drammaturgìa

sf. [sec. XVII; dal greco tardo dramaturgía]. Tecnica della costruzione dell'opera drammatica e la teoria che la sottende. § Punto di partenza della drammaturgia è la Poetica di Aristotele, che ha suscitato innumerevoli tentativi di definire una teoria della commedia di compattezza pari a quella della tragedia, di trarre da quest'ultima una serie di regole da seguire o da rifiutare, di dare una retta interpretazione a parole divenute ambigue come catarsi, imitazione, ecc. Da Aristotele riprese il dibattito nel Rinascimento (dopo il Medioevo, che aveva avuto un importante teatro ma non formulazioni teoriche di pari rilievo) e umanisti come G. B. Giraldi Cinzio e L. Castelvetro ne ricavarono norme rigorose, quali la regola delle tre unità, sottolineando nel contempo la netta distinzione fra tragedia e commedia. La loro influenza fu fortissima in Italia e in Francia, trascurabile in Inghilterra e in Spagna. Il teatro elisabettiano, per esempio, che non teneva in conto le regole aristoteliche e che tutto tranquillamente mescolava, fu oggetto di critiche anche per questo motivo, oltre che per ragioni moralistiche. Le nuove formulazioni teoriche più importanti furono L'arte nuova di scrivere commedie (1609) di Lope de Vega e il Saggio sulla poesia drammatica (1668) di Dryden, mentre la posizione tradizionale, opportunamente temperata, fu esposta con particolare chiarezza da Corneille nel Discorso sulla tragedia (1660) e da Boileau nell'Arte poetica (1674). Nel sec. XVIII i testi teorici più autorevoli furono quelli di Diderot (Entretiens sur Le fils naturel, 1758; Discours sur la poésie dramatique, 1758), che annunciano la nascita del dramma borghese, e la Lettera a D'Alembert sul teatro (1758) di Rousseau, che aprì uno spiraglio su una diversa idea del teatro come festa collettiva. Nella Drammaturgia d'Amburgo (1767-69) di Lessing, il discorso si estese anche al palcoscenico. Nell'Ottocento le idee del dramma romantico furono esposte soprattutto da V. Hugo nella prefazione a Cromwell (1827), quelle del naturalismo nel Naturalismo a teatro (1881) di Zola e nella prefazione di Strindberg a La signorina Giulia (1888), quelle della rivoluzione wagneriana in Arte e rivoluzione (1849), L'opera d'arte del futuro (1850) e Opera e dramma (1851). Nel teatro novecentesco, infine, si va dalle tesi simbolistiche esposte da Maeterlinck, Claudel e ancora da Strindberg alla complessa teoria brechtiana culminante nel Breviario di estetica teatrale (1948) e all'affascinante utopia artaudiana di Il teatro e il suo doppio (1938), per citare soltanto le idee più influenti e più discusse.

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