Lessico

sm. [sec. XIV; dal latino cŭltus, da cŏlere, coltivare].

1) L'insieme degli atti e dei riti attraverso i quali si esplicano i sentimenti e le convinzioni religiosi: culto interno, intimo sentimento di devozione; culto esterno, le manifestazioni esteriori di tale sentimento. La religione stessa (culto cattolico, culto protestante, libertà di culto) e l'amministrazione liturgica di una religione: ministro del culto; spese del culto.

2) Sentimento di profondo rispetto, di riverenza e quasi di venerazione nei confronti di una persona, di una cosa, di un'idea, ecc.: culto della famiglia, della bellezza. Per estensione, eccessiva cura: avere il culto della propria persona.

3)Culto della personalità.

Religione: generalità

Rapporto istituzionale tra una comunità umana e uno o più esseri sovrumani: dei, antenati, spiriti, demoni, ecc.; ma anche uomini a cui siano attribuiti poteri sovrumani: per esempio il re, dove esiste il culto della regalità. Tale rapporto si esplica per mezzo del rito e si definisce determinando l'essenza dell'essere a cui il culto è destinato per mezzo di segni quali: le immagini o le rappresentazioni simboliche di chi è oggetto del culto; i luoghi (templi, santuari, ecc.), i tempi (le feste) e il personale del culto (sacerdoti). Il culto, data la sua istituzionalità e la sua capacità di definire gli esseri venerati da un determinato popolo, è un fondamentale punto di riferimento per l'individuazione di una religione. Tanto che spesso, ma impropriamente, si fa coincidere il concetto di culto con quello di religione. In realtà con il termine religioso va inteso qualcosa che è comprensivo del culto ma non si esaurisce con esso. Per esempio sono funzioni di una religione altrettanto valida: i riti autonomi, cioè non destinati ad alcun essere in particolare e che quindi non esprimono alcun culto; o anche i riti apotropaici, intesi ad abolire gli eventuali rapporti con un determinato essere. Una distinzione si può fare tra culto pubblico e culto privato: nel primo caso il rapporto istituzionale con la divinità è stabilito dalla comunità, nel secondo dall'individuo. Così il culto pubblico provvede all'edificazione della comunità, mentre il culto privato a quella dell'individuo. Ma questa ripartizione, se è vera per la cultura occidentale, a partire da Roma antica e dalla sua concezione giuridica del pubblico e del privato, può non manifestarsi in altre culture. Per lo più il privato non esiste come fatto culturale, in quanto la “salvezza” e l'edificazione dell'individuo vengono a coincidere con la salvezza e l'edificazione della comunità. E allora la zona del privato assume piuttosto il carattere dell'asociale, e talvolta addirittura dell'antisociale (e perciò anticulturale). In tale accezione negativa rientrano i culti stregonistici (presso di noi: il culto del diavolo) reali o soltanto attribuiti a persone considerate anti-sociali. D'altra parte culti domestici, familiari, gentilizi, ecc. si possono esplicare nella zona del privato senza porsi necessariamente contro la comunità: ma in tal caso si ha la perfetta coincidenza delle due zone o si ha, come presso di noi, la loro distinzione giuridica. Tra i popoli d'interesse etnologico molto spesso, in assenza di persone incaricate di fare da tramite tra la divinità e il gruppo, si ha un culto individuale, essenzialmente spontaneo e consistente in preghiere, offerte di cibi, sacrifici di animali; mezzi di espressione sono spesso il canto e la danza. Il culto individuale scompare nelle religioni politeistiche, dove esso è esercitato dal re, dai capi o dagli anziani oppure dai sacerdoti. L'azione cultuale più importante è il sacrificio, che, se limitato agli animali, è presente in tutte le società d'interesse etnologico, mentre i sacrifici umani si riscontrano solo nelle religioni politeistiche e sono appannaggio esclusivo della classe sacerdotale.

Religione: cristianesimo, liturgia

In senso soggettivo culto è l'espressione del sentimento interiore con cui l'uomo riconosce la divinità e quanto attiene alla sfera del sacro; in senso oggettivo l'insieme degli atti liturgici con i quali si manifesta l'omaggio alla divinità; in particolare il culto cattolico è l'adorazione resa a Dio come creatore e signore di ogni cosa e la venerazione per i Santi e le reliquie. Il culto si divide in: culto di latria o di adorazione, dovuto a Dio (alla SS. Trinità, a ciascuna delle sue persone), in quello di iperdulia, ossia di supervenerazione, alla Vergine, in quello di dulia, ossia di venerazione, ai Santi e agli Angeli. Il culto assoluto è rivolto direttamente alle persone; il culto relativo venera le immagini e le reliquie, ma in ragione delle persone alle quali esse sono pertinenti. Il culto si dice pubblico, quando è tributato in nome della Chiesa dalle persone legittimamente deputate a tale funzione e per mezzo di atti indirizzati a Dio, ai Santi e ai Beati; altrimenti esso è privato. L'insieme dei riti pubblici compiuti dai ministri ecclesiastici per onorare Dio, in particolare con il sacrificio della Messa, e per procurare delle grazie agli uomini per mezzo dei sacramenti e dei sacramentali, è detto liturgia. Unicamente alla Sede Apostolica spetta la competenza a regolare la sacra liturgia e ad approvare i libri liturgici; ai cattolici è vietato assistere attivamente o prendere parte a riti acattolici; è tollerata la presenza passiva a funerali, nozze o altri riti solenni di acattolici, escluso il pericolo di scandalo. Non sono permesse nuove preghiere o altre pratiche pie nelle chiese e negli oratori, senza la previa revisione e licenza dell'Ordinario. I sacri ministri, nell'esercizio del culto, dipendono esclusivamente dai loro superiori ecclesiastici. I vescovi debbono fare osservare accuratamente le leggi liturgiche: essi debbono particolarmente vigilare affinché non sia introdotta nel culto sia pubblico sia privato, nonché nella vita quotidiana dei fedeli, alcuna pratica superstiziosa. Il canto e il suono di musica sacra nella chiesa debbono essere eseguiti con l'osservanza delle leggi liturgiche che regolano tali solennità.

