Lessico

(ant. focile), sm. [sec. XIV; dal latino volg. *focīlis (petra), (pietra) focaia, poi acciarino, dal classico focus, fuoco].

1) Ant., acciarinoel senso 2.

2) Arma da fuoco, portatile, a canna lunga, costituita da canna, calcio (conformato per l'appoggio alla spalla), fusto, meccanismo di azione e scatto ed eventualmente dispositivi di alimentazione e mira (per il diritto, vedi alla voce arma).

3) Fucile arpionatore, arma per l'arpionamento del pesce in superficie, capace di una gittata di 30-40 m; consiste in un calcio tipo fucile, di una camera di scoppio per la carica, di un tubo o di una guida lungo la quale scorre l'arpione assicurato a una sagola; Fucile subacqueo, arma per la pesca subacquea che scaglia un arpione assicurato a una sagola; la propulsione dell'arpione è ottenuta mediante dispositivi a molla, a elastico, a gas compresso, a cartuccia.

4) Fucile fotografico di Marey, vedi cronofotografia.

Cenni storici: l'Ottocento

Il fucile propriamente detto nacque verso la fine del sec. XVII a seguito dell'unificazione delle dimensioni e dell'adozione dell'acciarino a pietra focaia, detto appunto “a focile”. Nell'uso militare sostituì rapidamente le armi precedenti che, secondo il peso e il calibro, erano dette archibugi, moschetti e caliver. Il primo fucilE d'ordinanza fu adottato dall'esercito francese nel 1717. Originariamente ad avancarica e a canna liscia, il fucile subì, parallelamente all'evoluzione della tecnologia delle armi da fuoco, numerose e successive modifiche. All'inizio del sec. XVIII venne corredato della baionetta, inizialmente del tipo a calza, quindi subì una progressiva diminuzione del calibro accompagnata dall'impiego di cariche più forti di polvere, onde consentire un tiro più teso. Fino al sec. XIX non si ebbero, però, progressi sostanziali, a parte alcune importanti eccezioni quali il fucile inglese Ferguson a retrocarica, i fucili americani Kentucky e i fucili da caccia tedeschi a canna rigata, corti e massicci, che venivano caricati spingendo in sede la palla a colpi di mazzuolo. All'inizio del sec. XIX si intensificarono gli studi per giungere all'eliminazione del “vento”, come veniva definita la perdita di gas dovuta alla differenza di calibro tra la palla e la canna. La necessità di un rapido caricamento anche con canne molto sporche impediva, infatti, l'impiego di palle di diametro analogo a quello della canna, specialmente per usi militari, dove erano inoltre molto importanti la robustezza e la semplicità dell'arma. Il problema venne definitivamente risolto con l'adozione di palle di forma particolare, capaci di espandersi dopo l'introduzione nella canna o comunque all'atto dello sparo. I sistemi di maggiorE successo furono due, basati rispettivamente sull'impiego di palle minié e del cuneo o stelo di culatta. La palla minié aveva forma cilindro-ogivale a base cava, in modo che le sottili pareti della cavità posteriore potessero espandersi con la pressione dei gas e forzare contro l'anima della canna, assicurando sia la tenuta di gas, sia l'intaglio nella rigatura. Con il secondo sistema, nato con la carabina francese Mod. 1846, lo stesso risultato era ottenuto forzando la palla contro una punta metallica prospiciente la culatta, al centro della camera di scoppio. A partire dal 1820 si era diffuso l'impiego della capsula a fulminato di mercurio, che aveva determinato la rapida sostituzione dell'acciarino a pietra con quello a percussione, con il risultato di una maggiore celerità di tiro e, per la prima volta nella storia, della possibilità di sparare nelle giornate di pioggia. I fucili militari a percussione raggiunsero il massimo della perfezione con la carabina svizzera Mod. 51, dotata anche di doppio scatto (stecker). Nel 1841 lo Stato Maggiore prussiano, ritenendo di prevalente importanza il volume di fuoco rispetto alla precisione e alla potenza di tiro, adottò il fucile Dreyse a retrocarica. Quest'arma infatti, geniale invenzione di un orologiaio-armaiolo di Dresda, era poco precisa e aveva un tiro utile limitato a 200 m ma consentiva una celerità di tiro notevolmente superiore. Dopo la vittoria prussiana di Sadowa, che confermò clamorosamente l'esattezza di queste teorie, tutte le grandi potenze cercarono di adottare fucili a retrocarica o, per ragioni di economia, di convertire a retrocarica le armi esistenti. Nel 1866 la Francia adottò lo Chassepothe, seppure meccanicamente inferiore, era balisticamente superiore al Dreyse, come fu dimostrato nella guerra franco-prussiana. Le conversioni a retrocarica quali i fucili italiani Carcano e Albini, l'austriaco Wanzel, l'inglese Snider e l'americano Springfield Trapdoor (il fucile delle guerre indiane), ebbero scarso successo e furono presto abbandonate. Il problema principale della retrocarica era comunque il sistema di chiusura della culatta che, dopo numerose e spesso fantasiose soluzioni, si affermò nei due sistemi a otturatore e a blocco oscillante. Nello stesso anno dell'adozione dello Chassepot in Francia la Svizzera, come sempre all'avanguardia nell'armamento militare, adottò il fucile Vetterli che non solo era a retrocarica a otturatore e cartuccia metallica (quelle del Dreyse e dello Chassepot erano di carta), ma era addirittura a ripetizione con serbatoio tubolare sotto la canna, analogamente alla carabina Winchester. Nel 1870 anche l'Italia, riconosciuta la scarsa efficienza del fucile ad ago Carcano, adottò il Vetterli, seppure in versione a colpo singolo poiché il modello originale a ripetizione era ritenuto troppo avveniristico e dispendioso. Successivamente il Vetterli italiano fu convertito a ripetizione con caricatore a pacchetto e prese il nome di Vetterli-Vitali.

