clorofòrmio

sm. [sec. XIX; da cloruro+formico]. Composto organico derivato alogenato del metano di formula CHCl₃, detto anche triclorometano. Si ottiene per azione del cloro sull'alcol etilico o sull'acetone in presenza di alcali oppure per riduzione del tetracloruro di carbonio. È un liquido rifrangente, incolore, altamente volatile, di odore caratteristico, di sapore dolciastro bruciante. Ha densità 1,498 a 15 ºC e punto di ebollizione a 61,26 ºC; è miscibile in ogni rapporto con alcol ed etere. Nel cloroformio si sciolgono facilmente gran parte delle sostanze organiche. Viene infatti adoperato come solvente dei grassi, degli oli, delle resine, ecc., oltre che nell'industria della gomma e nelle miscele per estintori assieme al tetracloruro di carbonio. L'interesse del cloroformio in medicina è legato alle sue proprietà anestetiche; le prime applicazioni avvennero a opera dell'ostetrico scozzese J. Y. Simpson (1834), il quale lo adoperò nell'anestesia del travaglio di parto. Il cloroformio medicinale deve avere particolari requisiti di purezza; la sua conservazione va effettuata in recipienti scuri, al riparo dalla luce, dall'aria e dall'umidità, che ne favoriscono l'ossidazione. Il cloroformio è ancora uno dei più potenti anestetici. A piccole dosi produce insensibilità dolorifica senza perdita della coscienza. Inalato a concentrazioni più elevate determina uno stato di profonda narcosi e la scomparsa dell'attività riflessa. Largamente adoperato in passato, il cloroformio ha modeste applicazioni nella moderna pratica anestesiologica, a causa degli effetti collaterali.

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