ipersensibilità

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sf. [sec. XX; da ipersensibile].

1) Lo stesso che iperestesia generalizzata; reazione eccessiva dell'organismo a stimoli interni o esterni, normalmente non avvertiti o innocui (per esempio nelle reazioni allergiche).

2) In particolare, reazione inconsueta e imprevista dell'organismo a determinati farmaci che ha origine da fenomeni di natura allergica. L'ipersensibilità farmacologica non deve essere pertanto confusa con l'ipereattività farmacologica, né con l'idiosincrasia. L'ipersensibilità può interessare molteplici organi e apparati e rappresenta in campo clinico uno dei più importanti e difficili problemi della tossicologia di origine medicamentosa. § Ipersensibilità immunitaria o immunologica, stato alterato dell'organismo che reagisce con una risposta immunitaria esagerata a un agente estraneo (antigene), provocando una condizione patologica. Le ipersensibilità possono essere immediate o ritardate. L'ipersensibilità immediata si verifica dopo alcuni minuti dal contatto con l'antigene sensibilizzante. È mediata da anticorpi della sottoclasse IgE e da sostanze rilasciate dai mastociti (tra le quali l'istamina) che causano aumento della permeabilità vascolare, edema e costrizione della muscolatura liscia. La forma più grave è lo shock anafilattico. L'ipersensibilità ritardata si verifica dopo 1-3 giorni dal contatto con l'antigene sensibilizzante, è mediata da linfociti T specifici per quell'antigene. Il rigetto di un trapianto, le malattie autoimmuni e la dermatite da contatto sono fenomeni patologici dell'ipersensibilità ritardata.

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