Cenni storici: il Novecento

Il progresso definitivo fu raggiunto dal fucile Mauser che, grazie al perfetto e robustissimo otturatore cilindrico girevole-scorrevole, consentì presto l'adozione di cartucce a polvere senza fumo, di piccolo calibro (8 mm o meno) e di grande potenza, che portarono il tiro utile a oltre un chilometro. Quest'arma, che fu subito adottata dalla Prussia in sostituzione del Dreyse (e subito dopo dalla Turchia), ebbe rapidamente larga diffusione in tutto il mondo. Successivamente al Mauser si svilupparono altri sistemi quasi altrettanto validi, quali l'austriaco Steyr-Mannlicher, l'italiano Carcano Mod. 91, l'inglese Enfield, il Krag-Jorgensen, ecc. Fino alla seconda guerra mondiale non si ebbero in pratica progressi sostanziali, salvo qualche fucile semiautomatico a sottrazione di gas, come l'americano Garand e alcune armi tedesche. Successivamente, dietro l'influenza dei prototipi tedeschi FG 42 e Sturmgewehr MP 44, vennero progressivamente affermandosi i fucili d'assalto. Il concetto principale che guidò la progettazione in questo settore dello Sturmgewehr MP 44 fu quello di riunire in un'unica arma le caratteristiche del fucile e del moschetto automatico in modo da estendere la versatilità di impiego ed eliminare le più vistose limitazioni caratteristiche delle due classi di armi. L'MP 44 era, infatti, più corto e maneggevole del fucile (92 cm), consentiva una eccellente precisione nel tiro mirato a colpo singolo, impiegava una cartuccia abbastanza potente e permetteva il tiro a raffica. Per quest'arma fu realizzata la cartuccia 7,92 mm Kurz che, pur mantenendo la forma, le dimensioni del proiettile e il calibro della cartuccia da fucile, era più corta di ca. 2 cm: naturalmente la potenza risultava inferiore, ma era tuttavia ancora molto superiore a quella della cartuccia 9 mm Parabellum usata nei moschetti automatici. L'MP 44, realizzato quasi interamente in lamiera stampata, funzionava a sottrazione di gas come il fucile americano Garand, ma con presa di gas superiore anziché inferiore. Nella parte superiore della canna, a circa due terzi dalla culatta, era ricavato un forellino comunicante con un cilindro, all'interno del quale scorreva un pistoncino che, tramite un'asta d'armamento, comandava l'otturatore. All'atto dello sparo l'otturatore rimaneva chiuso come in un normale fucile a ripetizione ordinaria ma, non appena il proiettile oltrepassava la presa gas, la pressione provocava l'arretramento del pistone e dell'asta solidale che, dopo una corsa a vuoto, sbloccava l'otturatore; l'energia di rinculo provvedeva quindi al ciclo di estrazione del bossolo, riarmamento del percussore e cameratura della nuova cartuccia. Nonostante alcuni difetti di surriscaldamento, che non consentivano il tiro a raffica prolungato, l'arma aveva una struttura analoga a un fucile mitragliatore, ma con un peso ridotto a meno della metà. Inoltre il sistema di costruzione era estremamente semplice e basato quasi esclusivamente sullo stampaggio a freddo e sull'impiego di rivettature e saldature a punti, come per l'MG 42; ciò significava, oltre al basso costo e alla velocità di produzione, un'ottima funzionalità con ampie tolleranze e quindi la massima efficienza in ogni condizione operativa, dalle nevi del Nord alla sabbia del deserto. Terminato il conflitto, mentre gli Statunitensi attribuirono la realizzazione di queste armi alle precarie condizioni dell'industria bellica tedesca, i Sovietici ne compresero subito l'enorme valore tattico e la genialità del disegno, della progettazione e soprattutto la semplicità delle attrezzature necessarie per la realizzazione. Pochi anni dopo, eliminato il difetto di surriscaldamento dell'MP 44, l'Unione Sovietica realizzò l'AK 47, sostituendolo pochi anni più tardi con una versione migliorata, l'AKM. Compresa l'importanza di queste armi, molti altri Paesi ne intrapresero la realizzazione; i modelli più significativi di fucile d'assalto che si possono considerare ispirati all'MP 44 sono gli spagnoli CETME, i tedeschi Heckler & Koch, gli svizzeri SIG e il belga FAL. I primi due, che erano in pratica la stessa arma, utilizzavano il sistema di chiusura a rulli dell'MG 42, adottato anche dal SIG con alcune modifiche. Questo sistema, che si basa su un ritardo inerziale ottenuto mediante un otturatore a testa mobile, bloccato in chiusura da due rulli laterali che contrastano in apposite cavità della culatta, è meno sofisticato e complesso del sistema a