Lessico

sf. [sec. XIII; latino lex legis].

1) Norma o complesso di norme che regolano il comportamento individuale o sociale dell'uomo, sia connaturata alla sua nozione intrinseca di giustizia (legge naturale), sia formulata espressamente dagli organi competenti nelle varie situazioni storico-politiche (legge positiva o scritta); legge morale, criterio di giudizio insito nella coscienza dell'uomo, che gli permette di distinguere il bene dal male; legge divina, complesso di norme di vita rivelate da Dio; legge umana, l'insieme delle leggi formulate dall'uomo. In particolare, principio accettato per consuetudine sociale; norma di condotta relativa a particolari situazioni: le leggi del vivere civile; la legge della reciproca tolleranza; la legge della malavita; la legge della giungla, quella per cui il più forte s'impone con la violenza al più debole; uomo senza legge, che si comporta al di fuori di ogni norma di convivenza civile.

2) Ogni prescrizione che conferisce a uno o più fatti carattere giuridico; per estensione, il complesso delle norme giuridiche che regolano la vita dello Stato: stabilire, prescrivere per legge; in questo caso la legge è a mio favore; la legge è uguale per tutti. In varie loc. estensive: a norma, a termini di legge, secondo quello che la legge prescrive; di legge, prescritto dalla legge: contratto steso nelle forme di legge; lo spirito della legge, il suo significato più vero, secondo le intenzioni del legislatore; essere legge, fare legge, avere validità, forza di legge; ricorrere alla legge, all'autorità giudiziaria; in nome della legge, formula con cui i rappresentanti del potere esecutivo o giudiziario intimano a qualcuno di ottemperare a una disposizione giuridica; il braccio della legge, il suo potere e il complesso degli organi che lo esercitano; essere nella legge, fuori della legge, nella legalità o fuori di essa; fig.: dettar legge, imporre la propria volontà. In particolare, norma emanata dall'autorità cui compete, secondo la Costituzione dello Stato, il potere di statuire precetti giuridici vincolanti per la totalità dei cittadini: presentare un disegno di legge; discutere, promulgare una legge; legge civile, penale; gli articoli di una legge; legge ponte, quella che viene emessa provvisoriamente in attesa di altra legge più organica; legge quadro, che fissa i principi generali di un dato istituto. In tal senso il dim. leggina indica in particolare una legge di poca importanza, approvata di solito in sede di commissione parlamentare per apportare modifiche o interpretazioni a una legge precedente.

3) Per estensione, la scienza del diritto, la giurisprudenza: studiare legge; la facoltà di legge; dottore in legge; uomo di legge, esperto di diritto.

4) Norma, regola di una disciplina, di un'arte, di una tecnica e simili: le leggi della prospettiva, della pittura; le leggi della sintassi. Per estensione, norma costante che regola un fatto o un fenomeno naturale: la legge di gravità. Quindi, nel campo delle scienze sperimentali, è l'espressione di una relazione di causa ed effetto, messa in luce da uno o più fenomeni fisici che essa interpreta coerentemente come prova della relazione stessa: per esempio, la seconda legge della dinamica, che stabilisce la proporzionalità tra la forza applicata a un corpo e la sua accelerazione, è sperimentalmente confermata dal fatto che un corpo sottoposto a una forza costante si muove di moto uniformemente accelerato. A) Le leggi possono essere sia quantitative, quando la relazione di causa ed effetto è espressa da una relazione matematica fra grandezze fisiche, come nel caso precedente, sia qualitative, quando la legge esprime solo un carattere di un fenomeno fisico, per esempio, il segno meno che esprime il contenuto della legge di Lenz. Da quanto detto, le leggi fisiche sembrano avere un carattere deterministico; in realtà, in base alle attuali conoscenze, il rigore deterministico della fisica classica non è più accettato. Le leggi della fisica classica sono solo apparentemente deterministiche, nel senso che l'intrinseco indeterminismo, in particolare nel campo dei fenomeni in scala microscopica, è completamente mascherato dagli errori sperimentali. Le leggi fisiche esprimono quindi solo un grado più o meno elevato di probabilità; le relazioni di causa ed effetto vanno sostituite da correlazioni fra due serie statistiche, con coefficienti di correlazione più o meno elevati. B) Sono dette leggi economiche le relazioni (reputate costanti) fra diverse grandezze economiche ovvero tra le cause e gli effetti di un particolare fenomeno economico. Sul significato epistemologico dell'espressione si è molto discusso: secondo alcuni, avendo la scienza economica il compito di descrivere le azioni che gli uomini compirebbero sotto la spinta di moventi unicamente economici, le sue leggi sarebbero sostanzialmente giudizi ipotetici di natura logica e a carattere necessario e universale. Per altri (per esempio gli esponenti della scuola storica), le leggi economiche sono invece regolarità empiriche variabili secondo il luogo e il tempo. La maggior parte degli studiosi oggi riconosce alle leggi economiche (leggi positive, non normative) validità generale anche se turbata dall'ambiente istituzionale in cui si trovano ad agire.

