fotoelasticimetrìa

sf. [da foto-+elastico+-metria]. Metodo ottico sperimentale per la determinazione dello stato di deformazione nei corpi elastici. Si basa sulla proprietà di alcuni materiali trasparenti (per esempio alcuni tipi di vetro, bachelite, resine fenoliche artificiali, ecc.), omogenei, elastici e isotropi, di divenire temporaneamente anisotropi, quindi sede di birifrangenza meccanica, a seguito di deformazioni elastiche indotte da sollecitazioni esterne. Il verificarsi di questa anisotropia ottica permette di conoscere la distribuzione di tensioni e deformazioni all'interno di un modello, realizzato con tale materiale, che riproduca in scala ridotta le condizioni di vincolo e di carico di una struttura reale. Se si fa attraversare tale modello da un fascio di luce polarizzata esso proietta una figura particolare, formata da zone chiare e scure, dalla quale è possibile risalire al valore delle tensioni presenti nel modello e da queste, in base a principi di similitudine meccanica, a quelle della struttura in esame. Questo metodo si applica rigorosamente a elementi piani, limitati da facce parallele e soggetti a sforzi che agiscono nel loro piano di simmetria, quali, per esempio, le lastre piane sollecitate da sforzi tutti paralleli alle facce e, in genere, le strutture dei ponti; è tuttavia generalizzabile a strutture tridimensionali, mediante l'introduzione di tecniche particolari. In pratica, il fenomeno della birifrangenza meccanica si produce disponendo una lamina, L, di materiale trasparente, omogeneo, elastico e isotropo, tra due polarizzatori, P₁ e P₂, con i piani di vibrazione incrociati ad angolo retto. . Un raggio di luce monocromatica esce polarizzato dal primo polarizzatore, attraversa la lamina e si estingue nel secondo, detto analizzatore, oltre il quale non si avrà luce. Se a questo punto si sollecita la lamina determinandovi uno stato di tensione interna, il raggio incidente verrà polarizzato secondo le sue direzioni principali di tensione, ristabilendo così la luce oltre l'analizzatore; soltanto se tali direzioni principali sono parallele agli assi dei due polarizzatori, la luce non ricompare. Se si invia sulla lamina non più un solo raggio, ma un fascio di raggi paralleli, essa verrà illuminata per una parte più ampia sulla quale si localizzeranno alcune zone chiare e alcune zone scure: queste ultime sono le linee isocline, rappresentanti il luogo dei punti nei quali le direzioni principali di tensione (x, y) coincidono con le direzioni di vibrazione dei polarizzatori (x₁, x₂). Ruotando concordemente i due polarizzatori, mantenendoli sempre incrociati, tali linee varieranno, determinando una nuova famiglia di isocline, mentre resteranno fissi alcuni punti scuri dell'immagine precedente (punti singolari), nei quali risulta nulla la differenza tra le tensioni principali (δ) e quindi non si ha birifrangenza; continuando a ruotare i polarizzatori per l'intero arco di 90º, si può ottenere l'andamento completo delle isocline punto per punto. L'individuazione delle isocline permette poi, con semplici costruzioni grafiche, di determinare le linee isostatiche, quelle cioè che sono in ogni punto tangenti e normali alle direzioni principali; per stabilire il valore di tali tensioni si rende necessario, invece, ricorrere alle linee isocromatiche, che rappresentano il valore della loro differenza. Il nome di isocromatiche deriva dal fatto che tali linee presentano uguale colorazione e quindi, poiché il raggio polarizzato nel punto dove incontra la lamina cammina più lentamente nel senso della tensione più forte e più velocemente nel senso della tensione più debole, presentano anche un'uguale differenza tra le tensioni principali (δ=cost). Dalla differenza delle tensioni principali si può giungere a determinare il loro valore con vari metodi, per esempio mediante integrazione grafica o attraverso la risoluzione di un sistema di due equazioni in due incognite, una volta determinata la loro somma con un metodo complementare; oppure attraverso la misurazione, mediante estensimetri, della variazione di spessore, d, che la lamina subisce nella deformazione. Se invece di luce monocromatica si impiega luce bianca, l'effetto ottico è più evidente in quanto, insieme ai punti scuri, si determinano fasce di colori diversi, ognuno corrispondente a un certo valore della differenza tra tensioni principali: per conoscerne l'entità, basta effettuare la taratura dei colori. Più sofistificata è la fotoelasticimetria tridimensionale, che si basa su tecniche sperimentali più complesse quali, per esempio, il fixation method, tendente a fissare, mediante un trattamento termochimico, le deformazioni e l'anisotropia conseguente nell'elemento in esame, in modo che esse permangano anche al cessare della sollecitazione, consentendo di tagliare il modello in sezioni parallele, alle quali diviene così applicabile la fotoelasticimetria piana. La fotoelasticimetria è, infine, direttamente applicabile a oggetti reali, senza l'impiego di modelli, mediante la sovrapposizione di uno strato di materiale idoneo sulla superficie dell'elemento in esame.

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