art. 3); d) per acquisto volontario: il coniuge di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, o dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale (art. 5); e) per naturalizzazione, generalmente dopo 10 anni di residenza legale (art. 9), anche se la legge prevede casi di abbreviazione del periodo di residenza; f) su dichiarazione di parte, se lo straniero è discendente da cittadino italiano per nascita, fino al secondo grado, o ha svolto servizio militare nelle forze armate italiane o ha assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato anche all'estero o risiede legalmente in Italia da almeno due anni al raggiungimento della maggiore età (art. 4); g) per legge, il figlio minore convivente di chi acquista o riacquista la cittadinanza acquista anche egli la cittadinanza (art. 14). La cittadinanza invece si può perdere: a) per rinuncia (con dichiarazione); ad esempio l'adottato maggiorenne, a seguito di revoca dell'adozione per fatto imputabile all'adottante, può rinunciare alla cittadinanza italiana sempreché detenga o riacquisti un'altra cittadinanza (art. 3), oppure può rinunciare alla cittadinanza italiana al raggiungimento della maggiore età chi l'ha conseguita da minorenne a seguito di acquisto o riacquisto della cittadinanza da parte di uno dei genitori, alla condizione che detenga un'altra cittadinanza (art. 14); b) ex lege (automaticamente): per arruolamento volontario nell'esercito di uno Stato straniero o per svolgimento di un incarico pubblico presso uno Stato estero malgrado il divieto espresso dal Governo italiano o se, durante lo stato di guerra, con uno Stato estero, il cittadino abbia prestato il servizio militare o svolto un incarico pubblico o abbia acquistato la cittadinanza di quello Stato (art. 12); in caso di revoca dell'adozione per fatto imputabile all'adottato, purché questi detenga o riacquisti un'altra cittadinanza (art. 3). Una volta persa, la cittadinanza può essere riacquistata: a) su dichiarazione di parte, prestando effettivo servizio militare nelle forze armate e dichiarando preventivamente di voler riacquistare la cittadinanza italiana; assumendo, o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato anche all'estero; b) ex lege, dopo un anno dalla data in cui il soggetto ha stabilito la residenza nel territorio della Repubblica, salvo espressa dichiarazione di rinuncia entro lo stesso termine.