sottrazione di gas. Il funzionamento è semplice: l'energia di rinculo provoca all'atto dello sparo l'arretramento della parte posteriore dell'otturatore, creando così uno spazio che consente ai rulli di uscire dagli alloggiamenti sagomati della culatta, sbloccando la testa e permettendo l'arretramento di tutto l'otturatore. Il tempo necessario a questi movimenti era sufficiente a consentire l'uscita del proiettile dalla canna, rendendo perfettamente sicura la chiusura anche con cartucce molto potenti. La chiusura a rulli, che risaliva a un brevetto del 1938 del polacco Edward Stecke, fu prescelta per il progetto di fucili d'assalto (Sturmgewehr) GERÄT 06H progettato dalla Mauser agli inizi del 1945. Dopo la guerra, i progetti di questo tipo di fucile furono studiati negli USA (Springfield) e in Francia (Mulhouse), ma non ebbero seguito. Nel 1950 alcuni tecnici provenienti dalla Mauser e riuniti nel CETME (Centro de Estudios Técnicos de Materials Especiales) spagnolo ripresero gli studi del GERÄT 06H e nel 1955 entrarono in produzione con un fucile d'assalto con chiusura a rulli, camerato per il calibro 7,62 NATO, che tre anni dopo venne adottato dall'esercito della Repubblica Federale di Germania come Sturmgewehr G/3. Successivamente il CETME cedette i brevetti alla tedesca Heckler & Koch che produsse quest'arma in varie versioni. Gli USA, sebbene fin dal 1940 avessero in corso studi per la realizzazione di un fucile polivalente, preferirono limitarsi ad alcune modifiche del fucile M 1 (Garand) che aveva dato ottimi risultati in tutti i teatri di guerra. Nel 1957 venne quindi adottato il fucile automatico M 14, di calibro 7,62 NATO (analogo al'italiano FAL BM-59) che differiva dal Garand per la possibilità del tiro a raffica. L'adozione contemporanea della mitragliatriceM 60, che utilizzava le stesse cartucce, fece apparire molto soddisfacente questa soluzione, soprattutto per i vantaggi connessi all'approvvigionamento di munizioni. L'esperienza derivata dalle operazioni belliche compiute nel Viet Nam evidenziò ben presto i limiti e gli inconvenienti dell'M 14, particolarmente gravi in un teatro operativo costituito prevalentemente da giungla e risaie e caratterizzato da un clima debilitante. Il peso dell'arma (oltre 5 kg) e quello delle munizioni (25 g l'una) insieme alla scarsa maneggevolezza erano difetti troppo gravi per essere compensati dalle ottime doti balistiche. Dopo numerose prove e sperimentazioni pratiche effettuate da reparti speciali nel Viet Nnam, fu prescelta un'arma progettata dall'Armalite e realizzata dalla Colt, l'AR 15, che fu adottata con la denominazione M 16. Quest'arma presentava caratteristiche rivoluzionarie sia per il calibro, sia per il disegno e la realizzazione. L'AR 15 (e il modello leggermente modificato AR 18) era per tutto il sec. XX l'arma più moderna della sua classe, sia per le soluzioni tecniche, sia per i materiali impiegati. A esclusione delle parti essenziali (canna, otturatore), tutte le parti metalliche erano in lega leggera, mentre il calcio e il rivestimento della canna erano di plastica. L'AR 15 funzionava con il sistema a sottrazione di gas ma, contrariamente a quasi tutte le armi di questo tipo, il movimento veniva trasmesso all'otturatore (più esattamente al portaotturatore) direttamente dai gas anziché tramite un collegamento meccanico (pistone e asta d'armamento), con notevole semplificazione meccanica e funzionale. All'atto dello sparo, quando il proiettile oltrepassava il forellino di presa gas (in prossimità del vivo di volata), il gas, passando attraverso una sottile canalizzazione, giungeva al portaotturatore che, libero da vincoli meccanici, arretra. Al suo interno erano ricavate due scanalature elicoidali, entro cui potevano scorrere due camme solidali all'otturatore, che era bloccato in chiusura da otto alette in testa, alloggiate in corrispondenti incavi della culatta. L'arretramento del portaotturatore provocava una piccola rotazione dell'otturatore, che si disimpegna così dalle fresature di culatta e arretravA a sua volta. Il sistema di otturazione, sebbene di ispirazione Mannlicher, rappresentava il massimo della semplicità meccanica. La cartuccia impiegata in quest'arma era la 223 Remington (calibro 5,66 mm) ad altissima velocità (ca. 1000 m/s), rivelatasi tremenda alle medie e corte distanze a causa dei fenomeni cavitazionali che si verificavano all'impatto contro tessuti viventi e provocavano estese lacerazioni ed emorragie interne.

