Lessico

sf. [sec. XVI; dal francese finance, risalente al provenzale finar, finire di pagare].

1) L'insieme dei mezzi di cui i soggetti economici dispongono per raggiungere i propri fini (finanza privata) e, in particolare, i vari mezzi necessari per le pubbliche spese e il raggiungimento dei fini dello Stato e degli altri enti pubblici (finanza pubblica, distinta in statale, parastatale, locale). Nell'uso comune, per lo più al pl., bilancio di una persona o di una famiglia; risorse, possibilità economiche: le sue finanze sono sempre in deficit.

2) L'amministrazione dei beni finanziari di un ente pubblico o privato e l'attività rivolta a procurarseli: era versatissimo nella finanza. In particolare, settore dell'amministrazione statale che si occupa delle entrate e delle spese pubbliche: Ministero delle Finanze; guardia di finanza (o, nell'uso comune, solo finanza), corpo militare che ha il compito di tutelare gli interessi finanziari dello Stato; per estensione, ogni componente del corpo.

3) Disciplina teorica il cui oggetto sono le leggi che regolano la finanza pubblica (più specificamente, scienza delle finanze).

Finanza aziendale

Rientrano in questa categoria tutti i problemi e le questioni inerenti al finanziamento dell'attività di impresa e al suo equilibrio finanziario. L'attività d'impresa dà luogo per ciascun periodo a entrate e uscite di cassa (cash flow); è competenza della direzione finanziaria la corretta gestione di tali flussi. Di grande importanza, inoltre, è la scelta delle fonti attraverso cui finanziare gli investimenti, dove la forma dell'indebitamento va distinta dall'autofinanziamento e dall'apporto di nuovi mezzi da parte dei soci. Nel compiere tali scelte, sarà necessario valutare alcune condizioni esterne all'impresa e prevederne la futura evoluzione: per esempio, l'andamento dei mercati finanziari, le condizioni fiscali dettate dallo Stato, le regole commerciali relative all'acquisto di materie prime. La finanza aziendale risulta pertanto strettamente collegata ad altre discipline aventi come oggetto di studio l'azienda: la ragioneria, l'economia aziendale, il diritto commerciale.

Finanza pubblica

La finanza pubblica è al servizio degli interessi della collettività e sottoposta agli obblighi derivanti dalle norme di diritto pubblico. Le operazioni che procurano le entrate sono di varia natura; esse costituiscono l'attività finanziaria che opera prevalentemente mediante la coazione, come nel caso del prelievo fiscale. L'acquisizione di mezzi finanziari si ottiene anche con l'emissione di prestiti, la creazione di carta moneta e moneta bancaria. Le operazioni finanziarie possono essere anche dirette a scopi extrafiscali, per raggiungere i fini che competono allo Stato in campo sociale ed economico. Si dice finanza ordinaria, se riguarda le spese e le entrate ordinarie; straordinaria, se comprende l'emissione di carta moneta e di titoli di Stato, i tributi straordinari, l'alienazione di beni patrimoniali. Anche gli enti pubblici territoriali (regioni, province, comuni) sono chiamati ad assicurare il soddisfacimento di alcuni bisogni pubblici. Le spese che gli enti pubblici sopportano per adempiere le funzioni loro affidate sono distinte in obbligatorie e facoltative, mentre le entrate sono analoghe a quelle statali. È sempre più sentita la necessità di soddisfare i crescenti bisogni pubblici mediante finanze locali flessibili, responsabili e sufficientemente dinamiche. La finanza pubblica concerne dunque sia la finanza statale, sia la finanza degli enti pubblici territoriali, cioè la finanza locale.

