Lessico

(ant. giuridizióne), sf. [sec. XIII; dal latino iurisdictío-ōnis].

1) Potestà conferita dalla legge di giudicare e di fare eseguire i giudizi emessi: giurisdizione civile.

2) L'ambito nel quale tale potestà si esercita; sfera di competenza di un magistrato, di un organo giudicante.

3) Nelle loc.: tenere qualcuno o qualche cosa sotto la propria o altrui giurisdizione, sottomettere al proprio o altrui dominio, anche fig.; vivere sotto la giurisdizione di qualcuno, essergli sottomesso, dipendere da lui.

Cenni storici: l'antica Roma

L'attività del re, dei magistrati repubblicani, del princeps o dei suoi funzionari, diretta tanto alla soluzione di controversie quanto alla cognizione e repressione di fatti criminosi; in campo giudiziario, l'attività del magistrato volta a precisare i termini della controversia, a determinare il principio di diritto (ius dicere) da applicare per la soluzione del caso, dopo gli accertamenti di fatto. Questa seconda definizione ebbe però una configurazione precisa solo alla fine del sec. I dell'Impero, quando la cognitio extra ordinem rientrò nella giurisdizione e questa si estese anche alle misure amministrative. Nel diritto postclassico la giurisdizione abbracciò, oltre al contenzioso, anche la sfera degli atti volontari e fu esercitata in concreto dal magistrato e dallo iudex scelto dalle parti. Questo iudex era una persona singola o un collegio e a questo proposito si ebbero i decemviri, i centumviri e i tresviri capitales seu nocturni, mentre nelle colonie e nei municipi la giurisdizione era compito dei praefecti iure dicendo e dei magistrati locali (duoviri, quattuorviri). Durante l'Impero prevalse la tendenza a eliminare lo iudex e la cognitio extra ordinem entrò nella prassi ordinaria fino alla scomparsa di ogni distinzione fra magistrato e iudex. È questo il principio che guida il princeps a Roma e il praeses nelle province. La giurisdizione fu poi partecipata ai vari praefecti della città finché Giustiniano stabilì una gerarchia, che aveva al suo vertice l'imperatore e scendeva al praefectus pretorii, ai vicari delle singole diocesi, ai rectores delle province e ai duoviri di ogni comune.

Cenni storici: dal Medioevo all'età moderna

Nel Medioevo la giurisdizione si configurò diversamente secondo i vari periodi. Nello Stato longobardo, suprema istanza era il re; venivano poi i duchi, gli sculdasci e i centenari; nello Stato franco godevano di giurisdizione straordinaria i missi dominici; in epoca feudale la giurisdizione si frazionò in un mosaico composito che estingueva il potere centrale: essa si accompagnava al possesso del feudo e perciò tante erano le giurisdizioni quanti erano i feudatari. Nominalmente al vertice della potestà giurisdizionale stava l'imperatore, che la esercitava direttamente o tramite i suoi vicari, ma in pratica entro i confini del feudo tutta la giurisdizione era nelle mani del feudatario. Con l'affermarsi delle autonomie comunali la giurisdizione divenne nei singoli comuni un elemento fondamentale della loro indipendenza e fu rivendicata con strenua intransigenza anche nei confronti della Chiesa, che durante il Medioevo aveva collezionato una larga messe di privilegi nel campo giurisdizionale. Con il costituirsi dei vari Stati in forme assolutistiche, dovettero capitolare anche le battagliere giurisdizioni comunali e sorsero nuovi istituti; a crescere furono soprattutto alcuni privilegi delle caste dominanti; l'arbitrio del principe divenne fonte d'interventi illegali e di arbitrarie sospensioni dei giudizi. Li estirpò in gran parte la Rivoluzione francese.

