Lessico

sm. [sec. XVII; da disarmare]. Atto ed effetto del disarmare. Con accezioni specifiche: A) impegno assunto da uno (disarmo unilaterale) o più Stati (disarmo plurilaterale) di ridurre i propri armamenti e l'entità delle proprie forze armate o di mantenerli entro determinati limiti. B) In marina, condizione di una nave militare o mercantile che ha cessato temporaneamente o definitivamente l'attività: nave in disarmo. C) In edilizia, operazione di rimozione e smontaggio delle armature provvisorie (armature di servizio) costruite a sostegno delle strutture, quali centine, casseforme, ecc.

Diritto internazionale

Il disarmo è un procedimento che mira a stabilire o garantire un equilibrio fra gli Stati interessati riguardo alla loro potenza militare e, come strumento di organizzazioni internazionali quali le Nazioni Unite, ad assicurare il mantenimento della pace internazionale. Tra le due guerre mondiali la pur intensa attività delle organizzazioni internazionali rimase infruttuosa e gli unici risultati si ebbero con il Trattato di Washington (6 febbraio 1922) fra Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti, Italia e Francia che fissava il numero delle rispettive navi da battaglia e portaerei e poneva un limite massimo nel tonnellaggio e armamento di tali navi. Il Protocollo di Londra del 1930 confermò tali impegni, ma nel 1934 fu denunciato dal Giappone. Iniziatosi il riarmo della Germania, questa e la Gran Bretagna conclusero nel 1935 un accordo che fissava un limite al riarmo navale della prima nella proporzione del 35% rispetto alla flotta britannica. Nel 1935 si riunì a Londra una nuova conferenza del disarmo, cui parteciparono Francia, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti, ma il trattato ivi predisposto non fu firmato né dal Giappone, che si ritirò dalla conferenza, né dall'Italia, che non partecipò alla sua conclusione a causa delle sanzioni societarie applicate per la guerra in Etiopia. Dopo la seconda guerra mondiale gli sforzi degli Stati si rivolsero al controllo degli armamenti “convenzionali” e a quello degli armamenti nucleari e degli esperimenti relativi. Dal 1947 al 1958 l'ONU fece diversi tentativi per ottenere il disarmo, ma con esito negativo per l'opposizione delle singole potenze. Nel 1960 la Francia e nel 1964 la Cina si aggiunsero agli Stati Uniti, all'Unione Sovietica e alla Gran Bretagna come potenze nucleari. Nel 1961 si riunì a Ginevra una conferenza per promuovere l'abolizione degli esperimenti atomici, ma nel gennaio 1962 si aggiornò sine die, riprendendo USA e URSS i deprecati esperimenti. Nel 1962 fu creato, nell'ambito dell'ONU, il “Comitato dei 18 Paesi per il Disarmo” (Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, Unione Sovietica, Canada, Italia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Birmania, Brasile, Etiopia, India, Messico, Nigeria, Svezia, RAU), cui si unirono nel 1969 altri otto Stati (Giappone, Paesi Bassi, Ungheria, Mongolia, Argentina, Marocco, Pakistan, Iugoslavia) e il comitato assunse la nuova designazione di “Conferenza del Comitato sul Disarmo”. Il 25 marzo 1963 il Trattato di Mosca, che fu ratificato dalla maggior parte degli Stati, stabilì una moratoria delle esplosioni atomiche non sotterranee. Nel 1968, con il Trattato di Tlatelolco, gli Stati dell'America Latina rinunciarono all'uso di armi nucleari. Il 5 maggio 1970, con la ratifica da parte di 47 Paesi, comprese tre potenze nucleari, entrò in vigore il trattato per la non proliferazione delle armi nucleari. I colloqui russo-americani sulla limitazione delle armi strategiche, denominati SALT I (Strategic Armament Limitation Talks), iniziarono ad Helsinki nel novembre del 1969 in pieno “disgelo” e si conclusero con un primo trattato firmato a Mosca il 26 maggio del 1972 da Nixon e Brežnev. Un nuovo importante accordo per la limitazione degli armamenti nucleari venne