Finanza locale: le norme

Per finanza locale si intende l'insieme delle norme concernenti le forme di reperimento dei mezzi che servono agli enti pubblici territoriali per il soddisfacimento dei bisogni pubblici di carattere locale. Tali enti, che esercitano la loro attività in una parte definita del territorio nazionale, secondo l'art. 114 della Costituzione sono le regioni, le province, le città metropolitane e i comuni. L'attività finanziaria locale non è limitata solamente al reperimento delle entrate, ma riguarda anche la spesa. Fra la finanza statale e quella locale possono sussistere diverse forme di relazione. Un rapporto indipendente permette agli enti locali di procurarsi le entrate applicando soltanto i propri tributi, ma per converso, accanto al vantaggio di poter meglio far fronte alle esigenze locali, ciò implicherebbe lo svantaggio di sperequazioni tra diversi enti per l'eventuale applicazione di tributi diversi e di differenti entità. Conseguenze opposte provocherebbe un sistema di totale dipendenza della finanza locale da quella statale. In Italia è vigente un sistema misto. Quindi le entrate tributarie degli enti locali provengono sia dall'assegnazione di quote d'imposte erariali sia dall'applicazione di tributi propri. Prima dell'attuale ordinamento regionale, norma fondamentale in materia di finanza locale era il R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, T.U. delle leggi della finanza locale, modificato in parte dal R.D. 4 marzo 1934, n. 383, T.U. della legge comunale e provinciale. Nel dopoguerra solo con la legge del 16 maggio 1970, n. 281, si è resa possibile l'attuazione e la regolamentazione dell'attività finanziaria e tributaria delle regioni nei limiti dell'art. 119 e dell'art. 120 della Costituzione. Il primo ha stabilito, in favore delle regioni, l'autonomia finanziaria, limitatamente al coordinamento dello Stato imposto dalle leggi della Repubblica, l'acquisizione di tributi propri e quote di tributi erariali in “relazione ai bisogni delle regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali”, l'assegnazione per la valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole di contributi speciali. Il secondo ha limitato il potere delle regioni, le quali non possono istituire dazi d'importazione o di transito fra esse. Quindi la regione entro limiti precisi può legiferare e istituire tributi propri nell'ambito dei suoi territori e i suoi poteri sono stabiliti dalla Costituzione. In definitiva le entrate tributarie delle regioni, per le funzioni normali della gestione, comprendono i tributi propri e assimilati e le partecipazioni a quote di tributi erariali. Per scopi determinati sussistono i contributi speciali. Alla fine degli anni Novanta la riforma tributaria, attuata con una pluralità di decreti legislativi, ha portato gli enti locali verso una maggiore autonomia impositiva. I principi fondamentali a cui questa riforma si è ispirata sono stati quelli del federalismo e del decentramento amministrativo, della semplificazione e razionalizzazione del sistema tributario, del perseguimento, in definitiva, di un sistema meno distorsivo e più neutrale. Il nuovo sistema non rappresenta certamente una forma di federalismo avanzato, in cui la giurisdizione locale è libera di fissare i propri tributi, la propria base imponibile, i propri soggetti passivi, le proprie aliquote e le proprie regole, ma ha semplificato e razionalizzato le forme di contribuzione tributaria, abolendone alcune. Il livello di federalismo, a cui si ispira la riforma del sistema italiano, mantiene ancora accentrata la definizione univoca dei soggetti passivi, della base imponibile e delle relative regole, nonché l'introduzione di una dichiarazione unica valida su tutto il territorio nazionale. È, inoltre, rimasta decisa a livello centrale anche l'adozione di un sistema unitario di gestione del versamento da parte del contribuente e di riattribuzione del gettito alle varie giurisdizioni interessate. Nel 2001 la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione (legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) ha ampliato il federalismo fiscale. L'articolo 119 della costituzione dispone che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome, stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, “secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. Per limitare le differenze tra territori con maggiore e minore capacità fiscale è previsto un apposito fondo perequativo.