Cenni storici

Intesa nel senso di legge scritta (per la non-scritta vale la consuetudine) la legge fece la sua prima comparsa fra i Sumeri ed ebbe ampio sviluppo con i popoli semitici, che ottennero il loro primo codice a opera di Hammurabi (sec. XIX a. C.). Una raccolta di legge esisteva anche presso gli Assiri e ci consente un primo confronto con le precedenti, perché improntata a maggior rigore, mentre Sumeri e Semiti conoscevano una legge già più umana e malleabile. Fra gli Ebrei la legge s'identificava con la Tôrāh, direttiva emanata da Yahwèh stesso, dal sacerdote o dal profeta, suoi interpreti, o dal re, quale rappresentante dell'autorità divina. Mosè, il legislatore ebraico, nel racconto biblico è solo un trasmettitore e un interprete della volontà di Dio al suo popolo. Anche quando la Tôrāh venne esplicitandosi in una casistica simile a quelle presenti in altri codici e diventò di fatto legge umana, non si dissociò mai completamente dalla sua origine divina. In Grecia la legge, detta nómos, presto si distinse in legge non scritta e legge scritta, dove la prima comprendeva sia la consuetudine sia la legge naturale e conservava una rigida immutabilità, mentre la seconda si evolveva secondo le esigenze dei tempi e le nuove forme sociali ed economiche. Caratteristiche della legge greca furono la sua emanazione dal popolo e la sua funzione vincolativa dell'attività del giudice. A Roma la legge era concepita come norma obbligatoria e risultava da un accordo tra il magistrato che la proponeva e il popolo che l'approvava attraverso il voto nei comizi. Suo campo specifico fu il diritto pubblico, mentre quello privato era generalmente regolato dalla consuetudine, dall'interpretazione della giurisprudenza e dai pretori. Con l'Impero nuove fonti della legislazione furono il senatoconsulto e le costituzioni imperiali. Nell'Impero bizantino unica fonte del diritto fu la volontà dell'imperatore. Nel Medioevo accanto alle leggi romane convissero più o meno pacificamente le nuove leggi barbariche (Lex Visigothorum, Lex Burgundiorum, Lex Salica ecc.). Con il Sacro Romano Impero giunse a compimento il sistema della personalità delle leggi. Più tardi fu ripristinato il diritto romano, che si presentò più completo per le numerose costituzioni imperiali comprese nel Corpus Iuris. Con la disgregazione dell'Impero in varie nazionalità, in Comuni, il diritto imperiale perse gran parte della sua efficacia e lasciò il posto alla formulazione delle varie leggi delle nuove monarchie e dei Comuni: negli Stati monarchici il potere legislativo era nelle mani del sovrano, coadiuvato (almeno in un primo periodo) dalle assemblee territoriali e dagli Stati generali, mentre in processo di tempo prevalse l'ordinanza regia, che preparò l'avvento dell'assolutismo monarchico in Francia, in Spagna e nei principati italiani. Alla dispersione del diritto in molte fonti ripararono, in epoca moderna, dapprima il consolidamento del patrimonio legislativo esistente e poi, dalla fine del sec. XVIII, le codificazioni.

