immunoterapìa

sf. [sec. XX; immuno+terapia]. Terapia antitossica e antinfettiva condotta mediante somministrazione di sieri immunizzanti. Si distinguono un'immunoterapia desensibilizzante e un'immunoterapia stimolante. La prima, detta anche immunoterapia specifica (ITS, il cosiddetto vaccino), è utilizzata nelle manifestazioni allergiche quali la rinite, l'asma bronchiale e altre allergopatie respiratorie. Si basa sulla somministrazione per via sottocutanea di dosi progressivamente crescenti dell'antigene o degli antigeni responsabili della sintomatologia, in particolare di pollini di Graminacee, di Composite, ecc. Vengono usati spesso anche estratti di polveri, peli animali, miceti, ecc. La terapia si basa sul principio che la somministrazione dell'antigene stimola la produzione di anticorpi della sottoclasse IgG, i quali sono efficaci nel neutralizzare l'antigene, mentre il soggetto allergico ha molti anticorpi della sottoclasse IgE, che scatenano la reazione allergica. Quest'ultima sottoclasse viene tuttavia ridimensionata dall'azione dell'immunoterapia specifica. L'immunoterapia stimolante è utilizzata in via ancora sperimentale come terapia di seconda scelta di alcune neoplasie, qualora le altre terapie più convenzionali (chirurgia, chemioterapia) non siano attuabili o abbiano già fallito. L'immunoterapia dei tumori si basa sul principio che i soggetti con tumore (specie se avanzato) hanno un deficit immunitario, il quale è ulteriormente aggravato da una prolungata chemioterapia. Il tipo di immunoterapia più sperimentato è la somministrazione di sostanze immunostimolanti prodotte dallo stesso sistema immunitario e fabbricate su larga scala, quali l'interferone e l'interleuchina 2. Questi fattori (chiamati anche linfochine), stimolano la capacità delle cellule immunocompetenti (globuli bianchi) di aggredire e uccidere le cellule tumorali. L'immunoterapia stimolante è un aiuto anche per i malati di A.I.D.S., come confermato da numerose ricerche. Una variante di questa terapia è l'immunoterapia adottiva: si prelevano i globuli bianchi del paziente e si stimolano con l'interleuchina 2. La stimolazione avviene in vitro, in laboratori appropriati, per 3 giorni. I globuli bianchi così stimolati sono chiamati cellule LAK (cellule killer attivate da linfochina); essi vengono reintrodotti nel paziente e si suppone che siano in grado di uccidere le cellule tumorali. La disponibilità di grandi quantità di interleuchina-2 ricombinante ha reso possibile la tecnica delle cellule LAK più interleuchina-2, che ha fornito nel melanoma e nel carcinoma renale risultati solo parziali, ma incoraggianti, purtroppo non privi di gravi effetti collaterali. Per ridurre la tossicità della terapia la ricerca si è orientata verso modifiche della metodica che mirano a isolare e a espandere la popolazione di linfociti che hanno infiltrato il tumore in vivo (definiti linfociti infiltranti il tumore o TIL). La loro infusione nel malato permette infatti di usare livelli più bassi di interleuchine-2 con uguale o maggiore efficacia antitumorale. Un altro tipo di immunoterapia antineoplastica è l'infusione nel paziente di anticorpi monoclonali diretti contro cellule tumorali. Agli anticorpi può essere legata una sostanza tossica, un radioisotopo o una tossina, che uccide le cellule tumorali quando l'anticorpo le raggiunge. In alcuni studi con anticorpi monoclonali murini diretti contro vari antigeni associati a melanoma maligno e linfomi sono state osservate risposte significative. Un nuovo approccio è, inoltre, costituito dallo sviluppo di anticorpi bisfecifici, comprendenti un anticorpo che reagisce contro la cellula tumorale legato a un secondo anticorpo, che reagisce con una cellula effettrice citotossica, così da rendere quest'ultima più specifica per il tumore. Infine un altro tipo di immunoterapia è detta attiva e consiste nel “vaccinare” il paziente con un estratto delle sue cellule tumorali, al fine di stimolare una risposta immunitaria in grado di reagire contro il tumore. I vaccini con antigeni tumorali costituiscono, infatti, uno degli approcci più promettenti dell'immunoterapia dei tumori. Uno dei vantaggi derivanti dall'uso di antigeni già caratterizzati è che l'efficacia della tecnica di immunizzazione può essere prontamente valutata. Un numero crescente di antigeni tumorali è stato inoltre identificato come target per lo sviluppo di cellule T specifiche in pazienti affetti da neoplasia. L'immunoterapia aspecifica, basata sull'attività antitumorale e antivirale degli interferoni derivati da globuli bianchi, da fibroblasti o da batteri ricombinati, può esaltare o ridurre le funzioni immunitarie umorali e cellulari e influenzare anche l'attività di macrofagi. Le sperimentazioni cliniche eseguite sull'uomo hanno evidenziato come gli interferoni abbiano un'attività antitumorale nella leucemia a cellule capellute, nella leucemia mieloide cronica e nel sarcoma di Kaposi associato all'AIDS. Mentre l'immunoterapia desensibilizzante è ormai una pratica ben avviata che dà ottimi risultati, l'immunoterapia antineoplastica è da considerarsi ancora una terapia in via di sperimentazione e non priva di effetti collaterali. L'immunoterapia attiva, cioè la stimolazione del sistema immunitario a produrre anticorpi specifici contro un agente patogeno è alla base di nuovi approcci sperimentali sia per la vaccinazione antitumorale, sia per alcune gravi malattie virali, quali l'AIDS, l'herpes e l'epatite C. Questo approccio prevede l'utilizzo di vettori virali o di DNA nudo, recanti il gene codificante per l'antigene di interesse, in grado di stimolare la reattività del sistema immunitario nei confronti del tumore o delle particelle virali. Questo genere di immunoterapia è stata applicata, in via sperimentale, contro la sclerosi multipla, e ha dato risultati incoraggianti.

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