Finanza locale: tributi propri e assimilati

I tributi propri delle regioni sono: la tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche, quelle sulle concessioni regionali, l'imposta regionale sulle concessioni statali e la tassa di circolazione per i veicoli e autoscafi immatricolati nella regione. Fra i tributi assimilati, quelli il cui gettito è assegnato per intero alla regione, ma che non possono essere istituiti da quest'ultima. Nel 1973, con il D.P.R. del 29 settembre n. 599, fu istituita l'ILOR (Imposta Locale sui Redditi), poi abolita nel 1997, il cui gettito era devoluto allo Stato, che lo distribuiva ai comuni, alle province, alle regioni, alle Camere di Commercio e alle aziende autonome di cura, di soggiorno o turismo. Per ciò che concerne la partecipazione delle regioni a quote di tributi erariali, vi è da dire che esse non erano assegnate direttamente in relazione alle somme riscosse nel rispettivo territorio, ma dopo essere state depositate in un fondo comune venivano ridistribuite fra le regioni a statuto ordinario, creando così uno strumento di politica economica ed eliminando il formarsi di sperequazioni fra le regioni. Le regioni a statuto speciale riscuotevano le proprie entrate tributarie in massima parte attraverso la quota di partecipazione ai tributi erariali che non venivano depositati, diversamente da ciò che accadeva per le regioni a statuto ordinario, nel fondo comune e per il residuo con l'istituzione di tributi propri. Nel 1997 in seguito alle riforme per il riordino del sistema tributario italiano venivano realizzate numerose innovazioni. In particolare, venivano introdotte l'IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) e un'addizionale sull'IRPEF (Imposta sul Reddito delle persone Fisiche). Contestualmente all'istituzione dell'IRAP erano state abolite alcune imposte o contributi, tra i quali quelli da versare al servizio sanitario nazionale (compresa la tassa per la salute), l'ILOR, l'imposta sul patrimonio netto delle imprese, la tassa di concessione governativa sulla partita IVA, l'ICIAP (Imposta Comunale per Imprenditori, Artigiani e professionisti), istituita con legge n. 144 del 24 aprile 1988, l'INVIM (Imposta sull'Incremento di Valore degli Immobili), attuata con D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 e scomparsa nel 2000 e le tasse comunali di concessione. Anche l'IRPEF subiva importanti modifiche in parte volte a compensare gli effetti derivanti dall'introduzione dell'IRAP, in parte a favorire le famiglie numerose. Con il decreto legislativo del 18 dicembre 1997 n. 466, veniva inoltre previsto un sistema di tassazione delle imprese più articolato, denominato Dual Income Tax (DIT), poi eliminato nel 2003, sotto forma di un'aliquota minore per la parte di profitti destinata agli aumenti di capitale proprio, riducendo per le imprese la convenienza fiscale del ricorso al finanziamento con debito. Veniva anche varata una riforma della tassazione delle attività finanziarie, mediante l'ampliamento della base impositiva e il livellamento delle aliquote, per un graduale rafforzamento dell'autonomia impositiva delle regioni: a regime le autorità regionali potranno stabilire entro determinati limiti una maggiorazione dell'aliquota base fissata dallo Stato e differenziarla tra categorie di contribuenti e tra settori di attività sia per quanto concerne l'IRAP sia per l'addizionale IRPEF. L'IRAP, in particolare, rappresenta una imposta, con una base imponibile molto ampia e una aliquota uniforme e bassa su tutte le attività produttive, in sostituzione di imposte o prelievi diversi, ciascuno con una base imponibile diversa. Nel 2000 per promuovere il federalismo fiscale, veniva prevista la graduale abolizione dei trasferimenti statali alle regioni e la compartecipazione di queste all'IVA, all'IRPEF e alle accise sulla benzina. Per quanto concerne la finanza pubblica dei comuni e delle province, essa era stata riorganizzata dalla legge 8 giugno 1990, n. 142. Tale legge ha riconosciuto ai comuni e alle province un'autonomia finanziaria fondata sulla certezza delle risorse proprie e di quelle trasferite. La legge assicura, altresì, agli enti locali potestà impositiva autonoma nel campo delle imposte, delle tasse e delle tariffe, con il conseguente adeguamento della legislazione tributaria vigente. La finanza dei comuni e delle province è pertanto costituita da: a) imposte proprie; b) addizionali e compartecipazioni a imposte erariali o regionali; c) tasse e diritti per servizi pubblici; d) trasferimenti erariali; e) trasferimenti regionali; f) altre entrate proprie, anche di natura patrimoniale; g) risorse per investimenti. I trasferimenti erariali assicurati dalla legge devono garantire i servizi locali indispensabili e sono ripartiti in base a criteri obiettivi che tengano conto della popolazione, del territorio e delle condizioni socio-economiche, nonché in base a una perequata distribuzione delle risorse che tenga conto degli squilibri di fiscalità locale. Le entrate fiscali proprie dei comuni e delle province servono a finanziare i servizi pubblici ritenuti necessari per lo sviluppo della comunità e integrano la contribuzione erariale per l'erogazione dei servizi pubblici indispensabili. La legge n. 142 del 1990 specifica, inoltre, che a ciascun ente locale spettano le tasse, i diritti, le tariffe e i corrispettivi sui servizi di propria competenza; di questi stabiliscono le stesse tariffe a carico degli utenti. Le norme della citata legge 142 del 1990 sono state successivamente trasfuse nel testo unico del 2000 (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267). Nel caso in cui lo Stato e le regioni prevedano per legge casi di gratuità nei servizi di competenza dei comuni e delle province ovvero fissino prezzi o tariffe inferiori al costo effettivo della prestazione, devono garantire agli enti locali minori le risorse finanziarie compensative. Altra partecipazione alla finanza locale di comuni e province è quella delle regioni per la realizzazione del piano regionale di sviluppo. Tra i principali tributi propri comunali vi sono: la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, l'imposta sulla pubblicità, la tassa occupazione spazi e aree pubbliche, l'imposta comunale sull'esercizio di imprese arti e professioni, l'imposta comunale sugli immobili (ICI). Si tratta di tributi propri perché il gettito è del comune, sono riscossi e accertati dal comune, ma quest'ultimo non ha la facoltà di istituirli o meno e di modificare i criteri per la determinazione della base imponibile.