Cenni storici: l'età contemporanea

La giurisdizione è di competenza dello Stato nello svolgimento della sua sovranità ed è demandata alla magistratura, che la attua “rendendo giustizia, intervenendo cioè nelle controversie tra distinti soggetti circa il modo d'intendere i doveri e i diritti sorgenti tra loro in dipendenza di rapporti, di cui siano parti”. La Costituzione (titolo IV) afferma che la giustizia è amministrata in nome del popolo da magistrati ordinari istituiti e regolati a norma degli articoli 101-102 della stessa. È riservato alla legge il compito di regolare i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia (articolo 102, ultimo comma). Una forma di partecipazione diretta si realizza nelle Corti di Assise, che sono costituite prevalentemente da giudici popolari, cioè da privati cittadini che non fanno parte della magistratura ordinaria. Inoltre, ciascun soggetto deve poter essere tutelato da possibili abusi e a questo scopo esistono precise garanzie: “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”; “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, i non abbienti hanno diritto a gratuito patrocinio; “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” (articolo 25). Disposizioni particolari sono stabilite dalla Costituzione per garantire autonomia e indipendenza alla magistratura. Per quanto concerne le “forme di giurisdizione” e i “conflitti” che possono sorgere fra le varie giurisdizioni, è da ricordare anzitutto che, prima dell'avvento dell'attuale ordinamento costituzionale, accanto ai giudici ordinari esistevano dei giudici speciali per particolari materie o controversie. L'articolo 102 della Costituzione stabilisce che “non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie...”, come il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, i tribunali militari e i tribunali amministrativi regionali. La giurisdizione può essere ordinaria, amministrativa, costituzionale. La giurisdizione ordinaria (magistratura) può essere civile, in ordine ai conflitti d'interessi fra privati e fra privati e pubblica amministrazione quando abbiano per oggetto dei diritti, e penale, per i reati e l'inosservanza della legge penale. La giurisdizione amministrativa è costituita dagli organi preposti dall'ordinamento giuridico alla risoluzione delle controversie fra il privato e la pubblica amministrazione in merito a un interesse legittimo e “in particolari materie indicate dalla legge anche dei diritti soggettivi”. Particolare rilievo assume poi la giurisdizione costituzionale, riservata alla Corte Costituzionale in ordine alle controversie sulla legittimità costituzionale delle leggi e dei decreti aventi forza di legge, dello Stato e delle regioni, sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le regioni e delle regioni fra loro; e sui giudizi di accusa contro il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio dei Ministri e i ministri. Data la pluralità delle giurisdizioni, e in particolare fra il giudice ordinario da una parte e il giudice amministrativo dall'altra, possono sorgere “conflitti di giurisdizione” ogni qual volta entrambi ritengano che la controversia in esame rientri nella loro giurisdizione (conflitto positivo) o la escludano dalla propria giurisdizione (conflitto negativo). Ciascuna parte può chiedere alla Corte di Cassazione di risolvere le questioni di giurisdizione con un “regolamento di giurisdizione”. La pubblica amministrazione, che non sia parte in causa, può, a sua volta, chiedere, in ogni stato e grado del processo, che sia dichiarato dalla Corte di Cassazione il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, a causa dei poteri attribuiti dalla legge all'amministrazione stessa. Questa disciplina riguarda i conflitti non ancora determinatisi. Quando il conflitto è avvenuto, è possibile impugnare, con ricorso per Cassazione, sentenze pronunciate, in grado di appello o in unico grado, dal giudice ordinario. In ogni tempo, con ricorso per Cassazione, possono essere denunciati i conflitti positivi e negativi di giurisdizione e i conflitti negativi fra la pubblica amministrazione e il giudice ordinario.

Diritto canonico

Per giurisdizione si intende il potere pubblico o di governo mediante il quale la Chiesa dirige l'attività dei suoi membri al raggiungimento del suo fine sociale. La giurisdizione si esplica attraverso il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Essa compete alla Chiesa in quanto società necessaria e perfetta. Di conseguenza ogni atto o provvedimento emanato dall'autorità ecclesiastica induce all'obbedienza e ha perciò carattere imperativo e obbligatorio. In concreto questo potere risiede in organi o persone, che lo ricevono ipso iure quando la giurisdizione è congiunta all'ufficio di cui sono investiti; oppure per concessione di altra persona investita di tale potere; nel primo caso si ha la giurisdizione ordinaria, nel secondo quella delegata. La giurisdizione ordinaria è propria nel sommo pontefice e nei vescovi residenziali, perché la esercitano in nome proprio; vicaria, perché esercitata in nome dei suoi detentori autentici. La giurisdizione inoltre si divide in: volontaria se riguarda gli atti di natura amministrativa; contenziosa se esercitata a modo di giudizio fra due parti in contesa. La potestà di giurisdizione ordinaria è riservata ai soli chierici e in concreto è esercitata: dal pontefice, dal Concilio Ecumenico, dalle Congregazioni, dai tribunali e dagli uffici della Curia romana, dai concili plenari o provinciali o capitolari, dai metropoliti, dall'officiale e dai giudici dei tribunali regionali, dall'officiale e dai giudici sinodali. La giurisdizione si fonda sul rapporto di dipendenza tra superiore e suddito e quindi può esercitarsi direttamente solo sui sudditi. La sudditanza è determinata dal domicilio, dal quasi-domicilio e dalla dimora. Contro le decisioni della potestà giudiziaria è possibile l'appello, a eccezione delle sentenze erogate dal pontefice, per cui ogni persistenza nell'opposizione può dar luogo al delitto di ribellione o di scisma. In caso di errore comune o nel dubbio positivo la giurisdizione mancante deve considerarsi supplita tanto per il foro esterno che per quello interno. Per alcuni casi ben definiti e solo per una causa grave e proporzionata è lecito supplire la giurisdizione mancante con una giurisdizione presunta (si presume cioè che gli atti compiuti troveranno ratifica presso chi ne ha l'autorità).

Diritto militare

La giurisdizione sta a indicare l'ampiezza della materia penale in cui è chiamato a giudicare il giudice militare. L'articolo 103 della Costituzione stabilisce che i giudici militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge, e in tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate. Quindi, per il tempo di pace la Costituzione tende a restringere i casi in cui il giudizio viene affidato al giudice militare: quest'ultimo è, infatti, un giudice speciale, e la Costituzione mira a evitare il più possibile che il cittadino sia sottratto al giudice ordinario (cioè alla magistratura).

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