Cenni storici: le tendenze tra fine Novecento e inizio Duemila

I risultati pratici della cartuccia remington e l'opportunità di uniformare il munizionamento nell'ambito delle forze NATO spingevano tutti i Paesi europei a orientarsi verso l'adozione del calibro 223 in sostituzione del 7,62. In previsione di questo evento, tutte le fabbriche europee costruivano prototipi di fucile d'assalto in questo calibro, cercando anche di estendere l'impiego della plastica e della lamiera stampata. Si affermava la tendenza di adottare delle “famiglie” o “sistemi d'armi” che, oltre ai modelli individuali (fucili d'assalto), comprendessero fucili mitragliatori e mitragliatrici leggere, tutti camerati per la stessa cartuccia e per quanto possibile costituiti dagli stessi elementi. In questo senso i più brillanti risultati erano raggiunti dal sistema americano Stoner 63 Cadillac Gage e soprattutto dall'Heckler & Koch, il cui fucile d'assalto HK 33 a caricatore prismatico poteva essere trasformato mediante la sostituzione di poche parti, in pistola mitragliatrice a caricatore semilunare e calciolo retrattile, in fucile mitragliatore con alimentazione a tamburo e in mitragliatrice leggera con alimentazione a nastro. I vantaggi di questi sistemi d'armi consistevano, oltre che nell'impiego di un unico tipo di munizionamento per tutte le armi individuali e di squadra, nella possibilità di riparare immediatamente le armi di squadra o di bordo mediante la sostituzione delle parti avariate con altre prelevate da un'arma individuale. Per quanto riguarda l'evoluzione del fucile come arma individuale, in ciascun Paese venivano condotte ricerche e sperimentazioni: negli USA, per esempio, nel quadro del programma SPIW (Special Purpose Individual Weapon), veniva creata un'arma a due canne sovrapposte, di cui quella inferiore di grosso calibro adatta al lancio di granate di 40 mm; la canna superiore, ad anima liscia e di calibro piccolissimo, lanciava dei piccoli aghi d'acciaio (fléchettes) a velocità talmente elevata da renderne l'effetto micidiale, naturalmente alle medie e corte distanze. La stabilità balistica di questi aghi, lunghi ca. 2,6 cm, era ottenuta con tre piccolissime alette di coda. Le prospettive di applicazione pratica di questo proiettile piccolissimo, in grado di infliggere ferite terribili, dovute più all'energia che alla massa irrisoria rimanevano, tuttavia non molto elevate.