Scienza delle finanze

Questa disciplina ha il compito d'indagare sui prevedibili effetti e sulle conseguenze dell'attività finanziaria nei diversi settori e nell'insieme del sistema economico. La concezione attuale della scienza delle finanze non si limita più, come in passato, allo studio delle entrate dello Stato e ai modi di ripartizione dell'onere fiscale. Essa è insieme scienza positiva e scienza normativa poiché le indagini e gli studi non si fermano all'esame di ciò che è, ma s'indirizzano verso ciò che l'azione finanziaria pubblica dovrebbe essere e portano quindi alla formulazione di principi di politica finanziaria. Ne deriva che nell'indagine finanziaria possono essere distinte tre parti: economica, politica, giuridica. La prima è oggetto di studio della finanza pura e riguarda i fenomeni finanziari e le loro leggi, la vita economica degli enti pubblici e le caratteristiche degli strumenti di prelevamento e di spesa; la seconda forma, oggetto d'indagine della politica finanziaria, ha lo scopo di modificare l'andamento naturale dei fenomeni economici mediante l'impiego dei diversi strumenti d'intervento finanziari e di misurarne l'adeguatezza rispetto alle finalità che l'ente si ripromette; la terza riguarda le norme giuridiche più adatte al conseguimento delle finalità e degli scopi propri della politica prescelta, nonché i principi per la loro applicazione. Secondo alcuni studiosi queste parti si integrano e si completano a vicenda, mentre secondo altri la finanza pura andrebbe tenuta distinta dalla politica finanziaria e dal diritto finanziario. Le entrate dello Stato sono state studiate in maniera organica e sistematica a partire dal sec. XVIII, quando si avvertì la tendenza delle spese pubbliche ad aumentare costantemente nel tempo. Nel sec. XIX fu iniziato lo studio vero e proprio delle entrate e delle spese pubbliche e furono enunciate varie teorie che spiegavano la natura del fenomeno finanziario basandosi soprattutto su concetti economici. W. Nassau e F. Bastiat considerarono il fenomeno finanziario come uno scambio per cui i tributi non sarebbero altro che un corrispettivo dei servizi pubblici ottenuti. Per J. B. Say le spese pubbliche erano da considerarsi improduttive, costituendo una distruzione di ricchezza (teoria del consumo). Numerosi economisti moderni considerano invece il fenomeno finanziario come un'attività produttiva (teoria della produttività e della riproduttività). In particolare, Wagner e Ditzel sostengono che le spese pubbliche sono produttive poiché trasformano beni materiali in servizi pubblici. Secondo la teoria politica del Griziotti l'attività finanziaria dello Stato ha un carattere politico in quanto opera una ripartizione delle spese pubbliche fra i soggetti con criteri politici. La teoria sociologica di Mosca e Paretoisce lo studio della scienza delle finanze in quello più vasto della sociologia, sostenendo che l'attività finanziaria è destinata pur sempre a realizzare le finalità delle classi dirigenti. Modernamente è sempre più diffusa la tendenza a concepire le entrate, oltre che come un mezzo per finanziare i necessari servizi pubblici, anche come uno strumento per operare una redistribuzione del potere d'acquisto e attuare una più ampia soddisfazione dei bisogni di sempre più vasti gruppi sociali.

Bibliografia

C. Arena, Teoria generale della finanza pubblica, Napoli, 1945; A. De Viti De Marco, Principi di economia finanziaria, Torino, 1953; L. Einaudi, Principi di scienza delle finanze, Torino, 1956; B. Griziotti, Primi elementi di scienza delle finanze, Milano, 1962; G. Parravicini, Introduzione alla finanza pubblica, vol. I e II, Firenze, 1965; idem, Scienza delle finanze, Milano, 1970; C. P. Kindleberger, Storia della finanza nell'Europa occidentale, Bari, 1987.

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