Diritto: generalità

Norma giuridica emanata dagli organi predisposti all'esercizio del potere legislativo nelle forme stabilite dalla Costituzione. Secondo la Costituzione italiana le leggi possono essere emanate: dal Parlamento e dai Consigli regionali delle regioni a statuto ordinario e a statuto speciale. Un caso eccezionale è previsto dallo Statuto della Regione Trentino-Alto Adige modificato con legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1, che ha concesso alle Province di Trento e Bolzano di emanare norme legislative. Si parla, in questo caso, di legge provinciale. Pertanto, dal punto di vista dell'organo da cui sono emesse, le leggi possono essere statali e regionali. In questo senso la legge si contrappone all'atto amministrativo che è pur sempre una disposizione giuridica, emanata però non da un organo legislativo, ma da un organo amministrativo. Fra le due categorie, delle leggi e degli atti amministrativi, vi sono i cosiddetti atti aventi forza di legge, ossia norme giuridiche emanate dal potere esecutivo cui la Costituzione conferisce efficacia e forza di legge. Sono questi i decreti legge e i decreti legislativi (detti anche decreti delegati). Sono atti del governo emanati con la forma del decreto legge e decreto legislativo nei limiti stabiliti dagli art. 76 e 77 della Costituzione. Hanno la forza e l'efficacia della legge ma non ne hanno la forma. La distinzione fra legge, atto avente forza di legge e atto amministrativo è rilevante, non soltanto da un punto di vista teorico e dottrinale. Basti pensare che il sindacato di legittimità costituzionale esercitato dalla Corte Costituzionale sulle norme giuridiche riguarda solo le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni (art. 134 Costituzione). Secondo elemento che caratterizza la legge, oltre all'organo da cui proviene, è la forma. Le leggi sia statali sia regionali devono essere emanate con la forma e il procedimento stabiliti dalla Costituzione. A questo proposito, secondo il procedimento con cui sono emanate, le leggi statali possono essere ordinarie o costituzionali. Le leggi ordinarie sono emanate dal Parlamento con la procedura normale per la formazione delle leggi prevista dagli art. 70 e seguenti della Costituzione. Le leggi costituzionali sono emanate sempre dal Parlamento, ma con una procedura speciale prevista dagli art. 138 e seguenti della Costituzione e sono leggi che modificano la Costituzione o disciplinano materie per le quali la Costituzione ha previsto che vengano disciplinate con leggi costituzionali. Tale è il caso per esempio dell'approvazione degli Statuti delle Regioni a statuto speciale (art. 116 Costituzione). Le leggi regionali vengono emanate nelle materie contenute nell'art. 117 della Costituzione con le forme stabilite dai rispettivi Statuti, ma non sono più soggette, prima della promulgazione, al visto del commissario del governo come era previsto dall'art. 127 della Costituzione prima della sua sostituzione ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Altri atti degli organi legislativi che non abbiano la forma della legge non sono leggi: per esempio, i regolamenti parlamentari, adottati da ciascuna Camera. Riguardo ai limiti del loro contenuto, le leggi statali possono disciplinare le materie indicate nell'articolo 117 della Costituzione, ma se sono leggi ordinarie non possono disciplinare in contrasto con la Costituzione, che è la legge fondamentale dello Stato né con le leggi di grado costituzionale; le leggi regionali, a loro volta, possono essere emanate solo nelle materie comprese nella competenza legislativa delle Regioni e tale competenza è più vasta per le Regioni a statuto speciale di quella delle Regioni a statuto ordinario. In particolare le leggi delle Regioni trovano una limitazione al loro contenuto, nelle materie di legislazione concorrente (cioè ripartita tra Stato e Regioni) sia nei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (le cosiddette leggi-cornice) sia nell'interesse nazionale e delle altre Regioni. I contrasti di competenza legislativa fra Stato e Regioni sono risolti dalla Corte Costituzionale, quelli di merito per contrasto d'interessi sono risolti dal Parlamento.

Diritto: legge comunitaria

Legge ordinaria che costituisce lo strumento legislativo annuale per il recepimento globale nell'ordinamento giuridico italiano delle direttive della Comunità Europea. La legge comunitaria è stata istituita dalla legge 9 marzo 1989, n. 86, al fine di recuperare il ritardo accumulato dall'Italia nell'accoglimento della normativa europea. L'adozione di questo mezzo legislativo permette inoltre di eliminare le sanzioni già comminate dalla Corte di Giustizia e di ridurre il contenzioso in corso avanti a questa.