Militaria: tipologie

Secondo il tipo, i fucili possono avere una canna, due canne (paralleli e sovrapposti) o tre o più (fucili combinati e drilling). La canna può essere ad anima liscia o rigata; i fucile a canna liscia, che impiegano munizione spezzata (pallini e pallettoni), sono principalmente destinati alla caccia alla selvaggina minuta e sono in genere automatici o a canne basculanti. I fucili a canna rigata, che impiegano munizione a palla, comprendono le armi militari, quelle da tiro e le armi da caccia per animali di media e grossa mole; a parte gli express, che sono a canne basculanti, i moderni fucili sono in genere a ripetizione, ordinaria o semiautomatica. I fucili a canne basculanti si dividono in paralleli (doppiette) e sovrapposti e si differenziano per il sistema di chiusura e il tipo di batteria. La chiusura più importante oggi usata su tutti i paralleli è la duplice Purdey, ideata nel 1867 da James Purdey, che è costituita da incastri ai ramponi con tasselli comandati dalla chiave. L'efficacia di questa chiusura, se perfettamente realizzata con assenza di giochi, è quasi assoluta e comunque non migliorabile con ulteriori chiusure. Spesso però, per diminuire le sollecitazioni meccaniche della bascula, che sopporta interamente lo sforzo di tenuta, la duplice Purdey viene integrata con una terza chiusura superiore a catenaccio unico, che ha lo scopo di contrastare il movimento in avanti delle canne ed è quindi efficace solo se realizzata con tolleranze inferiori al millesimo di millimetro. Le terze chiusure più importanti, spesso erroneamente definite “triplici chiusure”, sono la Greener (spina passante, comandata dalla chiave, che si incastra in un tassello prospiciente la culatta), o la Westley-Richards (bulbo a profilo torico, detto comunemente “testa di bambola”, che va a incastrarsi in una cavità ricavata davanti al perno della chiave), che è stata usata su quasi tutti gli express. Nei fucili a canne sovrapposte la duplice Purdey è poco usata poiché, richiedendo bascule di spessore normale, porta a una altezza eccessiva della culatta. La chiusura più idonea è in questo caso quella a orecchioni, integrata dalla tenuta laterale a spallatura. Le batterie più note per i fucili a canne basculanti sono l'Anson-Deely e la Holland & Holland, quest'ultima preferibile se perfettamente realizzata e aggiustata a mano. Nella versione originale questa batteria, smontabile a mano, è interamente placcata in oro o platino a scopo autolubrificante. I fucili drilling, costruiti in Austria e Cecoslovacchia, sono realizzati accoppiando una o due canne rigate con una o due canne lisce, con un minimo di tre canne. Sono armi di gran pregio, che richiedono una lavorazione estremamente accurata. I fucili automatici a canna liscia sono tutti basati su due principi di funzionamento: lungo rinculo e sottrazione di gas. Unica eccezione importante è l'automatico Benelli a funzionamento inerziale. Nei fucili a lungo rinculo, che derivano tutti dal Browning Mod. 1900, la canna e l'otturatore rinculano uniti fino a fine corsa, quindi la canna, sospinta dal mollone di recupero, torna in batteria espellendo il bossolo. Successivamente, sospinto da un'altra molla, l'otturatore torna in chiusura e carica una nuova cartuccia. Nei fucili a sottrazione di gas, come il Beretta 300, la canna è fissa e l'apertura dell'otturatore è comandata dal pistoncino della presa gas, situato a ca. 3/4 dal vivo di culatta, tramite un'asta d'armamento. Questo principio è direttamente derivato dai fucili semiautomatici militari e ha il vantaggio di dare un rinculo inferiore e di consentire più facilmente l'impiego di cartucce forti e deboli. Propria del sistema è una maggior sensibilità allo sporco, una minore capienza del serbatoio e una più difficile intercambiabilità della canna. I fucili a canna rigata per uso civile, destinati alla caccia e al tiro sportivo, sono in genere a ripetizione ordinaria. I fucili express infatti, che rappresentano l'arma ideale per la caccia ad animali pericolosi, sono ormai quasi completamente fuori mercato a causa del costo altissimo dovuto alla necessità di un'accurata lavorazione manuale; per un'arma a canne basculanti è, infatti, eccezionale una pressione di 2500-3000 atm per cm3, propria dei grossi calibri per pachidermi. I fucili automatici, in genere di derivazione militare, incontrano a loro volta un notevole ostacolo nella quasi totalità delle legislazioni venatorie, che praticamente ne vietano l'uso nella maggior parte delle cacce. I fucili a ripetizione ordinaria, più comunemente detti carabine, sono in genere a otturatore cilindrico girevole-scorrevole con appoggio ad alette, di stretta derivazione Mauser. Tra le armi che si discostano da questo schema generale le più importanti sono le carabine Mannlicher-Schoenauer, con serbatoio rotante, e le carabine a leva, che comprendono modelli famosi quali Winchester, Marlin e Sako.