Religione: giudaismo e cristianesimo, cenni storici

Nell'Antico Testamento il culto era intessuto di motivi provenienti in notevole misura dall'esterno o comunque tratti dal comune patrimonio religioso dei popoli medio-orientali; il culto israelitico dell'antichità (incentrato intorno agli elementi fondamentali del sacrificio, della confessione di fede, della preghiera – tutti atti comunitari – e condensato in determinate feste, in precisi tempi e presso particolari luoghi) era, ciò nonostante, chiaramente indirizzato a una propria, precisa finalità: il senso dell'umana dipendenza da Dio. In epoca preesilica, al contrario, l'elemento sincretistico prese il sopravvento, al punto da snaturare il senso originario del culto e da conferirgli una funzione di evasione dalle responsabilità storiche e sociali, ciò che rese necessario l'intervento della critica profetica. Mentre poi nel giudaismo postesilico si assiste a una rivalutazione del culto e alla diffusione di una pietà eminentemente cultuale, con centro di riferimento nel Tempio di Gerusalemme, il ritualismo e il giuridismo caratteristici di tale pietà costituirono uno dei bersagli della polemica di Gesù, che, ancora una volta, vedeva in essi distorto il senso della piena dipendenza da Dio e dell'autentica obbedienza alla sua volontà. Nel cristianesimo apostolico si affermò l'idea che la sottomissione dell'intera vita del credente al Signore costituisse il vero culto (Epistola ai Romani 12, 1). Contemporaneamente, però, anche nel cristianesimo si stabilirono degli specifici momenti cultuali, caratterizzati, da un lato, da un contenuto e da un significato chiari e precisi, consistenti essenzialmente nella predicazione dell'opera salvifica di Gesù Cristo e nella comunione con essa e, d'altro lato, da un'ampia libertà di forme espressive; le componenti fondamentali del culto cristiano primitivo erano la predicazione, i sacramenti (Battesimo e S. Cena), la confessione di fede, la lettura della Bibbia, la preghiera, tutto in funzione della dipendenza da Dio. Dal sec. II il culto cristiano fu soggetto a mutamenti (quali l'arricchimento e la codificazione della liturgia), anche sostanziali, nella misura in cui le tendenze sincretistiche portavano a un occultamento del suo significato originario e a una sempre più pesante immissione in esso di elementi ritualistici a sfondo magico-sacramentale. Nel Medioevo il servizio divino s'incentrava attorno alla Messa, mentre, accanto a esso, fiorivano la venerazione dei santi, di Maria, delle reliquie e delle immagini. La Riforma protestante tese alla restaurazione del culto nel suo originario significato di momento particolare di predicazione del Vangelo e di espressione della dipendenza dei credenti dal loro Signore, mentre ogni forma cultuale estranea al servizio divino venne criticamente respinta. Al contrario, nell'ambito del cattolicesimo – e in special modo con una rinnovata fioritura cultualistica nel periodo postridentino – si mantennero i tipi di culto ereditati dal Medioevo. Un rinnovamento sensibile nella liturgia fu apportato dal Concilio Vaticano II: ne sono fatti salienti l'introduzione della lingua nazionale in molti atti di culto, il battesimo in comune, ecc.

Diritto: libertà di culto

La Costituzione italiana sancisce il principio della libertà di culto agli art. 3, 8, 19; nel primo si dichiara che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di religione; nel secondo si afferma che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge e quelle diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti purché non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano; nel terzo si stabilisce che tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa e di farne propaganda purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Ciò premesso, occorre rilevare che la legge 29 maggio 1929, recepita nella stessa Costituzione italiana (art. 7), affermava che la religione cattolica apostolica romana era la sola religione dello Stato; tale principio, che in effetti operava una grave discriminazione nei confronti degli altri culti, è decaduto con l'entrata in vigore (1985) del nuovo Concordato tra l'Italia e la Santa Sede (Patti Lateranensi). Il Codice Penale punisce il vilipendio e le offese alla religione e a chi la professa e vieta turbative alle funzioni religiose.

Per la religione cristiana

H. Delehaye, Les origines du culte des Martyrs, Bruxelles, 1933; A. Grabar, Martyrium. Recherches sur le culte des reliques et l'art chrétien antique, Parigi, 1946; E. Cattaneo, Il culto cristiano in Occidente, Roma, 1984.

Per le religioni non cristiane

T. Reik, Il rito religioso, Torino, 1949; M. Eliade, Traité d'histoire des religions, Parigi, 1951; G. van der Leeum, L'uomo primitivo e la religione, Torino, 1961; C. Dupuis, Compendio dell'origine di tutti i culti, Foggia, 1982.

Per il diritto

A. C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, Milano, 1954; Del Giudice, Manuale di diritto ecclesiastico, Milano, 1955.

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