firmato a Vladivostok il 24 novembre del 1974 dal presidente americano Ford e da Brežnev. L'accordo del 1974 servì da base per il SALT II, sottoscritto a Vienna nel giugno del 1979 da Carter e Brežnev. Il trattato viennese fu l'ultimo della serie e non venne ratificato dal Senato USA a causa dell'invasione sovietica dell'Afghanistan. L'episodio innescò il deterioramento dei rapporti russo-americani, divenuti ancor più tesi dal gennaio 1981 con l'insediamento di R. Reagan alla Casa Bianca. La nuova amministrazione USA, per la violazione del non mai ratificato SALT II da parte sovietica con l'installazione in Europa dei missili a lunga gittataSS-20, decise un massiccio riarmo, chiedendo agli alleati NATO di installare sul loro territorio i cosiddetti “euromissili” (108 Pershing e 464 Cruise). Nel novembre 1981, in un clima di accresciuta diffidenza russo-americana, aggravata poi (dicembre) dalla crisi polacca, Reagan proponeva ai sovietici l'“opzione zero”: rinuncia degli USA all'installazione degli euromissili e smantellamento, da parte dell'URSS, degli SS-20 già operativi. La risposta del Cremlino fu negativa. Dopo una fase di stallo durata qualche anno, nella quale si verificò una nuova corsa al riarmo negli USA e in URSS, Reagan e Gorbačëv ripresero il dialogo con maggior convinzione e nel dicembre 1987, a Washington, arrivarono alla firma del Trattato INF sulla distruzione dei missili nucleari intermedi (euromissili). Il trattato fu ratificato da Reagan e Gorbačëv nel corso del vertice di Mosca, svoltosi nel giugno 1988. Intensificatosi, dopo l'avvento di G. H. W. Bush alla Casa Bianca, il dialogo USA-URSS, il 31 luglio 1991 fu firmato a Mosca, dai presidenti Bush e Gorbačëv, l'accordo START (Strategic Arms Reductions Talks), che imponeva a entrambe le superpotenze una riduzione del 30% delle testate nucleari dei missili balistici intercontinentali basati a terra. Nell'autunno dello stesso anno Bush e Gorbačëv annunciarono unilateralmente la volontà di andare oltre quanto stabilito dal Trattato START. Le rispettive proposte avevano molti punti di concordanza quali: l'eliminazione di tutte le munizioni nucleari e tutte le testate di missili a corto raggio; l'eliminazione delle armi nucleari imbarcate su navi e sottomarini; l'eliminazione di altre mille testate nucleari intercontinentali; la cessazione dell'allarme permanente di tutti i bombardieri atomici USA e URSS e di ca. 500 missili intercontinentali; la riduzione dell'esercito convenzionale. Successivamente, nel vertice di Taormina del 17 ottobre 1991, gli Stati membri della NATO convennero la riduzione dell'80% degli armamenti nucleari stanziati in Europa. Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica (dicembre 1991), le Repubbliche della CSI eredi delle forze offensive strategiche dell'ex URSS (Russia, Ucraina, Kazahstan e Belorussia), si sono pronunciate per la salvaguardia del Trattato START. Nel 1992 è stata raggiunta a Oslo un'intesa (Trattato CFE) tra Paesi NATO ed ex aderenti al Patto di Varsavia sulla drastica riduzione delle armi convenzionali in Europa e nel gennaio 1993 il presidente russo B. N. Elcin e quello americano uscente Bush hanno firmato a Mosca l'accordo denominato START-2, per un ulteriore massiccio taglio degli arsenali nucleari dei due Paesi. Nel 1995 l'Assemblea generale dell'ONU ha reso permanente il Trattato di non proliferazione atomica del 1970 e l'anno successivo gli Stati Uniti hanno messo al bando tutti gli esperimenti nucleari, anche sotterranei. Nel maggio 2002 il presidente statunitense G.W. Bush e quello russo V. Putin hanno firmato un nuovo accordo che prevede una drastica riduzione delle armi nucleari di entrambi i Paesi; nel 2010 i nuovi presidenti B. Obama e D. Medvedev firmavano l'accordo START 2 per la riduzione di un terzo degli armamenti nucleari in sette anni.

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