kantismo

sm. [dal nome del filosofo I. Kant]. Il pensiero di Kant e l'insieme di quegli indirizzi o scuole che a tale pensiero riportano la loro ispirazione fondamentale. È sinonimo di criticismo. § Kant non ha avuto discepoli diretti, ma il suo pensiero mobilitò schiere di interpreti e di continuatori e creò un vero e proprio “clima” culturale che andò anche al di là della semplice prosecuzione sul piano strettamente tecnico filosofico. Il primo kantismo, i cui maggiori rappresentanti furono K. L. Reinhold, G. E. Schulze (l'autore dell'Enesidemo), S. Maimon e J. S. Beck, si sforzò di risolvere alcuni problemi apparentemente insoluti nell'opera del maestro: primo fra tutti quello del concetto di cosa-in-sé. A Kant si riferirono, a torto o a ragione, in modi diversi ma sempre esplicitamente, i grandi filosofi idealisti: ma l'elaborazione da loro data al criticismo kantiano giunse gradualmente, con Hegel, a un insieme di dottrine che del kantismo rappresentano l'esatto rovesciamento. Del resto lo stesso Kant, venendo a conoscenza dello sviluppo che al suo pensiero aveva dato Fichte, lo aveva esplicitamente sconfessato: né va dimenticato che nella II edizione della Critica della ragion pura egli stesso aveva confutato un'eventuale interpretazione idealistica della sua opera. A Kant perciò, contro la “deviazione” idealistica, si richiamano più legittimamente quei pensatori che vanno appunto sotto il nome di “neokantiani” e che operarono in Germania nella seconda metà del secolo scorso: A. Riehl, O. Liebmann, J. Volkelt, la scuola logistica di Marburgo (A. Gorland, W. Kintel, D. Gawronsky, A. Buchenau), la scuola del Baden (H. Rickert, H. Munsterberg, W. Windelband) e da ultimo Ch. Renouvier, R. Adamson ed E. Cassirer. Anch'essi tuttavia, pur avendo fatto del “ritorno a Kant” il motto della loro speculazione, non sempre furono interpreti fedeli e ortodossi. Ancora oggi, a Kant si ricollegano in vario modo tutte quelle filosofie interessate a mostrare i limiti effettivi dell'uomo e che tendono a indagare e analizzare la possibilità trascendentale della conoscenza e dell'esperienza, escludendo al contempo ogni assolutizzazione e ogni dogmatismo metafisico.

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