Militaria: il mitragliatore

I fucili mitragliatori sono nati tra il 1910 e il 1916 per rispondere all'esigenza di un'arma automatica leggera, in grado di utilizzare le stesse cartucce dei fucili d'ordinanza e atta a essere usata da uno o due uomini . L'impiego come arma di squadra richiedeva, infatti, una buona maneggevolezza, per cui fu mantenuta in genere la forma del fucile, con l'aggiunta di un'impugnatura a pistola e di un bipede pieghevole per facilitare il controllo dell'arma durante il tiro a raffica. La prima arma di questa classe che ottenne un rilevante successo fu il fucile mitragliatore Lewis, progettato dal colonnello Isaac Lewis dell'artiglieria costiera americana utilizzando i brevetti McClean-Lissak. Al suo apparire l'arma fu subito adottata dalla marina statunitense, in calibro 30-60, e dall'esercito inglese, in calibro 303. Il Lewis, dal curioso aspetto simile a un tubo lanciarazzi, pesava 12 kg, funzionava a sottrazione di gas con pistone, asta di armamento inferiore e otturatore a testa rotante tipo Mannlicher ed era munito di un caricatore a disco orizzontale, disposto superiormente e capace di 47 colpi. Quest'arma era caratterizzata da un particolare sistema di raffreddamento della canna costituito da una specie di radiatore coassiale di alluminio che sfruttava l'uscita dei gas dal vivo di volata per ottenere una aspirazione d'aria dalla parte opposta del manicotto di rivestimento. Il Lewis fu largamente impiegato dagli Inglesi sia in Europa sia in Medio ed Estremo Oriente, dove fu diligentemente copiato dai Giapponesi. Durante la guerra di Spagna costituì il principale armamento delle brigate internazionali. Nonostante le ottime doti di robustezza e funzionalità, quest'arma aveva l'inconveniente di un peso eccessivo e di una difficile alimentazione, dovuta alla necessità di sostituire o riempire il complicato caricatore a disco, inconveniente comune ad altri mitragliatori, quali il russo Degtyarev. Durante la prima guerra mondiale, lo statunitense John Moses Browning progettò un'arma, il BAR (Browning Automatic Rifle), che si rivelò in assoluto il miglior fucile mitragliatore. Per le sue ottime doti, il BAR ebbe un così lungo successo che, anche senza rilevanti modifiche, è stato estesamente impiegato su tutti i fronti durante la seconda guerra mondiale e tutti i successivi conflitti fino alla guerra del Viet Nam ed è stato in dotazione a quasi tutti i Paesi della NATO. Nel secondo conflitto mondiale i fucili mitragliatori più famosi sono stati l'inglese BREN, il russo Degtyarev, il giapponese Nambu e l'italiano Breda, rimasto tristemente noto per i continui inceppamenti dovuti all'eccessiva precisione e accuratezza di costruzione e al sofisticato sistema di chiusura a corto rinculo che la rendevano del tutto priva di quelle doti di rusticità e semplicità indispensabili in un'arma da guerra. La novità più importante apparsa durante la seconda guerra mondiale è stato il fucile mitragliatore tedesco Fallschirmjäger Gewehr FG/42, che era stato progettato per i paracadutisti e impiegato per la prima volta nel raid su Creta. Quest'arma avveniristica, che segna il punto di transizione tra i classici fucili mitragliatori e i modernissimi “sistemi d'armi” basati sui fucili d'assalto, era costruita quasi interamente in lamiera stampata, era munita di bipede, spengifiamma e baionetta e aveva l'inconsueta possibilità di sparare a otturatore aperto nel tiro a raffica e a otturatore chiuso nel tiro semiautomatico, consentendo così un ottimo raffreddamento senza pregiudicare la precisione del tiro mirato. Grazie alla semplicità costruttiva e ai materiali impiegati, il peso era inferiore ai 5 kg a caricatore pieno, il che, considerata anche l'elevata potenza della cartuccia standard tedesca calibro 7,92, ne faceva un'arma veramente polivalente. L'avvento delle cartucce intermedie e dei piccoli calibri nell'armamento della fanteria hanno determinato il progressivo abbandono dei fucili mitragliatori classici.

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