denaturazióne

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sf. [da denaturare].

1) Alterazione di determinate sostanze, come l'alcol etilico o il cloruro di sodio, prodotta intenzionalmente allo scopo di impedirne l'uso per fini diversi da quelli cui sono destinate. La denaturazione viene effettuata mediante piccole quantità di prodotti chimici difficilmente eliminabili e identificabili con facilità (denaturanti), i quali modificano irreversibilmente proprietà, composizione o caratteri organolettici della sostanza in questione. L'alcol etilico viene denaturato per ragioni fiscali con una miscela di piridina, idrocarburi, alcol metilico e un colorante rosso; ciò impedisce che il prodotto per uso industriale sia utilizzabile per la produzione di profumi o di bevande alcoliche. Il cloruro di sodio destinato all'impiego industriale viene denaturato, per impedirne l'impiego alimentare, con l'aggiunta di solfato di magnesio, di bicromato di potassio, di nerofumo, ecc.

2) In biochimica, alterazione cui vanno incontro le sostanze proteiche per effetto di agenti chimici o fisici quali il calore, le radiazioni ultraviolette, gli ultrasuoni, gli acidi, gli alcali, le soluzioni saline, composti organici, ecc. La denaturazione determina sensibili cambiamenti dello stato fisico della proteina, il più evidente dei quali è spesso costituito dalla diminuzione della solubilità. Un tipico esempio di denaturazione proteica è la formazione del coagulo bianco, insolubile, che si ottiene per riscaldamento dell'albume d'uovo. Nelle proteine denaturate si ha la rottura dei legami che stabilizzano la struttura secondaria e terziaria della molecola; ciò determina la disorganizzazione del complesso e il cambiamento della sua configurazione sterica, mentre la struttura chimica e la sequenza degli amminoacidi rimangono inalterate. La denaturazione modifica, oltre alle caratteristiche fisiche, anche le proprietà biologiche delle proteine: per esempio, le proteine enzimatiche perdono con la denaturazione il loro potere catalitico. Talora le sostanze proteiche denaturate possono riacquistare l'organizzazione originale attraverso un processo detto “rinaturazione”, che ripristina anche le proprietà biologiche della proteina.

3) In genetica, processo mediante il quale la doppia elica del DNA viene separata in due eliche semplici. Si ottiene grazie all'intervento di agenti chimici (alcali o acidi) oppure fisici (calore) che distruggono i legami di idrogeno fra le basi piriniche e pirimidiniche del DNA, legami che sono tra i maggiori responsabili della struttura a doppia elica del DNA. La denaturazione è un processo reversibile ed è possibile riportare il DNA nello stato originale grazie al processo di rinaturazione. Il DNA delle varie specie ha caratteristiche ben precise di denaturazione, ossia possiede un proprio ambito di temperatura o pH di denaturazione. Ciò è dovuto al fatto che la stabilità di un dato DNA contro la denaturazione è essenzialmente una diretta funzione del contenuto in basi G+C (guanina+citosina) e, poiché questo contenuto è caratteristico per il DNA di ciascuna specie, sono pure caratteristiche per ciascun DNA le condizioni di denaturazione. Più elevato è il contenuto in basi G+C e più drastiche dovranno essere le condizioni a cui si dovrà operare per ottenere la denaturazione: più alta la temperatura, più estremi i pH delle soluzioni acide o basiche. Allo scopo si adotta la denaturazione termica in soluzioni saline oppure la denaturazione chimica con alcali anziché con acidi, in quanto questi ultimi hanno un'azione più distruttrice sull'adenina e sulla timina. L'andamento del processo di denaturazione viene seguito controllando la capacità di assorbimento a 260 nm della soluzione contenente il DNA. Infatti, la disorganizzazione del DNA provoca un aumento della capacità di assorbimento della luce ultravioletta da parte della soluzione stessa ed è quindi facile stabilire, per esempio, a che temperatura un certo DNA inizia a “denaturare” e la temperatura alla quale il 50% del DNA è denaturato; quest'ultima è detta temperatura di transizione (Tm) ed è stata già calcolata per un notevole numero di DNA diversi. La denaturazione del DNA inizia nelle regioni a basso contenuto in G+C e quindi non è uniforme lungo l'asse del DNA: infatti in certe zone, la doppia elica si svolge mentre in altre non è ancora iniziato il processo. Questa caratteristica viene sfruttata anche in alcune tecniche citologiche di bandeggiamento cromosomico con particolari coloranti fluorescenti quali l'acridina-orange; questi coloranti, infatti, si legano in modo diverso alle basi del DNA secondo che queste siano in una configurazione a doppia elica o ad elica semplice. Il diverso modo di legarsi al DNA influisce sulle caratteristiche di emissione della luce fluorescente di questi coloranti per cui, per esempio, l'acridina-orange emette luce verde in quelle zone in cui il DNA non è denaturato, mentre emette luce rossa in quelle zone dove la denaturazione ha già agito. Le tecniche di denaturazione del DNA cromosomico, associate all'impiego di particolari coloranti, sono divenute di grande ausilio nei laboratori di ricerca sulle fini alterazioni cromosomiche. I processi di denaturazione e di rinaturazione spontanei del DNA sono responsabili dei fenomeni di bandeggiamento.

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