Diritto romano

Legge delle citazioni, parte della Costituzione, emanata da Valentiniano III nel 426, per disciplinare l'uso e l'efficacia delle singole fonti del diritto e utilizzata più tardi, opportunamente divisa in frammenti, nel Codice Teodosiano. La legge stabiliva, tra l'altro, i criteri cui dovevano attenersi i giudici nell'utilizzazione dell'opera della giurisprudenza, ai fini della soluzione di controversie. L'opinione dei cinque giuristi Papiniano, Paolo, Gaio, Ulpiano e Modestino diveniva vincolante per il giudice allorché era condivisa dalla maggioranza di essi, o da Papiniano in caso di parità; diversamente, l'organo giudicante restava libero di giudicare secondo coscienza.

Diritto canonico

Leggi ecclesiastiche: si considerano tali sia le prescrizioni divine, formanti il diritto divino naturale e positivo, sia le prescrizioni umane promulgate dalla Chiesa o dallo Stato. La legge canonica è perpetua, universale e non retroattiva: a quest'ultima caratteristica fanno eccezione le leggi puramente interpretative di quelle anteriori, le leggi penali che stabiliscono una sanzione più mite di quella anteriore o nessuna sanzione, o le leggi dichiarative di nullità o d'incapacità. Organi legislativi supremi e universali della Chiesa sono il papa e il Concilio ecumenico (i cui decreti siano confermati dal papa); organi locali sono i vescovi e i prelati a essi assimilati. Il papa può dare ai suoi atti legislativi le seguenti forme: bolle, brevi, chirografi, motuproprio, allocuzioni, oracula vivae vocis, epistole. Le leggi prendono vita con l'atto di promulgazione e acquistano efficacia obbligatoria dopo il decorso della vacatio legis (di regola, per le leggi pontificali, decorsi i tre mesi dall'inserzione negli Acta Apostolicae Sedis); per le leggi vescovili, la vacatio legis è per lo più superflua. Circa l'efficacia della legge canonica nello spazio, vige come regola il principio della territorialità: la legge, cioè, ha efficacia su tutti coloro che si trovano nel territorio in cui il legislatore esercita la sua sovranità. Le leggi canoniche obbligano tutti coloro che hanno ricevuto il battesimo.

Diritto sindacale

Lo sciopero ha acquistato tutela giuridica solo dopo che il movimento operaio ebbe conquistato il diritto di associazione (in Inghilterra 1824-25; in Francia 1864 e 1884; in Austria 1870; in Italia 1889). Il diritto di sciopero dava però adito a molte limitazioni: erano, per esempio, proibiti gli scioperi politici, per rivendicazioni economiche generali, di solidarietà con altre categorie di lavoratori in lotta e gli scioperi degli addetti ai servizi pubblici. Leggi draconiane antisciopero erano in vigore nei Paesi a regime fascista e nazista: Germania, Italia, Spagna e Portogallo, Giappone, ecc., dove invece dello sciopero i sindacati di stretta obbedienza al regime (gli unici riconosciuti) erano chiamati a un arbitrato preventivo, che spesso aveva tutti i caratteri di un vero . Ma anche in Paesi democratici furono varate leggi antisciopero: per esempio negli Stati Uniti le leggi Taft-Hartley proibiscono gli scioperi agli impiegati statali e agli addetti ai lavori pubblici, rendendo obbligatoria l'accettazione dell'arbitrato.

