Lessico

sm. [sec. XIX; da convenzionale].

1) Caratteristica di ciò che è convenzionale; l'agire conformemente a certe regole quasi imposte da convenzioni o tradizioni sociali.

2) Ogni posizione per cui la verità di certe proposizioni si fondi su un accordo o convenzione, stipulata, implicitamente o esplicitamente, dai membri di un gruppo umano.

Cenni storici: dal sofismo al neopositivismo logico

Nel pensiero antico, il convenzionalismo fu sostenuto dai sofisti per i principi morali e politici. Buona parte del pensiero giuridico e politico dei sec. XVII e XVIII sostenne il carattere convenzionale delle norme fondamentali dell'ordinamento sociale: esse si fondano sull'accordo degli uomini, in base a criteri di generale benessere e utilità. Verso la fine del sec. XIX, il convenzionalismo si è esteso al campo dei linguaggi formali. Il convenzionalismo moderno può definirsi come una corrente di pensiero che sottolinea la natura convenzionale di alcuni concetti fondamentali della matematica e della fisica. Prende le mosse dalla scoperta delle geometrie non-euclidee e dalla relativizzazione dello spazio e del tempo, determinata dall'indagine fisica agli inizi del sec. XX. Con le geometrie non-euclidee si poneva in discussione l'intuizione spaziale, quale risulta dal senso comune e dalle indagini psicologiche e fisiologiche, intesa come fondamento della geometria; inoltre era possibile mostrare la legittimità logica di geometrie che non solo non facessero ricorso a tale principio, ma anche non fossero analizzabili né in termini di spazio percettivo o psicologico né in quelli di spazio fisico. Per quanto riguarda la fisica, le obiezioni sollevate sull'assolutezza dello spazio, base della fisica newtoniana, a opera soprattutto di E. Mach e di H. Poincaré, avrebbero trovato la loro concretizzazione nella teoria della relatività einsteiniana. In questo contesto, in cui non si dà né una geometria privilegiata, né uno spazio assoluto, il convenzionalismo ribadisce che il privilegiare una geometria o un determinato sistema di riferimenti spaziali dipende unicamente da convenzioni eseguite dall'operatore scientifico in base a criteri di opportunità e convenienza. Si rigetta il problema di trovare un criterio obiettivo e univoco come un falso problema legato a un modo di pensare tradizionale e metafisico. Questo discorso, esteso alla questione dei fondamenti della matematica, e quindi a tutta la matematica, faceva di questa scienza un insieme di concetti e di teorie la cui adozione risultava vincolata solamente alle condizioni di non contraddittorietà e di maneggevolezza. Si negavano così sia l'esistenza di una conoscenza a priori in matematica sia il richiamo all'evidenza; e ciò proprio per il fatto che la specificazione del significato dei termini usati in questa scienza veniva fatta dipendere dalle sole convenzioni che via via venivano stipulate. Questa posizione trovò, agli inizi del Novecento, insieme a Poincaré, uno dei maggiori sostenitori in P. M. Duhem. Il vasto successo delle opere filosofiche del primo fece sì che il convenzionalismo fungesse da sostrato a numerose e disparate posizioni filosofiche, quali, per esempio, il pragmatismo di F. Schiller o lo spiritualismo di E. Boutroux. Va tuttavia osservato che, per quello che concerne i fondamenti della matematica e la logica, il convenzionalismo già nei primi decenni del sec. XX perse rapidamente terreno di fronte alla maggior ricchezza e articolazione di altre correnti quali il formalismo, il logicismo e l'intuizionismo. Tesi di tipo convenzionalista sono peraltro presenti nell'opera di R. Carnap di un certo periodo e più genericamente nel neopositivismo logico. Diversa sorte il convenzionalismo ha conosciuto nello studio dei fondamenti della fisica, dove, anche recentemente, è stato al centro di vivaci dibattiti.

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