Cenni storici

Espresso con il termine politeia (che significa anche costituzione), il concetto di cittadinanza presso i Greci era inscindibile dal concetto di polis: secondo Aristotele essere cittadino significava essenzialmente partecipare al governo della polis, con funzioni decisionali e giudiziarie. Il possesso pieno del diritto comportava, pertanto, l'esercizio dei diritti elettorali attivi e passivi, esercizio che si verificava in modo totale soltanto nelle democrazie. La limitazione per nascita o censo al solo diritto elettorale attivo non eliminava tuttavia il concetto di cittadinanza e le oligarchie erano considerate, al pari delle democrazie (e a differenza delle tirannidi), delle politeiai. Il diritto di cittadinanza si acquistava in Grecia per nascita o per concessione; nel secondo caso la concessione fatta mediante decreti degli organi deliberanti della città poteva essere singola o collettiva. La prima aveva spesso valore onorario ed era destinata a premiare particolari benefici recati alla città. La concessione collettiva appare assai più rara e le promesse fatte in questo campo in momenti di pericolo comune (tipico il caso dei Samii, divenuti ateniesi nel 405 a. C., e dei Meteci, riconosciuti nella restaurazione democratica del 404-403) vengono per lo più revocate. Un'eccezione rispetto al costume generale del mondo greco è costituita da Siracusa, che non solo nel periodo della tirannide, ma anche in un periodo di democrazia, appare assai larga nella concessione del diritto di cittadinanza e sembra preannunciare in qualche modo il costume romano. Collegati con il diritto di cittadinanza, ma concessi talora indipendentemente dalla politeia, sono i diritti di epigamia e di enctesis, che permettono a stranieri di contrarre matrimonio e di possedere legittimamente nel territorio di una polis; questi privilegi si accoppiano spesso insieme all'esenzione da tributi (ateleia), con le concessioni di ospitalità (proxenia), una delle istituzioni più caratteristiche del mondo greco. Nei koinà (stati generali) la politeia delle singole città coesiste con quella del koinòn o ethnos: si ha in questo caso la sympoliteia, che si esprime con la doppia indicazione del diritto di cittadinanza (per esempio Thessalòs ek Larises, Tessalo di Larissa; Aitelos ek Naupactou, Etolo di Naupatto). Lo scambio del diritto di cittadinanza (e dei diritti di epigamia, enctesis, ecc.) trovava la sua espressione nel concetto di isopoliteia, che si verificò spesso in età ellenistica, con l'adesione a uno Stato federale di una città geograficamente lontana (cfr. il caso di Lisimachia e del koinòn etolico).§ Presso i Romani il diritto di cittadinanza si acquisiva per nascita da genitori entrambi cittadini, o da un genitore peregrinus in possesso dello ius connubii, oppure per adozione da parte di un civis, e veniva esteso anche agli schiavi affrancati per mezzo della manumissio. La civitas poteva inoltre essere conferita per una concessione del popolo a singoli individui o agli abitanti di una città peregrina. La cittadinanza poteva essere optimo iure oppure sine suffragio: nel primo caso dava il pieno godimento dei diritti politici (ius suffragii) e comportava l'iscrizione del cittadino in una delle 35 tribù territoriali, mentre la civitas sine suffragio si limitava alla ius connubii, commercii, census, militiae. La civitas sine suffragio fu concessa all'origine come privilegio ai membri di città straniere esenti dallo ius suffragii ma anche dagli obblighi militari e dai tributi. Dal 306 a. C. ca. però essa perse il suo carattere di onore, passando a significare un parziale assoggettamento di comunità, precedentemente libere e autonome, a Roma. Una fase intermedia per l'acquisizione della cittadinanza era costituita dallo ius Latii, che permetteva a chi avesse esercitato una magistratura municipale di ottenere la civitas Romana. Roma attribuì in larga misura fin dalle origini la sua cittadinanza alle comunità latine e italiche con cui venne a contatto; dopo la guerra sociale la cittadinanza romana fu estesa a tutti gli Italici residenti in Italia; nella tarda età repubblicana essa fu concessa (soprattutto per opera di Cesare) anche nelle province non solo a singoli ma anche a gruppi e a intere città. In età imperiale continuò a essere conferita nelle province con molta larghezza e, all'atto del congedo, a coloro che avessero militato come ausiliari nell'esercito romano. Nel 212 d. C., infine, Caracalla estese, per mezzo della Constitutio Antoniniana de civitate, la cittadinanza a tutti i cittadini dell'Impero di condizione libera, esclusi i dediticii (sui quali però è aperta la discussione), senza modificare lo status delle loro comunità originarie. Nella tarda età imperiale lo ius civitatis, che aveva perduto il suo valore politico essendo stati aboliti i comitia, continuò a essere valido per il suo significato sociale e costituì il simbolo più appariscente dell'unità imperiale.

Sociologia

Il sociologo T. H. Marshall ha introdotto nelle scienze sociali il concetto di cittadinanza, sottraendolo alla tradizionale definizione giuridico-amministrativa. In particolare, con allargamento della cittadinanza, Marshall – come più tardi S. Lipset e R. Dahrendorf – intende l'impulso egualitario presente nelle società industriali di massa e tendente a garantire progressivamente pienezza di diritti a tutti gli strati sociali. L'aspirazione all'effettivo godimento dei diritti di cittadinanza è, per i sociologi liberali, il reale motore dinamico del mutamento sociale, contro le teorie fondate sulla lotta di classe e sulla tesi degli interessi incompatibili fra soggetti economici diversi. Le forme della cittadinanza descritte da Marshall sono tre: civile, politica e sociale. Lo Stato costituzionale moderno è, perciò, il teatro di rivendicazioni centrate prima sulla domanda di parità di fronte alla legge (diritti civili, emancipazione giuridica), poi su quella di eguale potere di rappresentanza politica (suffragio universale, principio dell'“un uomo un voto”). Da ultimo, con la richiesta di cittadinanza sociale, si affaccia l'esigenza di usare le istituzioni al fine di superare le diseguaglianze storiche e – nei limiti del possibile – le stesse diseguaglianze naturali. Su questa filosofia si fonda il principio politico del cosiddetto Stato sociale. Il modello proposto da Marshall è stato criticato per i suoi caratteri di eccessivo schematismo e per il sostanziale disconoscimento del ruolo attivo svolto dai movimenti collettivi e dai partiti popolari nella conquista – non sempre indolore – dei diritti di cittadinanza nella società industriale.

L. Gatteschi, Commentario delle leggi sulla cittadinanza, Bolzano, 1958; G. Biscottini, Cittadinanza, in “Enciclopedia del Diritto”, vol. VII; L. Lapenna, La cittadinanza nel diritto internazionale generale, Milano, 1966; G. Papperini, Immigrazione e cittadinanza, Milano, 1987.

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