Filosofia: logica filosofica

Nella tradizione filosofica, la legge logica indica quei principi necessari ed evidenti a cui ogni ragionamento deve conformarsi, quali per esempio: il principio di identità, quello di non contraddizione e quello del terzo escluso. Una definizione esatta di cosa sia legge logica ha rappresentato un problema tradizionale della filosofia. Alcuni (per esempio Leibniz e Kant) lo risolsero individuandone la necessità nella struttura stessa della mente umana, altri (per esempio Aristotele) facendo riferimento alla struttura della realtà che ogni pensiero corretto deve riflettere. Nella logica contemporanea il termine ha un'accezione più limitata e determinata in quanto per legge logica si intende ogni enunciato vero di un linguaggio formale, qualunque sia l'interpretazione che si dà ai simboli non logici che in esso compaiono. La necessità delle leggi logiche è quindi diretta conseguenza del significato assegnato alle costanti logiche e alla definizione di verità assunta. In rapporto al loro oggetto le leggi sono: naturali o fisiche, se riassumono sotto una unica proposizione un insieme di fenomeni costanti in natura, tali quindi da poter costituire, nel loro insieme, appunto un ordine (formano l'oggetto delle scienze naturali); le leggi etiche sono state campo d'indagine della filosofia morale, che ne ha progressivamente evidenziato il carattere di razionalità: fondamentale la formulazione che il concetto di legge morale riceve nel pensiero kantiano, come obbligazione morale assoluta. Qui s'inserisce il dibattito fra pensiero religioso e pensiero laico circa il problema se tale assolutezza della legge morale abbia valore in sé o trovi la sua fondazione in un principio trascendente: se cioè l'ordine razionale di cui la legge è a un tempo aspetto e origine abbia valore autonomo o eteronomo. Analogamente per il concetto di legge in senso giuridico-politico, per cui si discorre di diritto naturale o positivo, secondo che si voglia riferire la validità assoluta della legge o norma a un ordine trascendente o al valore autonomo dell'atto giuridico-statuale da cui essa trae origine.

Linguistica

Si intende per legge fonetica (trad. del tedesco Lautgesetz) la formulazione di una norma desunta dalla sistematica e costante trasformazione di un suono. Compito di una legge fonetica è anzitutto quello di precisare le modalità del mutamento, cioè le condizioni in cui esso avviene: s di latino es (tu sei) est (egli è) diventa r in eras (tu eri) erat (egli era), e da ciò risulta che il mutamento è avvenuto solo in posizione intervocalica. Inoltre ogni mutamento fonetico è limitato nel tempo e nello spazio: il passaggio di s intervocalico a r è limitato nello spazio perché è avvenuto in latino (in epoca successiva anche nel germanico occidentale) e non in tutte le lingue; nel tempo, perché è avvenuto in latino nel corso del sec. IV a. C., e quindi nei secoli precedenti si troverà la conservazione di s intervocalico (esed invece di erit, egli sarà), e le parole penetrate in latino, soprattutto dal greco, dopo il sec. IV hanno mantenuto s intervocalico (basis, base; pausa, pausa). I mutamenti contemplati dalle leggi fonetiche non avvengono mai in modo assoluto, ma ci sono deviazioni e deroghe che si spiegano soprattutto col principio dell'analogia: in desino (io cesso) s intervocalico non è diventato r per analogia al verbo semplice sino in cui s è iniziale di parola; viceversa un originario honos (onore) è diventato honor perché nei casi obliqui s intervocalico si è regolarmente rotacizzato (honoris, honori) e ciò ha favorito il conguagliamento analogico con i temi in -r (soror, sororis). La prima incisiva formulazione delle leggi fonetiche fu fatta nell'ambiente positivistico tedesco del sec. XIX, specialmente da A. Schleicher che le concepì rigorose e rigide come le leggi fisiche e naturali. Da questi presupposti i neogrammatici trassero l'inevitabile conseguenza dell'“ineccepibilità” (Ausnahmlosigkeit) delle leggi fonetiche intese come leggi di natura fisiologica che agiscono “con cieca necessità naturale” e quindi non ammettono deroghe. Sull'ineccepibilità delle leggi fonetiche si accese una vivace polemica che ebbe il merito di precisare meglio la loro natura e i loro limiti. I più decisi oppositori a questo dogma neogrammatico furono G. Curtius e, in modo più intelligente e costruttivo, H. Schuchardt.

Bibliografia

Per il diritto

A. M. Sandulli, Legge, forza di legge, valore di legge, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1957; V. Crisafulli, Atto normativo, in “Enciclopedia del Diritto”, Milano, 1959; A. M. Sandulli, Legge (diritto costituzionale), in “Novissimo Digesto Italiano”, IX, Torino, 1968; G. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1969; F. Modugno, Legge in generale, in “Enciclopedia del Diritto”, Milano, 1973.

Per la filosofia

T. Davitt, The Nature of Law, Londra, 1946; A. D. Sertillanges, La philosophie des lois, Parigi, 1946; H. L. A. Hart, Law, Liberty and Morality, Londra, 1963; Y. R. Simon, The Tradition of Natural Law, New York, 1965; W. A. Luijpen, Phenomenology of Natural Law, Lovanio, 1967.

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